La Russia voleva dividere l’Occidente, ma l’Occidente si è unito contro Putin Analisi di Claudio Cerasa
Testata: Il Foglio Data: 11 novembre 2022 Pagina: 1 Autore: Claudio Cerasa Titolo: «L’altro grande flop di Putin»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 11/11/2022, a pag. 1, con il titolo 'L’altro grande flop di Putin' il commento del direttore Claudio Cerasa.
Claudio Cerasa
Vladimir Putin con un ritratto di Stalin
Le elezioni hanno degli effetti evidenti, come dimostra il disastro diplomatico costruito dal governo italiano con la Francia sul dossier immigrazione, ma a volte le elezioni hanno anche dei non effetti inaspettati. E un non effetto interessante da analizzare, all’indomani del voto di midterm americano, riguarda un tema che è diventato ormai, negli ultimi dieci mesi, un clamoroso filo conduttore delle piccole e grandi democrazie occidentali. Il tema è presto detto: da febbraio a oggi, nessuna elezione e nessun cambio di governo, nelle piccole e grandi democrazie occidentali, ha avuto un impatto sulla guerra in Ucraina. E la scommessa che aveva fatto Putin dieci mesi fa – prendere per sfinimento l’occidente facendo leva sulle sue contraddizioni, sulla sua indolenza, sulla sua dipendenza dal gas russo e sulla sua incapacità di riadattare l’economia agli choc energetici – il presidente russo la sta perdendo in modo clamoroso. Joe Biden, con malizia, mercoledì scorso ha fatto sapere di non considerare un caso il fatto che il ritiro delle truppe russe da Kherson, in Ucraina, sia avvenuto all’indomani del risultato delle elezioni di medio termine negli Stati Uniti. E il ragionamento è semplice da spiegare: una vittoria netta e travolgente del trumpismo avrebbe contribuito a indebolire l’impegno degli Stati Uniti nella difesa dell’Ucraina e di conseguenza l’assenza di una vittoria netta e travolgente dei repubblicani non può che aver prodotto l’effetto opposto: confermare l’impegno degli Stati Uniti nella difesa dell’Ucraina (il deputato repubblicano della California Kevin McCarthy, in campagna elettorale, aveva sintetizzato così la posizione del suo partito: “Penso che gli americani dovranno affrontare una recessione e non avranno più intenzione di firmare assegni in bianco all’Ucraina”). E’ andata così negli Stati Uniti, dunque. Ma è andata così anche in altri contesti importanti. In Svezia, paese che a settembre è andato al voto durante un delicato processo di adesione alla Nato, la nuova maggioranza non ha cambiato di una virgola la sua posizione rispetto all’Ucraina. La Bulgaria, paese che dopo le elezioni del 2 ottobre non ha ancora trovato un governo, la scorsa settimana, nonostante il caos postelettorale, ha votato a favore dell’invio di armi in Ucraina, includendo nella lista anche sistemi avanzati come missili antiaerei. Lo stesso è successo in Danimarca e in Slovenia, paesi che anche dopo gli scossoni prodotti dal voto hanno mantenuto il proprio posizionamento anti putiniano (e anche l’Ungheria di Viktor Orbán, nonostante il filoputinismo del presidente ungherese, nei momenti importanti non ha mai votato contro le sanzioni alla Russia). E lo stesso in fondo è successo in Francia, dove in primavera è stato rieletto Emmanuel Macron e dove le posizioni sull’Ucraina non sono cambiate nonostante l’affermazione alle legislative di due leadership filoputiniane come quelle di Marine Le Pen e di Jean-Luc Mélenchon. Stessa storia, naturalmente, anche in Italia, dove i partiti più sensibili alla retorica putiniana non sono stati premiati alle elezioni, la Lega da una parte e il M5s dall’altra, e dove la nuova presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, con tutti i difetti che può avere non ha quello di essere timida nella difesa dell’Ucraina. E lo stesso in fondo è capitato anche in un contesto diverso, come quello inglese, dove l’avvicendarsi dei primi ministri, prima Boris Johnson, poi Liz Truss ora Rishi Sunak, non ha prodotto alcun tipo di revisione sulla linea del sostegno alla resistenza dell’Ucraina. Vladimir Putin ha provato a dividere le democrazie occidentali, facendo leva sulle debolezze economiche e politiche, ma dieci mesi dopo il risultato è l’esatto opposto. E per quanto le piccole e grandi democrazie occidentali siano divise sulle questioni identitarie, come per esempio l’immigrazione, sull’Ucraina il filo conduttore è sempre lo stesso. Non è tutto, ma non è poco.
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