Come cambiano i rapporti di forza intorno alla guerra in Ucraina Commento di Federico Fubini
Testata: Corriere della Sera Data: 05 novembre 2022 Pagina: 1 Autore: Federico Fubini Titolo: «Garanzie necessarie per Kiev»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/11/2022, a pag. 1, con il titolo "Garanzie necessarie per Kiev", l'analisi di Federico Fubini.
Federico Fubini
Vladimir Putin
Come stiano cambiando i rapporti di forza attorno alla guerra in Ucraina lo mostrano, senza volerlo, due annunci degli ultimi giorni. Entrambi gettano luce sui temi in agenda negli incontri più riservati al prossimo G20 di questo mese a Bali, in cerca di un percorso che faccia tacere le armi. Ma non subito e non a qualunque costo: solo sulla base del miglior assetto possibile per Kiev. L’episodio meno discusso è il rinvio parziale, dal 5 dicembre al 19 gennaio, della piena applicazione del tetto del G7 al prezzo sul petrolio russo. Martedì il Tesoro americano ha postato una breve nota ben nascosta, che tradisce tutta la complessità del gestire il rischio di una guerra economica mondiale. Come obbligare l’India o la Cina a praticare ai cargo di greggio russo dei prezzi calcolati a Washington? Come farlo senza rischiare che il petrolio russo esca dal mercato globale, infiammando le quotazioni? Ma l’episodio più emblematico è la marcia indietro di Vladimir Putin sul grano. Domenica il dittatore aveva sospeso i transiti delle navi da Odessa «a tempo indeterminato». Mercoledì ha cambiato idea, scatenando contro di sé la furia dei troll nazionalisti su Telegram. Putin li legge ma deve subire e tacere, perché la sua sovranità economica ormai è perduta. Recep Tayyip Erdogan lo tiene in pugno — nota l’analista russo in esilio Alexander Gabuev — come si è capito dalla sua «mediazione» sul grano. Gli strumenti di pressione del leader turco sul Cremlino del resto sono sotto gli occhi di tutti: dalla Turchia passano molte delle triangolazioni di chi aggira (anche dall’Italia) le sanzioni europee per esportare in Russia; ma, soprattutto, a Putin serve disperatamente lo «Hub del gas» annunciato da Erdogan, altrimenti non potrà mai compensare la perdita del mercato europeo. Non può certo bastargli Pechino, malgrado l’«amicizia senza limiti». Il nuovo gasdotto dalla Russia verso la Cina («Power of Siberia 2») non entrerà in funzione prima del 2026 e anche allora porterà meno di un terzo dei volumi che Gazprom spediva in Europa fino all’anno scorso. Putin è dunque spalle al muro, vassallo degli interlocutori che gli restano: la Turchia per il gas, i sauditi per il prezzo del petrolio, l’Egitto per il grano, la Cina per tutto. È grazie a loro che per ora ha subito dalle sanzioni meno danni del previsto, ma le prospettive restano drammatiche: nel 2023 verranno meno gran parte delle entrate da gas e petrolio che coprivano quasi metà del bilancio di Mosca; la guerra, la mobilitazione e le fughe di massa hanno tolto alle imprese un milione di uomini, spesso i più giovani e istruiti; e le sanzioni privano comunque Mosca delle tecnologie necessarie a vincere sul terreno. Dopo otto mesi di crimini russi, proprio questo è uno dei paradossi. Mosca ha una superiorità schiacciante per la massa di uomini che può gettare nella fornace della guerra, ma è inferiore per la qualità delle armi convenzionali. L’Ucraina invece può contare sulla superiorità dei mezzi da decine di miliardi di dollari della Nato, ma non ha abbastanza uomini per poter sopportare le perdite necessarie a riconquistare tutto il suo territorio. Nessuna delle due parti è più in grado vincere una guerra convenzionale. Quanto all’opzione nucleare, il Cremlino sa che porterebbe alla fine del rapporto con la Cina e all’annientamento del suo esercito ad opera degli americani. Così i combattimenti vanno avanti su mille chilometri di fronte e il martirio dell’Ucraina continua. La strategia di Kiev adesso è quella indicata da Kyrylo Budanov, 36 anni, il capo dell’intelligence estera ucraina che gestisce gli agenti infiltrati a Mosca: sperare che tra sei mesi le sconfitte sul terreno portino al crollo del regime di Putin e a una ritirata dei russi. Ma la speranza non è una strategia, mentre a Mosca segni che il dittatore stia perdendo il controllo delle élite, dell’esercito, dei servizi o delle forze speciali non sono evidenti. Molti capiscono che la sua avventura ucraina è disastrosa per la Russia ma Putin, almeno per ora, sembra saldamente in sella. La strategia di Mosca è invece quella descritta su Carnegie Politika da Vladimir Frolov, un agente dell’intelligence esterna russa (Svr) di stanza a Washington che di recente ha fatto defezione: rinunciare a nuove offensive per mancanza di forze e incaricare il nuovo comandante dell’«operazione speciale», Sergey Surovkin, di consolidare almeno parte delle conquiste - soprattutto il corridoio Sud dalla Russia alla Crimea - prendendosi la colpa di nuovi ripiegamenti altrove. Anche la distruzione delle infrastrutture civili ucraine, ennesimo crimine di guerra, serve queste finalità difensive. Il problema è che Surovkin può congelare gli attacchi russi, non impedire agli ucraini di battersi per la propria libertà. Dunque i russi restano sotto pressione. Neanche gli occidentali hanno il diritto di chiedere a Kiev di fermarsi, finché i suoi uomini continuano ad avanzare. Quando però entrambe le parti saranno esauste, incapaci di superarsi e la guerra sarà allo stallo, allora forse diventerà possibile chiedersi come separare gli eserciti e consolidare un cessate-il-fuoco. Anche se l’Ucraina avrà recuperato molto del suo territorio del 23 febbraio, ma non tutto. È lo scenario che immagina il politologo russo Sergey Radchenko, del Kissinger Center for Global Affairs della Johns Hopkins University. Ma Kiev dovrà avere garanzie che la Russia non cerchi in futuro di guadagnare altro terreno con la forza e che tutti gli ucraini in territori sotto controllo di Mosca, se vogliono, possano fuggire verso Ovest. Per farlo servono impegni di sicurezza occidentali per l’Ucraina e l’interposizione di un contingente di peacekeeping sul terreno, con mandato Onu, che includa forze europee e cinesi, turche, indiane, egiziane. Anche la ricostruzione dell’Ucraina dovrà coinvolgere imprese cinesi e turche, per garantirsi che la Russia non bombardi i cantieri. Quanto alle sanzioni, restano finché resta Putin e si ritirano, dopo, solo al ritorno di Mosca nei suoi confini legali. Non sarebbe un esito ideale per l’Ucraina: solo migliore, forse, di tutti gli altri possibili.
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