Testata: Il Foglio Data: 05 novembre 2022 Pagina: 1 Autore: Cecilia Sala Titolo: «Pasdaran vs ayatollah»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/11/2022, a pag.1, con il titolo "Pasdaran vs ayatollah", l'analisi di Cecilia Sala.
Cecilia Sala
Roma. In un video girato a Karaj, trenta chilometri a nord-ovest di Teheran, si vede un pick up della polizia: l’auto bianca imbrattata di sangue, il vetro anteriore frantumato, un ragazzo a volto coperto che alza un fucile, un uomo morto accasciato sul sedile posteriore. Da quando sono cominciate le proteste a metà settembre in Iran, sono stati arrestati migliaia di manifestanti: sulle vittime della repressione non ci sono numeri precisi, ma secondo la ong Iran Human Rights che ha sede in Norvegia, sarebbero più di trecento. Alcuni iraniani raggiunti dal Foglio, che hanno preso parte alle manifestazioni o simpatizzano con chi scende in piazza, tra cui un professore universitario che insegna nella capitale, hanno chiara una cosa: la repressione è violenta ma, questa volta, la protesta non è stata sedata in fretta, non sono state adottate le tattiche brutali che i pasdaran conoscono bene, come hanno dimostrato in passato. Durante le proteste nel novembre del 2019, tra il 16 e il 17 – in 48 ore – erano state uccise 238 persone di cui conosciamo i nomi: due giorni dopo non c’era più un manifestante per le strade. Le rivolte cominciate con la morte di Mahsa Amini mentre era in custodia della polizia religiosa durano da sette settimane. In queste settimane si sono verificati eventi impensabili nel 2019, e intollerabili per gli ayatollah. A Karaj è stato ucciso un miliziano e un esponente del clero è stato accoltellato, ora è in fin di vita in ospedale. Mercoledì un altro imam era stato ammazzato a pistolettate in Baluchistan. Tra gli adolescenti va di moda una challenge – una sfida da superare nella realtà e pubblicare sui social – per cui ci si fa filmare da un amico mentre si cammina per strada e quando si incontra un mullah si butta a terra il suo turbante. Un mese fa i manifestanti hanno cacciato le autorità da una cittadina di quasi 50 mila abitanti e hanno preso il potere per due giorni. La sera del 15 ottobre ci sono stati una rivolta e un incendio nel carcere di Evin a Teheran: si sono sentite undici esplosioni e una sparatoria. Quella notte i dissidenti iraniani all’estero avevano lanciato un appello urgente e disperato: “Qualcuno deve intervenire, altrimenti li ammazzeranno tutti”. Una ribellione dentro un carcere pieno di prigionieri politici sembrava l’occasione perfetta, per i pasdaran, per fare una strage tra le centinaia di manifestanti detenuti. Fortunatamente non è successo. Il 26 ottobre, mentre in tutto il paese c’erano i cortei per il quarantesimo giorno dalla morte di Mahsa Amini, a Shiraz tre uomini armati sono entrati in una moschea e hanno sparato ad altezza uomo. Hanno ucciso 14 persone, erano dello Stato islamico. Un attacco dello Stato islamico in Iran è un fatto raro – più raro che in Francia. Ci sono solo due precedenti e risalgono a quattro anni fa. Dopo l’attentato, il presidente Ebrahim Raisi ha parlato alla nazione e, com’era prevedibile, ha detto che il problema sono l’insicurezza e il caos dovuti alle proteste che, arrivate a quel punto, dovevano finire. Le proteste sono continuate. Una settimana fa anche il comandante dei pasdaran, Hossein Salami, ha detto: “Oggi è l’ultimo giorno della protesta”. Le proteste sono continuate e gli uomini di Salami non hanno fatto quello che avevano fatto in passato per fermarle. In quasi due mesi, dall’Iran ci sono arrivate spesso immagini di manifestanti che rincorrono poliziotti costretti a fuggire perché in minoranza. I pasdaran sono 100 mila, ma restano per lo più nelle caserme. Esiste una letteratura vasta (dal dipartimento per il vicino oriente di Princeton al Centro internazionale per gli studi strategici) su come, dalla morte del fondatore Khomeini, i militari abbiano conquistato un potere sempre maggiore nelle gerarchie della Repubblica islamica. E’ famoso un fatto del 2010, quando i pasdaran hanno spodestato il clero nell’organizzazione dell’anniversario della morte di Khomeini: quell’anno, per la prima volta, i figli (anche loro ayatollah) di Khomeini furono fischiati. Lo stesso anno Hillary Clinton, durante un forum a Doha, in Qatar, parlò della possibilità che la Repubblica islamica avesse i giorni contati. Non si riferiva all’onda verde e non lo intendeva come un fatto positivo, diceva: “Temo un colpo di stato militare”. Cioè che i pasdaran soppiantino il clero. Il momento più propizio sarebbe stato la successione al vertice: la morte della Guida suprema Ali Khamenei, che oggi ha 83 anni ed è malato. Il passaggio da una teocrazia a una dittatura militare significherebbe un sistema più laico, non meno violento. Le proteste sono nate contro la “polizia religiosa” e l’obbligo del velo, cioè contro il clero. I manifestanti oggi hanno priorità diverse rispetto alle lotte di potere interne al regime e molto concrete, rischiano e si prendono tutto lo spazio che trovano. Ma alcuni si dicono consapevoli che un tentativo di strumentalizzarli da parte dei pasdaran è possibile: “Non ci fermiamo per questo”.
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