Dai porti ucraini partono 12 navi con cereali per volere di Erdogan Analisi di Micol Flammini
Testata: Il Foglio Data: 01 novembre 2022 Pagina: 1 Autore: Micol Flammini Titolo: «Manica senza asso»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/11/2022, a pag. 1, con il titolo "Manica senza asso", l'analisi di Micol Flammini.
Micol Flammini
Roma. Dodici navi cariche di cereali sono salpate ieri dai porti ucraini sul Mar Nero nonostante la Russia sabato abbia deciso di sospendere l’accordo sui corridoi per il grano che a luglio aveva sbloccato il trasporto dei mercantili rimasti fermi in Ucraina dall’inizio dell’invasione. A volere le partenze di ieri, nonostante il ritiro russo, non è stata soltanto Kyiv, ma anche la Turchia e le Nazioni Unite hanno garantito la loro mediazione facendo capire a Mosca che il voltafaccia non soltanto non è gradito e ha già fatto aumentare i prezzi del grano, ma che sarà contrastato con forza. Uscendo dall’accordo, Mosca non garantirà la sicurezza delle navi e ieri avrebbe colpito un mercantile vicino al porto di Ochakiv. Sabato le autorità russe avevano accusato l’esercito ucraino di un bombardamento massiccio contro il quartier generale della flotta russa del Mar Nero nel porto di Sebastopoli, in Crimea. Secondo Mosca, l’attacco con nove droni aerei e sette marini sarebbe stato respinto e avrebbe creato soltanto lievi danni a una nave da guerra. Tanto sarebbe bastato per ritirarsi. La spiegazione ufficiale del ministero della Difesa russo è stata più attenta ai dettagli per creare un legame tra l’attacco a Sebastopoli e l’accordo: i droni avrebbero preso di mira alcune risorse utilizzate per proteggere il corridoio alimentare del grano. Giovedì, il presidente russo ha parlato al Forum di Valdai e ha promesso ai paesi africani che la Russia non li avrebbe abbandonati e che li avrebbe protetti dal neocolonialismo dei paesi occidentali: una frase che è caduta nel vuoto visto che le principali vittime della decisione di ritirarsi dall’accordo sarebbero proprio i paesi più poveri, e il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha già stravolto la situazione, dicendo che è stata l’Ucraina a far naufragare l’accordo. Il patto sul grano è stato firmato separatamente da Russia e Ucraina e calibrato in modo da dare vantaggi e sollievo a tutte le parti: Kyiv, Mosca, ma anche la Turchia e una lunga lista di altri paesi. La Russia ha ottenuto la rimozione di alcuni ostacoli alle esportazioni di grano e di fertilizzanti e il presidente russo Vladimir Putin ha ricevuto molte pressioni sia esterne sia interne per dare il suo benestare all’accordo. Internamente era importante rilanciare le grandi aziende agricole russe, non soltanto perché il ministro dell’Agricoltura è Dmitri Patrushev, figlio maggiore di Nikolai, segretario del Consiglio di sicurezza e collaboratore stretto di Putin, e tra le aziende agricole e il cerchio dei fedelissimi del presidente ci sono anche altri affari di famiglia, ma perché mettere al riparo dalle sanzioni almeno un settore dell’economia russa è vitale. Le pressioni esterne invece sono arrivate dalla Turchia, ma anche dai leader di Iran, Egitto e Arabia Saudita, tutti preoccupati che i problemi di approvvigionamento alimentare creati dal blocco del trasporto del grano avrebbero potuto destabilizzare i loro paesi e ricreare le condizioni che ci furono durante le primavere arabe. Alla fine di luglio tutti questi fattori avevano contribuito alla decisione russa di partecipare all’accordo sul grano, che fino a quel momento Putin aveva usato come leva di ricatto nel conflitto in Ucraina. A luglio il Cremlino aveva già rinunciato al piano dell’invasione su larga scala, ma, se pure trascinandosi, avanzava nel Donbas e aveva accumulato un bottino di territori a sud. Aveva la presunzione che le cose andassero secondo i piani e quindi pensava di poter rinunciare alla minaccia di una crisi alimentare globale, ha così deciso di ascoltare le pressioni, pensando che avrebbe fatto contare i fatti sul campo di battaglia. A settembre è invece partita la brillante controffensiva ucraina proprio nel Donbas in cui Mosca si sentiva così forte e parallelamente Kyiv ha intrapreso delle manovre per riprendere Kherson, la prima regione occupata dall’esercito russo. La situazione sul campo di battaglia è cambiata, Putin fa continuo riferimento a dei negoziati, ma vuole che vengano condotti secondo le regole di Mosca. Per costringere ucraini e occidentali a venire a patti secondo le sue regole ha prima sventolato la minaccia nucleare – che gli Stati Uniti hanno preso sul serio e monitorano – ma la minaccia di una crisi alimentare globale è un’arma di ricatto più rapida e il Cremlino spera che l’aumento dei prezzi del grano, che si somma a quello dei prezzi dell’energia, possa contribuire alla sua strategia. L’obiettivo è esercitare pressioni sulla comunità internazionale per limitare il sostegno militare all’Ucraina o trascinare Kyiv a un accordo che piaccia solo a Mosca: l’Ucraina è stata chiara, è disposta a negoziare ma non lo farà fino a quando le truppe russe rimarranno dentro ai confini dell’Ucraina. Le pressioni internazionali che hanno portato Putin a firmare l’accordo sul grano, però, non sono scomparse, e la Turchia si è messa subito in azione per riprendere le trattative diplomatiche ma anche dimostrando, con la partenza delle dodici navi, che non ha nessuna intenzione di fermare il trasporto dei cereali. L’Arabia Saudita, che nel tagliare la produzione di petrolio ha agevolato anche la Russia, era tra i maggiori sostenitori dell’accordo e da luglio non ha cambiato idea. Il Cremlino vuole quanto meno una tregua sul campo di battaglia per riorganizzarsi, per dare il tempo di addestrare chi è stato mobilitato frettolosamente in un mese e interrompendo l’accordo sul grano ha tentato di recuperare una leva di coercizione. A Valdai, Putin ha parlato della costituzione di un nuovo asse di alleanze, ma l’interruzione dell’accordo lo isola anche tra i suoi stessi alleati.
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