Marcia su Roma: i tre errori di Meloni Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 30 ottobre 2022 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Marcia su Roma: i tre errori di Meloni»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 30/10/2022, a pag. 1, con il titolo "Marcia su Roma: i tre errori di Meloni" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
Giorgia Meloni
La decisione di Giorgia Meloni di non ricordare in alcun modo il centenario della Marcia su Roma contiene tre errori diversi ma convergenti: come presidente del Consiglio; come leader di un Paese dell’Unione Europea; come capo di Fratelli d’Italia. Come presidente del Consiglio, Meloni rappresenta il governo e tutti i cittadini della Repubblica italiana nata, come la sua Costituzione, dalla lotta antifascista. A battersi contro il fascismo furono tutti quegli italiani che, dal 1922 al 1945, ritennero il regime di Benito Mussolini una violazione del Risorgimento che aveva garantito unità, eguaglianza e libertà a tutti i cittadini del Paese, senza alcuna distinzione. La dittatura iniziò cento anni fa, con la Marcia su Roma, e ricordare quel giorno buio nella storia del Paese significa per un capo di governo italiano rinsaldare il valore politico della Repubblica e il valore fondante della Costituzione. Immaginare di poter guidare l’esecutivo di una nazione nata dall’antifascismo senza far propria la condanna della genesi della dittatura getta una lunga ombra sulle importanti dichiarazioni che Meloni ha fatto contro il fascismo stesso e contro le Leggi Razziali del 1938. Quelle norme antiebraiche non furono un fulmine a ciel sereno bensì la conseguenza della scelta di Mussolini di allearsi con il nazismo, che era nato in Germania negli anni Trenta ispirandosi al preesistente fascismo italiano. Fu la presa del potere da parte di Mussolini a creare la premessa, storica e politica, della discriminazione degli ebrei e quindi della loro persecuzione. Se quasi la metà degli ebrei italiani deportati nella Shoà sono stati venduti o arrestati da italiani è perché si trattava di cittadini convinti, fanatici, seguaci di Mussolini. Immaginare di poter scindere la condanna della persecuzione degli ebrei dall’arrivo del fascismo al potere è un errore storico e un’aberrazione morale. Anche per questo Carlo Casalegno, il vicedirettore de La Stampa assassinato dalle Brigate Rosse, scrisse che la “Resistenza fu la continuazione del Risorgimento”. Chiunque scelse di battersi contro il fascismo — donne e uomini, di qualsiasi estrazione politica e sociale — lo fece per salvare i valori dell’Unità d’Italia. Come leader di un Paese dell’Unione Europea, Meloni è erede e quindi protagonista del progetto comunitario che nasce dall’indomani della Seconda Guerra Mondiale quando alcune delle nazioni che avevano più sofferto a causa delle distruzioni causate dal nazifascismo — Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo — decisero di unirsi affinché l’Europa non dovesse più essere vittima di tragedie simili. L’idea stessa di un’Europa comune — frutto del pensiero di Robert Schuman, Jean Monnet e Altiero Spinelli — nasce come reazione al nazifascismo. Esattamente come la Nato, nata nel 1949, trasforma in alleanza fra le democrazie la coalizione alleata che il 6 giugno 1944 era sbarcata sulle spiagge della Normandia iniziando la liberazione dell’Europa. Le alleanze a cui l’Italia appartiene — ed a cui Meloni da premier ha rinnovato fedeltà — sono basate non solo su interessicomuni e legami molteplici ma su valori condivisi. Quei valori di libertà che hanno prima sconfitto il nazifascismo ed hanno poi prevalso sul comunismo sovietico. Essere un leader Ue e non condannare la salita al potere del fascismo significa non comprendere quali sono i valori fondamentali che distinguono le nostre alleanze. Ma non è tutto perché Giorgia Meloni ha sbagliato a non ricordare il centenario della Marcia su Roma anche come leader di Fratelli d’Italia — un partito di destra che nello stemma ha la fiamma ardente della tomba di Mussolini — che lei afferma di voler trasformare in una forza politica interprete e protagonista del conservatorismo europeo, della destra liberale. L’intenzione è nobile, importante e va sostenuta ma affinché ciò avvenga Meloni deve troncare il legame con l’eredità di Giorgio Almirante, del Msi e dunque della Repubblica sociale italiana che quella fiamma rappresenta. Ignorare questo tema significa non voler continuare sulla strada intrapresa da Gianfranco Fini che con la svolta di Fiuggi compì il primo indispensabile passo della condanna del fascismo come «male assoluto» e delle Leggi Razziali come «aberrazione». Meloni afferma di aver condiviso quella scelta di Fini ed è proprio per questo che spetta ora a lei portarla a compimento, rendendo possibile il distacco completo e totale della destra politica dalle origini stesse della dittatura fascista. Avere questa opportunità significa per Meloni poter far nascere una destra moderna erede dell’Italia liberale frutto del Risorgimento, protagonista dell’Unità e della Grande Guerra che venne tradita da Vittorio Emanuele III con la decisione di consegnare il potere alle camicie nere. Ciò che separa la destra italiana da conservatori britannici, gaullisti francesi e repubblicani americani è non aver saputo coltivare una memoria condivisa della lotta al nazifascismo. Meloni può colmare questa differenza, entrando di diritto nella Storia politica delle democrazie europee. Se invece sceglierà la strada di tacere, come ha fatto venerdì 28 ottobre 2022, sollevando il sospetto di voler banalizzare il fascismo delle origini, dimostrerà di non condividere o comprendere fino in fondo i valori su cui l’Unione Europea è stata fondata, la Repubblica italiana è stata creata e la nostra Costituzione è stata scritta.