Al Teatro Dubrovka vent’anni dopo la strage Commento di Rosalba Castelletti
Testata: La Repubblica Data: 26 ottobre 2022 Pagina: 21 Autore: Rosalba Castelletti Titolo: «Al Teatro Dubrovka vent’anni dopo. La strage degli ostaggi svelò il volto di Putin»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/10/2022, a pag.21, l'analisi di Rosalba Castelletti dal titolo "Al Teatro Dubrovka vent’anni dopo. La strage degli ostaggi svelò il volto di Putin".
Rosalba Castelletti
Il teatro Dubrovka
Il tempo non è bastato. Vent’anni dopo, Svetlana Gubareva è ancora inchiodata a quel 26 ottobre del 2002 in cui si risvegliò in un reparto di terapia intensiva e ascoltò da una radiolina Vladimir Putin rallegrarsi per l’assalto che aveva liberato gli ostaggi del teatro Dubrovka sequestrato da un commando ceceno. Un “successo” per il presidente russo, nonostante i 130 morti. «Non abbiamo potuto salvarli tutti, perdonateci». Ma vent’anni dopo non c’è perdono, soltanto collera per quelle vittime che si sarebbero potute evitare. Soltanto cinque furono giustiziate dai terroristi. Le altre 125, tra cui 10 bambini, morirono a causa del gas usato dalle forze speciali per narcotizzare l’intero teatro e dell’insensata decisione di non rivelare neppure ai medici che sostanza fosse. Gli interessi dello Stato prima di quelli del singolo, commentò la giornalista Anna Politkovskaja. «Io non ricordo quelle 57 ore in ostaggio, le vivo», singhiozza Gubareva, gli occhi stropicciati dalle troppe lacrime. Ancora oggi, a 65 anni, non si perdona. Il 23 ottobre del 2022, mentre infuriava la seconda guerra cecena, aveva acquistato gli ultimi tre biglietti per l’applaudito musical Nord-Ost alla Dubrovka. Voleva festeggiare la domanda di visto Usa per sé e la figlia 13enne Sasha che avrebbe dovuto segnare l’inizio di una nuova vita in Oklahoma insieme al compagno statunitense Sandy Alan Cooper conosciuto per corrispondenza. All’inizio del secondo atto, Gubareva attende la scena dell’“atterraggio” di un aereo di cui parlava tutta Mosca, ma sul palco irrompono uomini dal volto coperto che iniziano a sparare in aria. Vogliono che Putin ritiri le truppe dalla Cecenia. Iniziano quelle 57 ore che Svetlana «vive» incessantemente. Oltre 900 spettatori raggelati nelle loro poltrone davanti a un palcoscenico deserto. Uomini che camminano nervosamente su e giù per il teatro col mitra in mano e le “vedove nere” con le cinture esplosive sedute lungo i corridoi. La buca dell’orchestra trasformata in latrina e l’odore nauseabondo che si diffonde in platea. L’uccisione di un uomo e una donna sbucati dal nulla, l’ostaggio che dà di matto causando l’esecuzione di un terzo. Immagini seguite da milioni di telespettatori in tutto il mondo. La mattina del 26 l’attore del musical 14enne Aleksej Chuvaev viene strattonato dal vicino. Sente dei passi e scorge un vapore scenderedall’alto. «Ho avvertito una sorta di euforia. L’ultima cosa che ricordo è un terrorista che inizia a sparare. Ho aperto gli occhi in un bus e poi in ospedale. Non riuscivo a parlare né a muovermi», racconta oggi nel suo appartamento a Lytkarino. Svetlana invece non vede il gas. Cittadine del Kazakhstan, lei e Sasha fanno parte insieme a Sandy del gruppo di stranieri che i terroristi hanno promesso di liberare. Si addormentano speranzosi.
«Il mio sonno si è trasformato in coma. Al risveglio in ospedale,vomitavo sangue. I miei organi, cervello compreso, erano stati compromessi. Ho avuto una sorta di ictus. Ma sono sopravvissuta». Sasha invece viene trovata su un autobus, il corpicino schiacciato da un’altra trentina di ostaggi scaraventati alla rinfusa. I medici hanno tentato di rianimarla, ma non c’è stato nulla da fare. Con Sandy non ci hanno neppure provato. Eppure i loro certificati di morte non dicono nulla. Su quello di Nena Milovidova, invece c’è scritto: «Alle 13.10, esperti di medicina legale si avvicinano al bus della linea 12, rimuovono il cadavere numero 11 e lo mettono a faccia in su per l’ispezione». Dmitrij Milovidov ripete a memoria. È un altro genitore per sempre condannato a naufragare nell’abisso di quell’ottobre. Noncurante della pioggia che batte, ci mostra la lapide con i 130 nomi delle vittime nascosta in un angolo della facciata del teatro Dubrovka, oggi sigillato. «Lontano dagli occhi, fuori dai cervelli. Quando ho protestato, mi hanno risposto: “Volete un memoriale all’impotenza dello Stato in bella vista?”». Milovidov ricorda quella sera del 23 ottobre quando sbucò dal metrò per andare a prendere le figlie Nina e Lena di 14 e 12 anni al termine dello spettacolo e trovò la strada sbarrata. Soltanto la minore si salvò, liberata quasi subito insieme ad altri bambini. «Ninochka è morta per le mancate cure dopo aver inalato il gas. Mentre vagavamo tra gli obitori per cercarla, le autorità si distribuivano medaglie invece di studiare gli errori per non ripeterli più. Oggi il mio dolore maggiore è che due anni dopo ci sia stato l’attacco a Beslan. Non siamo riusciti a svegliare i burocrati». Eppure Milovidov ci ha provato. Presidente dell’Associazione Nord-Ost, insieme agli altri familiari, ha presentato «decine» di denunce, tutte respinte dalla giustizia russa. Nel 2011 la Corte Europea per i diritti umani ha condannato la Russia per non aver individuato i responsabili dei mancati soccorsi, ma non è servito. A vent’anni dalla tragedia, sono ancora tante le domande senza risposta. «Dicono di aver usato il gas per evitare che i terroristi facessero saltare in aria il teatro e che le autorità russe fossero screditate. La mia famiglia è morta per evitare il discredito della Russia», martella Svetlana. «Mi accusano di diffamare la Russia. Ma l’unica cosa che voglio è che non ci siano altri morti». Milovidov non ha dubbi. «Con l’offensiva in Ucraina, le file dei familiari delle vittime del terrorismo s’ingrosseranno. Gli attentati sono già iniziati».
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