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Israele deve armare l'Ucraina Analisi di Ben Cohen
(traduzione di Yehudit Weisz)
Mentre la Russia continua a colpire i centri abitati ucraini con droni “kamikaze” fabbricati in Iran, è sicuramente giunto il momento per Israele di armare il governo democratico di Kiev. Ovviamente si è riacceso il dibattito se Israele debba farlo, ma il Ministro della Difesa dello Stato ebraico, Benny Gantz, continua a resistere agli appelli sia degli ucraini che di un certo numero di autorevoli israeliani. La scorsa settimana, il Ministro per gli Affari della Diaspora Nachman Shai è andato su Twitter per esortare i suoi colleghi di governo a fornire armi all'Ucraina “proprio come fanno gli Stati Uniti e i Paesi della NATO.” Da parte sua, Natan Sharansky, probabilmente il più famoso refusenik dell'era sovietica ed ex Presidente dell'Agenzia Ebraica per Israele, ha praticamente schernito il governo, asserendo che Israele fosse “l'ultimo Paese libero al mondo che ha ancora paura di irritare [Il Presidente russo Vladimir] Putin.” Fin dall'invasione russa, alla fine di febbraio, Sharansky aveva sollecitato un maggiore sostegno israeliano all'Ucraina. Già in aprile, aveva chiesto a voce alta se l'allora Primo Ministro israeliano Naftali Bennett avesse “paura” del “criminale” Putin dopo che Gerusalemme aveva respinto le richieste ucraine di armamenti e sistemi antimissilistici. Sebbene Sharansky sia apprezzato in Israele per essersi opposto ai governanti dell'Unione Sovietica durante gli anni '70 per la sua ostinazione sia di praticare il suo ebraismo sia di emigrare in Israele, si ha la netta impressione che l'attuale governo israeliano desideri solo che lui chiuda la bocca su questo particolare argomento, e che la smetta di sollecitare i leader israeliani con dilemmi morali e strategici che loro preferirebbero non affrontare. Eppure, non sono convinto che “paura” sia la parola giusta in questo contesto. Quando ho intervistato l'intellettuale ebreo francese Bernard-Henri Lévy la scorsa settimana sul suo nuovo film documentario, “Pourquoi l'Ukraine”, mi ha detto che non era a conoscenza di una sola persona nel governo israeliano “che abbia qualche tipo di simpatia per Putin.” Allo stesso tempo, Lévy vuole che Israele e altri Paesi democratici intensifichino i loro sforzi per assicurarsi una vittoria ucraina e, in questo senso, il commento di Sharansky non può essere biasimato. Che sia la paura o la prudenza o qualcos'altro che governa la politica israeliana nei confronti della Russia, resta il fatto che potrebbe ancora fare di più. Molto di più.
C'è un altro fatto – in pratica, quello che questo dibattito sta proprio affrontando – che la dice lunga sul cambiamento dello status di Israele nella politica mondiale in un brevissimo lasso di tempo. Negli ultimi decenni del ventesimo secolo, i ministeri degli esteri, in modo particolare in Europa, disdegnavano abitualmente i contatti diplomatici e le visite ufficiali in Israele per paura di offendere la potente lobby petrolifera araba. Ma gli anni 2020 sono molto diversi, con diversi Stati arabi che ora hanno relazioni diplomatiche complete con Israele e con la maggior parte del mondo sono impegnati in vivaci relazioni commerciali. Sorprendentemente, per chiunque ricordi la crisi petrolifera del 1973, dopo 50 anni Israele non solo è un fornitore di energia, ma è anche un partner cruciale in tempi di crisi.
Mentre la comunità internazionale ha affrontato l'impatto dell'invasione sulle forniture energetiche nelle prime settimane di guerra, Israele ha firmato un accordo a giugno con l'UE per fornire al Blocco gas naturale attraverso l'Egitto. “Questo è un momento storico in cui il piccolo Paese di Israele diventa un attore rilevante nel mercato energetico globale”, ha detto all'epoca il Ministro dell'Energia israeliano Karine Elharrar. Con quella posizione rafforzata viene anche la responsabilità. Essendo una potenza in crescita nel mondo, Israele ha bisogno di adeguare la sua politica estera di conseguenza, guardando oltre il proprio angolo di visuale e prestando maggiore attenzione all'equilibrio di potere tra le democrazie occidentali e gli Stati autoritari come Russia e Cina. Negli ultimi 20 anni, Israele ha goduto di migliori rapporti diplomatici e commerciali con entrambi, mentre la situazione attuale pone gli attuali leader del Paese di fronte ad una scelta netta. Israele si è sempre considerato parte del mondo democratico, ma ora non si limita più ad essere in linea con il ritornello, in una situazione dove le sue opinioni su una questione al di fuori della sua regione non contano. È diventato un giocatore in campo e l'Ucraina è il luogo in cui ciò può essere dimostrato senza dubbio. L'offerta di Gantz della scorsa settimana di fornire all'Ucraina un sistema di allerta precoce per difendersi dagli attacchi missilistici russi è stata ignorata dall'inviato di Kiev a Tel Aviv, Yevhen Kornichuk, che l'ha liquidata come "non più rilevante" e ha ripetuto la richiesta del suo Paese di Iron Beam (Raggio di ferro per abbattere droni), Barak -8, Intercettori Patriot, Iron Dome, David's Sling e Arrow. I leader ucraini si sono anche riversati sui social media per dire agli israeliani che saranno i principali beneficiari di qualsiasi assistenza militare, poiché il nemico lì, come in Medio Oriente, è il regime iraniano e i suoi droni. Infine, gli ucraini stanno sottolineando che gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO hanno già fornito sistemi di difesa aerea e ne stanno fornendo altri, il che significa che Israele sarebbe in buona compagnia se dovesse cambiare la sua politica.
Ma come reagirebbe la Russia se Israele dovesse armare l'Ucraina? L'ex presidente e lacchè di Putin, Dimitri Medvedev, ha avvertito che una tale mossa "sarebbe un passo molto sconsiderato" che "distruggerebbe" le relazioni tra Mosca e Gerusalemme. In pratica, ciò significherebbe una maggiore ansia israeliana per l'attività russa nella vicina Siria, dove l'Iran avrebbe probabilmente più libero sfogo, e preoccupazioni molto serie nei confronti dei circa 100.000 ebrei che rimangono in Russia e che dovrebbero affrontare un nuovo attacco di persecuzioni, sponsorizzate dallo Stato dopo tre decenni di relativo sollievo.
Ben Cohen, esperto di antisemitismo, scrive sul Jewish News Syndicate
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