Iran e Russia sempre più alleati Analisi di Cecilia Sala
Testata: Il Foglio Data: 20 ottobre 2022 Pagina: 1 Autore: Cecilia Sala Titolo: «La bomba dell’Iran»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 20/10/2022, a pag.1, con il titolo "La bomba dell’Iran", l'analisi di Cecilia Sala.
Cecilia Sala
Roma. Il negoziato fallimentare per tornare all’accordo sul nucleare iraniano è uscito dall’agenda della Casa Bianca e tra i potenti di Teheran è nata una nuova corrente di pensiero che dice: “Un programma atomico lasciato a metà è solo una sciagura, a questo punto facciamolo diventare una minaccia reale perché così com’è serve esclusivamente all’altra parte (l’occidente) per muoversi contro di noi (sanzionandoci)”. L’idea è venuta all’ex capo dell’agenzia nucleare della Repubblica islamica Ali Akbar Salehi, il ragionamento è suo. Fino a questo momento la posizione ufficiale dell’Iran è sempre stata che il programma nucleare non dovrebbe essere una preoccupazione per la comunità internazionale perché serve solo per scopi civili. Serve per l’energia, per gli ospedali e per l’industria farmaceutica. La Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, ha anche emesso una fatwa contro lo sviluppo di bombe atomiche. In realtà, da quando il partito conservatore ha stravinto le elezioni legislative di due anni fa (si erano tenute un mese e mezzo dopo l’uccisione con un drone americano del generale iraniano Qassem Suleimani per ordine di Donald Trump), il Parlamento ha sempre autorizzato aumenti progressivi della soglia consentita di arricchimento dell’uranio: oggi l’Iran possiede uranio arricchito a più del sessanta per cento e quelle scorte conservate sotto terra sono assolutamente inutili per gli scopi civili (per i quali è sufficiente un arricchimento al quattro per cento) e diventano utili solo se l’obiettivo è andare nella direzione di un’arma atomica. Per fare questo passo all’Iran non mancano né la strumentazione tecnica, né le competenze scientifiche né l’uranio arricchito: fino a ora è sempre mancata la volontà politica. Da cinque settimane nel paese ci sono delle proteste imparagonabili per determinazione ed estensione a quelle del 2019, del 2017 e del 2009 che la propaganda di Khamenei vorrebbe “orchestrate dall’esterno, dagli Stati Uniti e da Israele”. Contemporaneamente all’inizio delle manifestazioni in Iran, Vladimir Putin ha cominciato a usare i droni suicidi iraniani Shahed-136 sul campo in Ucraina, mandandoli a schiantarsi contro le infrastrutture civili e i palazzi di Kyiv per risparmiare i suoi missili russi. Questi due eventi contemporanei hanno portato l’Amministrazione americana a escludere l’ipotesi di proseguire nel negoziato indiretto con la Repubblica islamica per tornare all’accordo siglato nel 2015 tra Barack Obama e l’allora governo riformista di Teheran, un patto da cui Trump era uscito unilateralmente nel 2018. Robert Malley, l’inviato speciale di Joe Biden per l’Iran che è considerato “la colomba per eccellenza” della diplomazia di Washington, dopo aver visto la repressione nelle strade dell’Iran e i danni che stanno facendo i droni della Repubblica islamica in Ucraina – e dopo la notizia data dal New York Times che cita fonti di intelligence secondo cui gli istruttori iraniani starebbero arrivando in Crimea – ha detto che i colloqui per tornare all’accordo “non sono più nella nostra agenda”. Solo un mese fa il quotidiano Kayhan – il cui direttore è nominato direttamente dalla Guida suprema – scriveva che, nonostante le conoscenze tecniche per costruire una bomba nucleare non manchino, pensare di farlo “non è all’ordine del giorno”. L’attuale capo dell’Agenzia per l’energia atomica iraniana, Mohammad Eslami, aveva fatto una dichiarazione simile. Ma nell’ultimo mese per la Repubblica islamica è cambiata ogni cosa e ora il falco Salehi preme dicendo: non abbiamo più niente da perdere.
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