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Il Foglio Rassegna Stampa
18.10.2022 Nel carcere di Evin si pensa a trasformare la protesta in rivoluzione
Analisi di Cecilia Sala

Testata: Il Foglio
Data: 18 ottobre 2022
Pagina: 6
Autore: Cecilia Sala
Titolo: «Nel carcere di Evin si pensa a trasformare la protesta in rivoluzione»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/10/2022, a pag.6, con il titolo "Nel carcere di Evin si pensa a trasformare la protesta in rivoluzione", l'analisi di Cecilia Sala.

Cecilia Sala (@ceciliasala) | Twitter
Cecilia Sala

Evin - Wikipedia
Evin

Roma. La sera di sabato è scoppiato un grande incendio nel settore numero sette del carcere di Evin, a Teheran. Ci sono state quattro esplosioni e una prima sparatoria dentro la struttura, poi un’altra sulla collina alle spalle del carcere. Le cause dell’incendio non sono ancora chiare ma nessuno dei partecipanti alla protesta sentiti dal Foglio crede alla versione ufficiale data dalle autorità iraniane: dei condannati per reati che vanno dalla rapina al narcotraffico hanno iniziato una rissa con le guardie carcerarie, la situazione è degenerata e i criminali rivoltosi hanno appiccato il fuoco alla sartoria interna dove i detenuti cuciono le divise. Nel settore numero sette ci sono anche detenuti politici, non solo i condannati per reati finanziari che sono gli unici a cui facciano riferimento le agenzie governative. Le manifestazioni cominciate un mese fa con la morte di Mahsa Amini mentre era in custodia della 21-Tir (la “polizia religiosa” della Repubblica islamica), fino a questo momento sono state delle dimostrazioni spontanee molto partecipate, ma senza punti di riferimento chiari e senza gruppi o sigle a coordinare la rivolta. Per questo motivo anche le versioni date al Foglio da chi a Teheran scende in piazza da settimane – compreso un ragazzo che è stato arrestato e poi rilasciato dopo aver passato dieci giorni a Evin – divergono almeno su un punto. Andiamo con ordine. A Evin vivono più di diecimila detenuti, ma Evin non assomiglia ad altre carceri iraniane ed è la struttura dove, fino a un mese fa, era impossibile immaginare una ribellione perché il rapporto tra poliziotti e prigionieri è di quasi uno a otto. Non è un carcere come Regina Coeli o San Vittore, con detenuti comuni e problemi di sovraffollamento, assomiglia più a quello di Milano Opera dove ha scontato l’ergastolo Totò Riina e dove non ci sono problemi di spazio proprio perché ogni movimento deve poter essere controllato. “Ma da un mese a questa parte Evin è un’altra cosa, io sono stato liberato per problemi di spazio, non per generosità del regime. E’ un problema che le autorità hanno in tutto il paese: siamo troppi per seguirci tutti e troppi per arrestarci tutti. Il controllo totale di cui in tempi normali è capace la Repubblica islamica è semplicemente saltato e Evin ne è l’emblema perfetto”, racconta al Foglio Majid. La versione di alcuni manifestanti riuniti in un gruppo Telegram (che usano anche per darsi gli appuntamenti in piazza) è che la rissa sia stata solo un pretesto usato dalle autorità per iniziare un massacro dentro la prigione, che è piena di giovani detenuti politici. L’immagine del profilo del gruppo è uno striscione con la scritta in farsi: “Teheran è una prigione, Evin è un’università”. La versione di Majid è diversa: sono stati i manifestanti arrestati ad appiccare l’incendio e innescare la rivolta dentro al carcere, perché questa protesta è diversa dalle precedenti, più ambiziosa, e sabato ha deciso di iniziare a sfruttare la novità di un relativa fragilità degli apparati di sicurezza che in passato non si era mai verificata. I vertici della Repubblica islamica oggi sono particolarmente paranoici ma è difficile spiegare che una rivolta di pochi detenuti per reati finanziari sedata in mezz’ora (dicono le autorità) giustifichi un dispiegamento di forze come quello che c’è stato la notte di sabato. Niloufar, una signora che vive nel quartiere di Sa’adat Abad, accanto alla prigione, racconta che c’erano i carri armati per la strada e le forze speciali citofonavano a ogni palazzo per posizionare i cecchini al dodicesimo piano nel complesso residenziale in cui abita. Su ognuno di questi punti il racconto di Niloufar combacia con quello di Majid: “Il tentativo era che i manifestanti dentro e fuori Evin si ricongiungessero, ma i pasdaran si sono mossi in fretta, hanno bloccato le strade, erano armati per fare una guerra e, questa volta, erano troppi”.

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lettere@ilfoglio.it

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