Testata: La Stampa Data: 16 ottobre 2022 Pagina: 4 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Dall'ufficio alla bara in quindici giorni i 'mobik', carne da cannone di Putin»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/10/2022, a pag. 4, con il titolo "Dall'ufficio alla bara in quindici giorni i 'mobik', carne da cannone di Putin", l'analisi di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Putin come Hitler?
Aleksey Martynov, Lyosha per gli amici, aveva fatto un'ottima carriera: era capo dipartimento del comune di Mosca a soli 28 anni, con un buon stipendio e grandi prospettive. Era stato arruolato il 23 settembre, avendo alle spalle il servizio di leva nel reggimento cerimoniale Semyonovsky, e il 10 ottobre è stato ucciso al fronte ucraino, dopo pochi giorni di un addestramento sommario. Il giornalista Roman Super, che dall'inizio della guerra nel suo canale Telegram sta pubblicando storie di ordinaria resistenza, racconta che dopo la notizia che Lyosha tornerà a casa in una bara i dipendenti del comune si stanno licenziando in massa: «Pubblicitari, informatici, marketing, ma anche funzionari, che se ne vanno lasciando un biglietto di dimissioni nel cassetto». I russi continuano a votare con i piedi, e la coda più lunga a Mosca è quella per gli uffici dell'anagrafe che mettono l'apostille, una procedura che autentica i documenti nazionali rendendoli validi all'estero. Tre settimane dopo la chiamata alle armi dichiarata da Vladimir Putin, almeno un milione di russi è scappato in Turchia, Georgia, Kazakhstan, Mongolia, e tanti altri si preparano a seguire il loro esempio. A Mosca e a Pietroburgo sono decine gli uomini fermati per strada, in palestra, al supermercato, in metropolitana, portati in caserma e sequestrati in attesa di venire spediti al fronte, in una campagna di reclutamento che assomiglia a un rastrellamento e che non risparmia anziani, malati, disabili e padri di famiglia. Qualche commentatore ha ipotizzato che questa mobilitazione brutale – migliaia di uomini russi hanno dovuto lasciare le loro case, fuggire in campagna o evitare di uscire per non farsi catturare – fosse stata organizzata appositamente per screditare il ministro della Difesa Serghey Shoigu. Ma la spietata illegalità dei sequestri per strada dei futuri "mobik" - come vengono chiamati sprezzantemente i neomobilitati – non è stata un fenomeno isolato, ed è talmente caratteristica del sistema repressivo russo da non stupire nessuno: nella burocrazia ereditata quasi intatta dall'Urss, l'importante è accontentare i superiori dando loro i numeri di reclute richiesti, e se poi risultano inadatti perfino a diventare carne da cannone sono problemi dei superiori al Cremlino. La mobilitazione ordinata da Putin stava facendo vacillare il suo regime, ed è sintomatico che a denunciare la morte di Lyosha Martynov, e le numerose coscrizioni illegali e coercitive, siano stati giornalisti dei media propagandistici come RT. La notizia che alcuni "mobik" intenzionati ad arrendersi agli ucraini – che stanno facendo una campagna molto abile per convincere i russi a consegnarsi a loro invece di rischiare la vita – abbiano ucciso l'ufficiale che cercava di impedirlo ha spaventato probabilmente il Cremlino.
Forse anche il negoziato di giovedì con Recep Tayyip Erdogan non è andato come sperava la Russia, e in poche ore Putin è passato da una pioggia di missili e minacce nucleari a un'apparente ridimensionamento delle sue ambizioni territoriali, facendo ricorso a un classico russo, quello dello Zar ingannato dai boiardi che scopre le loro malefatte per ristabilire la giustizia. Ora promette che la mobilitazione finirà a breve, raggiunti i 300 mila effettivi: un numero totalmente insufficiente per una eventuale avanzata, e infatti parla di «mantenere la linea» di contatto, nulla di più. Intanto per Mosca girano voci di una lista dei propagandisti più agguerriti – i cosiddetti "corrispondenti di guerra" che avevano criticato violentemente i vertici militari e chiesto un'escalation sul terreno – che sarebbero indagati dalla procura. Una voce smentita dalla capa della propaganda di RT Margarita Simonyan come «impossibile», ma che viene considerata un avvertimento ai falchi più aggressivi, soprattutto a quelli legati al leader ceceno Ramzan Kadyrov e al capo dei mercenari del gruppo Wagner Evgeny Prigozhin, che avevano fatto una campagna pubblica per la destituzione di Shoigu e del capo dello Stato Maggiore Valery Gerasimov, e la nomina di Aleksey Dyumin, ex guardia del corpo di Putin ora promosso a governatore di Tula e considerato un possibile "delfino" del presidente. Dopo aver dato ascolto ai falchi, ieri il presidente russo ha voluto mostrarsi meno agguerrito: resta la domanda se si tratta di un diversivo negoziale, di una nuova puntata nella faida tra clan militari intorno al Cremlino, o della realizzazione finalmente di un disastro dal quale Putin può uscire soltanto a marcia indietro.
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/ 65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante