La rivolta nel carcere dei dissidenti iraniani. Lì c’è Alessia Piperno Cronaca di Gabriella Colarusso
Testata: La Repubblica Data: 16 ottobre 2022 Pagina: 17 Autore: Gabriella Colarusso Titolo: «La rivolta nel carcere dei dissidenti iraniani. Lì c’è Alessia Piperno»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 16/10/2022, a pag.17, con il titolo "La rivolta nel carcere dei dissidenti iraniani. Lì c’è Alessia Piperno", la cronaca di Gabriella Colarusso.
Gabriella Colarusso
Ali Khamenei - le proteste delle donne iraniane
Brucia il carcere di Evin, simbolo della repressione politica in Iran, nei giorni in cui l’ondata di proteste scatenata dalla morte di Mahsa Amini scuote alle fondamenta il consenso della Repubblica Islamica. Per moltissimi iraniani Evin non è una semplice prigione, è la cella in cui la teocrazia guidata dall’ayatollah Ali Khamenei ha rinchiuso il dissenso e ogni forma di critica al sistema: prigionieri politici, attivisti, intellettuali, avvocati, studenti, anche tanti di quelli che sono stati arrestati nelle ultime settimane. «Molte delle menti migliori dell’Iran sono chiuse lì dentro», ci dice Asma, attivista. Lì sarebbe detenuta anche Alessia Piperno, la ragazza italiana arrestata mentre era in viaggio a Teheran agli inizi di ottobre. Il primo allarme ieri sera intorno alle 21: una colonna di fumo si alza sulla cittadella fortificata ai piedi dei monti Alborz, a Nord di Teheran, che fu fatta costruire dallo Scià. Si sentono spari, almeno due esplosioni. Video verificati da giornalisti indipendenti mostrano le colonne di agenti delle unità speciali dirigersi verso il reparto sette, dove ci sono i detenuti accusati di reati finanziari, quelli in attesa di processo ma anche prigionieri politici. La telecamera di un cittadino che filma dalla torre Atisaz, poco distante da Evin, inquadra un gruppo di prigionieri sul tetto. Si sentono le urla probabilmente di persone fuori dal carcere: «Morte al dittatore », «Azadi», (“Libertà”). Alcuni parenti delle vittime si precipitano davanti alla prigione ma vengono respinti dalle forze di sicurezza, si alza la tensione, tutte le strade che portano a Evin vengono chiuse.
Alessia Piperno
Non è chiaro cosa sia successo all’interno. Fonti iraniane parlano di una rivolta di un gruppo di prigionieri. Intorno alle 22.30 i media di Stato provano rassicurare: «La situazione è sotto controllo», scrive l’agenzia di stampa ufficiale Irna citando un funzionario della sicurezza: «I teppisti hanno dato fuoco a un magazzino di vestiti all’interno della prigione di Evin, provocando un incendio», ci sono stati scontri tra “rivoltosi” e guardie carcerarie, sostiene il funzionario. Almeno otto persone sono ferite. La società civile si mobilita, si temono morti, c’è persino chi evoca il massacro dell’incendio del Cinema Rex ad Abadan che nell’agosto del 1978 accelerò la caduta dello Scià. «Molti attivisti e prigionieri politici sono detenuti a Evin. Le autorità iraniane e Khamenei sono responsabili della vita dei prigionieri!», scrive Amiry Moghaddam, della ong Iran Human Rights. L’incendio è avvenuto dopo una giornata in cui migliaia di persone sono tornate in piazza, come ormai accade da un mese. All’università di Teheran gli studenti cantavano uno degli slogan principali del movimento nato in reazione alla morte di Mahsa Amini nelle mani della polizia morale: «Teheran è una prigione, Evin è una università», riferendosi proprio ai tantissimi intellettuali e attivisti rinchiusi nel carcere, come l’avvocatessa premio Shakarov Nasrin Sotoudeh, o il politico riformista Mostafa Tajzadeh. La tensione è salita ad Arda bil, nel Nord-Ovest del Paese, dove le notizie di un raid della polizia all’interno di una scuola, durante il quale sarebbe morta una studentessa, hanno infiammato la popolazione. A Sanandaj, capoluogo della provincia curda, i negozi hanno abbassato le serrande per lo sciopero convocato in tutta la regione. Almeno 233 manifestanti sono stati uccisi dall’inizio delle manifestazioni, secondo la ong Hrana, 32 avevano meno di 18 anni. Il governo sostiene che le proteste siano frutto diforze esterne, un complotto occidentale ordito per indebolire la Repubblica Islamica. Ma la rabbia popolare arde e dai tetti di Teheran, Rasht, Sanandaj si alza il grido, “Donna, Vita, Libertà”.
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