Walter Russell Mead, illustre storico delle relazioni internazionali americano, afferma – così riferisce Giuliano Ferrara sul “Foglio” di ieri – che la deterrenza messa in atto dagli Stati Uniti e dall’Occidente nei confronti della Russia ha fallito, tanto è vero che Putin ha invaso l’Ucraina. L’affermazione di Mead, condivisa da Ferrara, è troppo drastica e conviene che sia convenientemente approfondita per spiegare meglio ciò che è avvenuto con la guerra di Ucraina. La deterrenza ha varie modalità di applicazione a seconda dei contesti e delle forze che sono in conflitto. Nel caso dell’Iran, per esempio, la deterrenza è stata concepita dagli Stati Uniti secondo una logica del tutto diversa da quella applicata nel caso della Russia. L’ingresso massiccio di molti Paesi dell’Europa Orientale, in precedenza sotto l’egida del comunismo sovietico, nella Nato, con il conseguente coinvolgimento nella sfera occidentale, è stata la forma di deterrenza applicata nei confronti della Russia di Putin al fine di indurla ad abbandonare ogni forma di velleità verso una parte fondamentale dell’ex Impero Sovietico. Il fatto che ora Putin abbia invaso l’Ucraina non significa che la deterrenza sia stata un fallimento, ma che Putin stia rischiando il tutto per tutto per restituire alla Russia l’antica egemonia nell’Europa Orientale, con questo andando incontro a una disfatta totale. L’uso minacciato dell’arma nucleare nei confronti dell’Ucraina è la rappresentazione del fallimento dello spaventoso azzardo di Putin.
Una seconda forma di deterrenza è stata applicata dagli Stati Uniti nel caso dell’Iran. Ripetutamente, Netanyahu aveva avvertito che le trattative con l’Iran sul nucleare erano una forma di deterrenza fallimentare. Già nel 2015, quando Obama firmò con il regime terroristico di Teheran gli accordi sul nucleare iraniano, Netanyahu condannò quegli esiti, giudicandoli molto pericolosi per la sicurezza di Israele. In questo caso, la deterrenza per mezzo degli accordi non aveva senso, perché – come si è visto nel corso degli anni successivi al 2015 – Teheran ha utilizzato quello strumento per incrementare silenziosamente il progetto nucleare già avviato in precedenza. Il governo di Netanyahu disapprovò con grande fermezza quegli accordi perché giustamente paventava che l’Iran non li avrebbe rispettati. Trump, poi, cancellò quegli accordi; ma in un caso e nell’altro, la “deterrenza negoziale” era una deterrenza che avvantaggiava una delle due parti.
Oggi, gli Stati Uniti sono ancora alle prese con quegli accordi del 2015, nel tentativo di rinnovarli, con o senza modifiche. I negoziati di Vienna sono in una fase di stallo per volontà del regime di Teheran: ogni lasso di tempo senza giungere all’intesa finale favorisce il piano iraniano di completamento del progetto nucleare. Anche in questo caso, ripetutamente, il governo israeliano ha messo in guardia l’Amministrazione Biden del pericolo di rinnovare accordi che possono essere utilizzati da Teheran per giungere allo scopo finale: il possesso definitivo dell’arma nucleare. La velleità di Biden di riproporre un ruolo di primo attore per gli Stati Uniti nel Medio Oriente non può andare in porto restaurando i contenuti del 2015, ma al contrario confermando e incrementando le sanzioni verso il regime terrorista iraniano, sulla scia delle formidabili contestazioni che hanno vita nelle strade e nelle piazze delle città iraniane. La deterrenza per mezzo di accordi con Teheran non ha alcuna possibilità di successo; è uno strumento che favorisce gli ayatollah.
La deterrenza nucleare tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica aveva un senso perché evitava la mutua distruzione; per di più, teneva sotto scacco Mosca, perché gli armamenti americani tradizionali e nucleari erano superiori a quelli sovietici per via di una tecnologia sofisticata ben più avanzata di quella comunista. L’azzardo di Putin sta proprio nella mancanza di realismo che era proprio della dirigenza sovietica. Da parte di Washington, d’altro canto, occorrerebbe tener presente l’ammonimento di Henry Kissinger: “Gli Stati Uniti non dimenticheranno mai che l’antagonismo tra la libertà e i suoi nemici è parte della realtà dell’età moderna” (American Foreign Policy, 1969).