Gli errori dei filo-Putin Analisi di Luigi Manconi
Testata: La Repubblica Data: 03 ottobre 2022 Pagina: 26 Autore: Luigi Manconi Titolo: «Gli errori dei filo-Putin»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/10/2022, a pag.26, con il titolo "Gli errori dei filo-Putin" il commento di Luigi Manconi.
Vladimir Putin
È malinconico constatare che, tra quanti hanno criticato aspramente la politica di sostegno alla resistenza ucraina e l’invio delle armi, non uno ha avviato mezza riflessione autocritica sull’errore di valutazione compiuto. E che errore! All’indomani dell’invasione del 24 febbraio scorso, tanti invitavano gli ucraini ad arrendersi, dal momento che l’enorme disparità di mezzi militari rendeva inevitabile e prossima la sconfitta degli aggrediti. Era l’inveramento grottesco del classico “non fasciamoci la testa prima che si sia rotta”, ma specularmente ribaltato nel paradigma della Capitolazione anticipata: qui la testa la si fascia in anticipo e a braccia alzate e la resa la si vorrebbe immediata e, alla lettera, senza colpo ferire. Se le cose fossero andate così, il dossier Ucraina sarebbe stato chiuso e archiviato in capo a pochi giorni. Uno Stato instabile e imperfetto, segnato da molti limiti e da tante contraddizioni, esposto a tendenze regressive, eppure indipendente sarebbe stato semplicemente cancellato; e la sua popolazione asservita, le sue istituzioni sottomesse, la sua sovranità annullata. Le conseguenze di ciò per gli ucraini, in termini di sofferenza e di subordinazione, non sarebbero state meno atroci di quelle finora patite, col rischio di un brutale strappo nella carta geografica e della distruzione di una identità e di una cultura. Non solo. Si assiste a un ulteriore ribaltamento, capace di determinare un nuovo e perverso paradigma, “il coltello e la spingarda”: se tu agiti una lama da cucina e l’altro ti risponde con una macchina da guerra, la colpa è tutta tua. Perché non hai lasciato quella posata nel cassetto? La minaccia del ricorso all’atomica, nella forma delle armi tattiche nucleari, evocata dalla Russia viene attribuita alla volontà dell’Ucraina di non cedere. E, ancor più, alla sua capacità di controffensiva. Quasi che una vittoria senza resistenza da parte della Russia non avrebbe portato, in ogni caso, a una ancora più accentuata tendenza del Cremlino a estendere le sue mire imperialiste. Di conseguenza, anche l’annessione di quattro territori ucraini (Donetsk, Lugansk, Kherson, Zhaporizhzhia) non viene letta come il disvelamento – di questo in effetti si tratta – della natura reale della Federazione russa, dei suoi obiettivi di fondo e delle sue finalità strategiche di lunga gittata, bensì come l’effetto di una spirale nella quale aggressori e aggrediti hanno la medesima responsabilità. E qui interviene un terzo paradigma, quello che sulla scia di una celeberrima aria può dirsi “Questa o quella per me pari sono”. Icritici del sostegno alla resistenza ucraina impiegano le loro energie per azzerare – una volta malmostosamente riconosciuto che «la Russia è l’aggressore» – le colpe degli uni e degli altri. E così la componente nazista indubbiamente presente nel battaglione Azov, e forse non solo lì, diventa la ragione preponderante che impedisce di schierarsi dalla parte degli ucraini; e, soprattutto, fa sì che si realizzi un meschino bilanciamento dei torti e che si avvii un’opera di macabra contabilità tra le vittime dell’una e dell’altra parte; e si arrivi fino a quella umiliante investigazione della verità che ha portato anche qualche brava persona, indagando tra specchietti retrovisori e improvvisate dichiarazioni di un sindaco, a dubitare delle responsabilità russe nella strage di Bucha (a proposito, anche in questo caso, nessuna autocritica?). Perfino la predicazione di Papa Francesco viene piegata a quella finalità e il suo ripudio della guerra diventa uno strumento di propaganda, così dimenticando che il Pontefice parla di una situazione già in atto («Terza Guerra Mondiale a pezzi») e non dell’effetto della resistenza dell’Ucraina, il cui “diritto all’autodifesa” lo stesso Pontefice ha ribadito di recente. Insomma, come suggerisce la psicologia cognitivista, si ha una prevalenza della cornice sul quadro, dello scenario sulla realtà, della costruzione artificiale sui fenomeni concreti. Ne consegue che i processi mentali di giudizio manifestano deibias cognitivi: una distorsione nella valutazione determinata dalla costruzione di una propria realtà soggettiva, che si sottrae all’evidenza dei fatti per privilegiare l’interpretazione tutta personale e pregiudiziale di dati, informazioni e percezioni in proprio possesso, senza alcuna capacità di selezione razionale e di discernimento nella gerarchia delle fonti e delle dinamiche di causa-effetto. Si arriva in tal modo agevolmente a una considerazione generale, dove la politica degli Stati Uniti, che a sua volta sembra perdere ogni prudenza, diventa la causa di tutto e l’origine del Male, facendo perdere di vista le radici materiali degli eventi. Così da quella distorsione del giudizio risulta assai difficile emanciparsi, perché la pigrizia dei luoghi comuni e dei preconcetti consolidati rende gradevole e rassicurante adagiarsi in un ambiente intellettuale, peraltro dotato di tutti i comfort, dove un despota da oltre ventidue anni al potere viene equiparato ai leader degli Stati di diritto; e una autocrazia criminale appare equivalente, alla resa dei conti, alle nostre fragili e affaticate democrazie.
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