Testata: La Repubblica Data: 03 ottobre 2022 Pagina: 7 Autore: Corrado Zunino Titolo: «A Est i russi sono in fuga: 'Ci riprendiamo le città non reggono all’inverno'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 03/10/2022, a pag. 7, con il titolo "A Est i russi sono in fuga: 'Ci riprendiamo le città non reggono all’inverno' ", l'analisi di Corrado Zunino.
Corrado Zunino
Volodymir Zelensky
I soldati russi in precipitosa fuga non sono più tra i boschi, preziosi, di Lyman. Quelli che non sono rimasti a terra, si sono riposizionati, meglio, nascosti, lungo la direttrice per Kreminna. Ed è lì, sempre un po’ più a est, in una controffensiva ucraina che spinge fuori l’Armata, che ora si sentono colpi di artiglieria. La città di Lyman, con il Parco nazionale di Sviati Hory che scende verso Slovjansk e Bakhmut, parco ridotto a porcilaia da quattro mesi di bivacchi russi, è completamente liberata. Da ieri alle 12,30, come ha annunciato il presidente Volodymir Zelensky. Sono quasi cinquemila, in questo oriente d’Ucraina densamente urbanizzato, gli insediamenti ripresi dalla controffensiva iniziata nei primi giorni di settembre e guidata dalla 93a Brigata meccanizzata. Adesso, dopo la riconquista di Izjum e Lyman, a cavallo tra l’oblast di Kharkhiv e il Donbass di Donetsk, le unità stanno consolidando le prese diTorske e Zarichne, Yampolivka e Terny. Roman Vlasenko, il capo militare di Severodonetsk, la città presa dai russi il 24 giugno dopo un assedio durato due mesi, dice a Repubblica : «Il nostro esercito adesso guarda al Lugansk, quasi tutto nelle mani degli occupanti. Dopo aver attaccato, e preso, Kreminna e Svatove, le forze ucraine torneranno a occuparsi di noi». Di Severodonetsk, appunto, una città grande, centomila abitanti, che dalla scorsa primavera è diventata un simbolo. E si occuperanno della città gemella, Lysychansk. Entrambe ospitano una popolazione stremata: «Non sono pronte ad affrontare l’inverno», spiega Vlasenko. Le parole di allora, fine giugno, dette dal consigliere presidenziale Oleksji Arestovych a proposito della ritirata ucraina con le zattere nel fiume, ora suonano profetiche: «Nel Donbass i russi ci stavano costringendo a combattere come vogliono loro, testa contro testa, come gli arieti. È meglio arretrare, risparmiare vite, mantenere le armi e poi, quando saremo ben equipaggiati grazie ai nuovi aiuti occidentali, tornare a conquistare il terreno perduto». Le armi occidentali, in particolare i lanciarazzi multipli Himars, sono arrivate e ora i battaglioni di casa possono rifornirsi anche dei mezzi abbandonati dall’Armata nella foresta e tra i campi: non ci sono abbastanza trattori per spostare i carri armati russi. I soldati della Guardia nazionale si sono presi un T-72B3 di fabbricazione sovietica minimamente danneggiato: tornerà a combattere sull’altro versante. E i resti di un caccia supersonico mostrano che la contraerea ucraina, a Lyman, ha inflitto perdite pesanti. I trattati sulle regioni annesse, ieri diffusi dal Cremlino, hanno chiarito che i confini dei quattro territori ucraini occupati saranno quelli esistenti il giorno dell’annessione. In 48 ore, però, le incursioni ucraine hanno già cambiato quella geografia e presumibilmente la cambieranno nelle prossime ore. Tra l’altro, l’operazione di invio di battaglioni di coscritti non addestrati in queste aree di fronte, da una parte sta mostrando dei ritardi e dall’altra potrebbe aumentare il livello delle perdite dell’esercito russo senza offrire alcuna svolta alla guerra. Le perdite degli ucraini, segnalano diversi analisti, sono rimaste tra il 10 e il 20 per cento del contingente. Ed è a Lyman che si è consumato un tradimento dell’esercito russo che sta facendo fibrillare i vertici militari. Ex generali dicono che non si doveva attendere l’accerchiamento per iniziare una ritirata dalla città a quel punto diventata luttuosa. «Venerdì scorso i soldati avrebbero dovuto lasciare l’area, ma è stato Putin a dare l’ordine di non rovinare la cerimonia dell’annessione con l’annuncio di una sconfitta». Un giorno di resistenza in più ha significato morti in più, un sacrificio dettato dal cinismo del presidente.
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