Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 02/10/2022, a pag.14, l'intervista di Rosalba Castelletti dal titolo "Galljamov: 'L’atomica per Putin è un ultimo atto. Potrebbe esserci il golpe' ".
Rosalba Castelletti
Putin allo specchio: ecco Stalin
Abbas Galljamov ha scritto i discorsi del presidente russo per anni, quando Vladimir Putin era appena arrivato al Cremlino e durante la sua parentesi da premier. Sull’orazione di venerdì sull’annessione di quattro regioni ucraine è spietato. «Propaganda al 99 per cento», dice al telefono conRepubblica da Tel Aviv dove vive in esilio. Oggi consulente politico indipendente, definisce Putin «inadeguato», «in guerra con la realtà» e «senza strategia». Così «debole» da poter ricorrere all’arma nucleare come extrema ratio col rischio però di provocare un golpe.
Abbas Galljamov
Che cosa pensa delle invettive di Putin contro Usa e Occidente? «Il 99 per cento di quello che ha detto era solo propaganda. Emozione. Quasi nulla che avesse conseguenze reali. L’unica cosa degna di nota è stata la sua dichiarazione di essere pronto ad andare al tavolo delle trattative, ma allo stesso tempo di non voler discutere del futuro dei territori annessi. Tutto il resto era pura ideologia. E in questa ideologia non c’era nulla di inedito. Quasi tutto quello che ha detto venerdì lo avevamo già sentito prima. La retorica anti-colonialista è stata però molto prepotente. In passato ne aveva usato soltanto frammenti. Stavolta sembrava di ascoltare non tanto il presidente della Russia, ma il leader di un Paese africano del Terzo Mondo del secolo scorso che aveva appena ottenuto l’indipendenza».
Il discorso com’è stato recepito dal pubblico russo? «Non ha causato che delusione. Sia l’élite che la popolazione hanno capito che Putin non ha più nulla di nuovo da dire. Il che significa anche che le cose continueranno ad andare allo stesso modo. Putin non ha mostrato di avere nessun asso nella manica per invertire la tendenza. E la tendenza è negativa. Gli ucraini stanno vincendo sul campo, l’economia russa sta morendo e il malcontento popolare sta crescendo. Avrebbe dovuto presentare un nuovo approccio. E invece niente».
Putin ha cercato di proiettare un’immagine di forza nel suo momento di massima debolezza. È slegato dalla realtà? «Proprio così. Putin non è in guerracon l’Ucraina, né con la Nato. È in guerra con la realtà. Dice di voler negoziare e allo stesso tempo di non voler discutere il nodo principale. Puoi mettere condizioni se stai vincendo, ma non ora che gli ucraini avanzano. Hanno conquistato Lyman. È solo questione di tempo prima che rioccupino tutti i territori annessi. Come puoi aspettarti di negoziare e non essere pronto a discutere lo status di questi territori mentre li stai perdendo militarmente? È il comportamento di una persona inadeguata».
Annettendo nuovi territori e rifiutandosi di negoziare su di essi, Putin non si è lasciato molte vie d’uscita. Quali opzioni gli restano? «Putin non ha nessuna strategia. Non è lui il leader. Non è lui a guidare, viene guidato. È in balia degli eventi e delle persone. Non ha più il controllo. Ognuno agisce autonomamenteperseguendo i propri obiettivi. È quello che succede quando sei debole e stai perdendo. Putin non voleva annettere nuovi territori in questo momento. Due settimane fa il Cremlino aveva detto che la questione dei referendum e dell’annessione era sospesa, che prima bisognava vincere sul piano militare e poi si poteva passare alla fase politica. Dopo pochi giorni le Camere pubbliche delle regioni ucraine separatiste hanno detto di voler entrare immediatamente a far parte della Russia. Questo perché i leader separatisti hanno agito in maniera autonoma. Dopo il ritiro delle truppe russe da Kharkiv hanno capito di non poter più contare sul Cremlino e di doversi salvare da soli. Hanno forzato la mano e Putin non si è potuto tirare indietro. Non poteva dire di “no” a quello che dice essere il suo stesso popolo che soffre sotto ilregime nazista ucraino. Ma in realtà non voleva l’annessione adesso. Aveva bisogno di mani libere per negoziare. Ecco perché, all’indomani dell’annuncio dei referendum, ha rilasciato i prigionieri di Azov. Voleva rendere questa pillola amara un po’ più dolce. Mostrare a Kiev un segno di buona volontà. Putin vuole negoziare. Con ieri lo ha detto già tre volte nelle ultime settimane».
Lei ha sostenuto che la forza è l’unica fonte di legittimazione per Putin. Ha perso entrambe? «Decisamente. Sta perdendo forza e legittimazione. Gli umori di protesta crescono. I consensi calano. È una tendenza che probabilmente non riuscirà a fermare. L’unica questione è quanto velocemente si svilupperà».
Il sistema politico su cui Puin si è retto per 20 anni non è più solido? «Ci sono profonde crepe. I leader separatisti, ad esempio, hanno forzato i referendum di concerto con Andrej Turchak, segretario del Consiglio generale del partito Russia Unita, agendo contro Sergej Kirienko incaricato di controllare i territori annessi. Dipenderà tutto da che cosa succederà sul campo di battaglia. Se continueranno le sconfitte, il sistema diventerà sempre più debole e Putin perderà il controllo del Paese finché il regime non crollerà. Ma se riuscirà a stabilizzare il fronte, o ad avanzare, il regime in una certa misura si consoliderà. Non tornerà mai più a essere forte come era prima del conflitto, ma guadagnerà stabilità. Dipende tutto dall’esercito ucraino».
Putin ha detto di essere pronto a difendere i nuovi territori “con ogni mezzo possibile”. Quant’è realistica la minaccia nucleare? «Finora, ogni volta che si è sentito minacciato politicamente, Putin ha scelto l’escalation. Se perdesse l’offensiva in Ucraina, perderebbe anche il potere. E per lui vorrebbe dire il carcere. Se non gli restasse altra via d’uscita, non è escluso perciò che Putin possa decidere di sferrare un attacco nucleare contro l’Ucraina. Certo, non lo vuole. Si tratterebbe dell’ extrema ratio .Ma la domanda è se l’esercito gli obbedirà. Perché, se mai Putin decidesse di sferrare un attacco nucleare, vorrebbe dire che è stato totalmente sconfitto sul piano delle armi convenzionali e che ha perso ogni legittimazione agli occhi degli ufficiali dell’esercito. Che a questo punto potrebbero rifiutarsi di eseguire i suoi comandi. E il rifiuto sarebbe un golpe».
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