Non moriremo per Putin Cronaca di Giampaolo Visetti
Testata: La Repubblica Data: 27 settembre 2022 Pagina: 32 Autore: Giampaolo Visetti Titolo: «Con i russi fuggiti in Georgia: 'Abbiamo perso tutto ma non moriamo per Putin'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 27/09/2022, a pag. 32, con il titolo "Con i russi fuggiti in Georgia: 'Abbiamo perso tutto ma non moriamo per Putin' ", la cronaca di Giampaolo Visetti.
Vladimir Putin
«Hallo pà, è fatta. Sono salvo». Lukyan mantiene subito la sua promessa. Dopo 56 ore in aereo, auto, bicicletta e a piedi, chiama casa a Mosca. «Sono in Georgia – dice in qualche modo arriverò a Batumi, forse in Turchia». Seduto a bordo pista, con gli occhi bagnati non solo dalla stanchezza, si addormenta all’istante. Attorno a lui migliaia di ragazzi russi, carichi di zaini e borsoni, sorridono disperati e proseguono silenziosi lungo la vecchia autostrada militare georgiana che attraversa il Caucaso, collegando Vladikavkaza Tbilisi. «Vediamo – ripetono all’infinito – cosa succede». La processione di chi è riuscito in extremis a fuggire dai rastrellamenti di Putin, affamato di vite a perdere da spedire al fronte in Ucraina, sale fino a oltre quota 3mila metri. Torrido di giorno, a Gudauri, gelido di notte: i crinali del Kazbek, 2mila metri più su, sono bianchi di neve. «Due giorni fa a Pyatigorsk – dice Eduard, chirurgo di 30 anni – la polizia ha cominciato a braccare in casa i miei ex compagni di scuola.Sono scappato su un pullman fino a Machackala in Daghestan, poi ho preso un volo fino a Nalcik, in Cabardino Balcaria. Qui sono arrivato in scooter: 1800 dollari per non morire in una guerra incomprensibile. Erano i risparmi per mettere su casa con la mia ragazza». Attraversare le montagne, fino a una settimana fa, era semplice e nessuno ci pensava. Adesso è un’impresa che ossessiona tutti. Centinaia di migliaia di russi arruolabili ci provano: per la maggioranza è però già impossibile scendere verso il Mar Nero, o nascondersi in Armenia. Sembrava che il Cremlino volesse ufficializzare domani divieto d’espatrio e legge marziale. I suoi agenti invece sono già sul confine per alzare i check-point «contro i traditori che disertano». Il sigillo della frontiera è un’evidenza che Mosca continua a smentire perché la sua polizia, invisibile dalla barriera georgiana, non conferma.L’incertezza scatena un panico ancora più crudele. I valichi del Caucaso però sono già di fatto bloccati e l’assalto di massa dilaga su entrambi i lati. In Ossetia del Nord la colonna dei russi in fuga parte a Vladikavkaz e supera i 40 km: servono due giorni per avanzare di 5. Chi è in Russia ormai è in trappola, non riuscirà a evitare la cartolina precetto e a espatriare senza un visto speciale. «Non resta che corrompere gli agenti – dice Evgenij, 31 anni di Izhevsk, ai piedi degli Urali – e poi pagare le guide cecene che conoscono sentieri non controllati di notte». Questa folla immensa non è fatta di dissidenti. Sono ragazzi che fino a pochi giorni fa hanno subito il potere putiniano senza ribellarsi. Ora vagano tra meleti e campi di mais, o si accampano tra mandrie di vacche e greggi in marcia verso l’Iran. Prima, aspettavano e tacevano per la pauradi perdere il presente. Ora corrono e parlano nella certezza di non avere un futuro. Davanti a ognuno, lo spettro dell’arresto, 10 anni di carcere, la morte nel Donbass. Traffico paralizzato però anche da Sud, in Georgia. La colonna dei tir partiti da Armenia, Turchia e Kazakhstan con tonnellate di merci per aggirare le sanzioni dell’Occidente, copre oltre 90 km. Impossibile per i doganieri controllare che i camion non siano imbottiti di componenti bellici e materiale hi-tech in arrivo da Estremo e Medio Oriente. Un paradosso: anche migliaia di russi sono oggi intrappolati nell’ex sovietica patria di Stalin. «Domenica – dice Igor, ingegnere di Krasnodar - ho accompagnato mia figlia Darina alla maratona di Tbilisi. Dal pomeriggio siamo bloccati qui e nessuno sa cosa sta succedendo». La loro auto è all’ingresso del monastero diDariali, a un passo dalla Russia. In 24 ore sono avanzati di 200 metri: non avevano pensato a cibo, acqua e coperte. Da secoli il Caucaso è rassegnato a guerre, invasioni, povertà, deportazioni, alla prepotenza di dittatori e bande di terroristi che se lo contendono. Mai però, dall’implosione dell’Urss, la polveriera che salda l’Europa all’Asia ha conosciuto un simile caos, con il rischio di riesplodere per il rifiuto dei russi di morire nell’ultima guerra del loro zar. «Svuotare città e villaggi di giovani e di maschi da sacrificare in Ucraina – dice Kamiu, 40 anni, capo vendite di una compagnia telefonica a Saratov – significa seminare le prossime faide etniche. Il Cremlino fa pulizia tra non slavi e popoli disobbedienti: invece che in Siberia spedisce i più poveri nel Donbass, o li obbliga a emigrare. Le regioni disabitate saranno presto occupate da altri: consumata l’aggressione contro l’Ucraina, rivedremo reduci, esuli e occupanti interni farsi a pezzi in Russia ». Incerte le cifre ufficiali. Il governo di Tbilisi, sempre più filo-Putin nel timore di fare la fine di Kiev, parla di 150mila russi fuggiti in Georgia in 7 mesi, più 60mila a premere lungo i confini meridionali del Caucaso nell’ultima settimana. Oltre 260mila, secondo fonti russe indipendenti, i fuoriusciti da mercoledì scorso. Più del doppio i maschi arruolabili ancora in cerca di un varco per salvarsi. In Georgia viene percepita come un’invasione. I prezzi di case, affitti e auto di seconda mano sono alle stelle. Nella capitale e a Batumi la manodopera in nero sconvolge un mercato del lavoro moribondo. «Ho lasciato San Pietroburgo in due ore – dice Nika, insegnante di 23 anni – senza portare qualcosa con me. La mamma mi ha portato in auto fino a Grozny. Ho pedalato altri tre giorni: non ho un rublo, per 5 anni finirò da amici in Brasile, o in Thailandia». Putin esportava gas e petrolio: ora offre al resto del mondo le vite di uomini increduli, delusi e distrutti. Nella regione di Mtskheta, lungo il fiume Tarek, non si nascondono solo ragazzi ridotti ad animali “arruolabili”: a Stepansminda arrivano intere famiglie con bambini che non accettano di restare soli senza capire perché. «Siamo tatari – dice Evelyna con due figli in braccio – scappati dalla Crimea con il passaporto ucraino pre-occupazione. Per noi sullaterra un posto non c’è mai». La notte nel Caucaso ha oggi la luce solo del fuoco. Avvolge un popolo in trappola che non sa cosa succederà quando risalirà il giorno. Chi è riuscito adire addio al proprio mondo, rifiutando di uccidere e di morire, comincia a credere possibile non rivederlo più.
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