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Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 20/09/2022, a pag.20 con il titolo "Senza velo nel nome di Masha" l'analisi di Caterina Soffici.
Mahsa Amini Tutti gli occhi del mondo erano puntati su Londra, ma domenica c'è stato un altro funerale importante. A Saqqez, una città del Kurdistan iraniano, hanno sepolto Mahsa Amini, la ragazza di 22 anni uccisa dalla "polizia morale" del regime islamico per un velo indossato male. Un funerale che si voleva celebrare in sordina. Le autorità avevano vietato alla popolazione di partecipare alla sepoltura della ragazza, ma la gente è scesa in piazza per protestare, gridando slogan antigovernativi come "morte al dittatore" e ha strappato manifesti della Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei. Altre dimostrazioni sono andate in scena nelle città di Bukan e Divandareh.
Nomi strani, sconosciuti, lontani. Eppure è importante raccontare cosa succede in una zona del mondo dove un regime teocratico tratta le donne come oggetti e impone loro di coprire il corpo, perché lo teme e lo vuole annientare. Mahsa aveva 22 anni, è morta in carcere, spezzata dalle botte delle "polizia morale", un nome da distopia orwelliana. Era stata arrestata la settimana scorsa perché portava il jihab "in maniera non appropriata". Chissà cosa significa, forse una ciocca di capelli usciva dal velo. È morta dopo tre giorni di coma in ospedale. Una ciocca di capelli. I capelli fanno paura a questo uomini che si credono forti. E invece vengono sfidati a suon di forbici da coraggiose attiviste iraniane, che si sono tagliate ciocche di capelli e si sono filmate e hanno postato i video sui social. Si sono tolte il velo, lo hanno sventolato in aria, gli hanno dato fuoco. Altri video diventati virali. Perché il mondo sappia, perché la loro voce in Iran è soffocata, perché la morte di Mahsa Amini non sia inutile. Ci sono stati cortei anche in diverse università, comprese quelle di Teheran, con gli studenti di 14 associazioni che chiedono che i responsabili siano puniti. Il capo della Giustizia della Repubblica islamica, Gholamhossein Ejei, ha avvertito che «le menzogne dei nemici dello Stato verranno affrontate», mentre il capo della polizia della capitale generale Hossein Rahimi ha smentito nuovamente che la ragazza sia stata picchiata e che la sua morte è «uno sfortunato incidente». Ma gli attivisti hanno postato anche la Tac del cranio di Mahsa, spaccato dalle botte. Le organizzazioni della società civile curda hanno lanciato un appello allo sciopero generale. I video delle proteste sono rimbalzati sui social media e le autorità di Teheran hanno limitato l'accesso a Internet, come era già avvenuto in occasione di precedenti manifestazioni. «Il racconto dell'Ancella di Margaret Atwood non è finzione per noi donne iraniane» ha twittato Masih Alinejad, l'attivista scappata negli Usa, che ha dato vita al primo movimento di protesta delle donne e ha lanciato le campagne online #MyCameraIsMyWeapon #MyStealthyFreedome e #LetUsTalk. Non è finzione la realtà di un regime teocratico totalitario dove gli uomini hanno il potere e comandano imponendo regole patriarcali e le donne devono sottostare a leggi che le privano delle libertà e dei diritti civili basilari. Sui suoi canali social ritwitta video delle botte e delle proteste, degli idranti che cercano di disperdere la folla a Teheran, la capitale dell'Iran. Scrive: «L'omicidio di #MahsaAmini è diventato un punto di svolta per le donne iraniane. La polizia dell'Hijab ha ucciso Mahsa perché erano visibili un po' dei suoi capelli. Ora è diventata un simbolo di resistenza per le donne a riprendersi la loro libertà. Dall'età di 7 anni se non ci copriamo i capelli non potremo andare a scuola o trovare un lavoro. Siamo stufi di questo regime di apartheid di genere». Masih posta le immagini degli agenti che attaccano la folla con lacrimogeni e pallottole di gomma:«Surreale, il regime iraniano picchia coloro che hanno protestato contro la morte brutale di #MahsaAmini nel tentativo di convincere tutti che Mahsa non è stato picchiata a morte».
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