Biden ha ragione quando respinge lo stato palestinese al Consiglio di Sicurezza
Analisi di James Sinkinson
(da Israele.net)
James Sinkinson
Abu Mazen
A fine agosto i palestinesi hanno annunciato che intendono chiedere al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il pieno riconoscimento dello stato palestinese. L’amministrazione Biden ha prontamente chiesto al presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen di abbandonare l’idea, minacciando di porre il veto se la questione dovesse arrivare a un voto. Come mai il presidente Joe Biden, che durante il suo recente viaggio in Medio Oriente ha spesso ripetuto il suo impegno verso una soluzione a due stati, dovrebbe bloccare il riconoscimento di uno stato palestinese alle Nazioni Unite? Vi sono almeno quattro ragioni che spiegano perché gli Stati Uniti non riconoscono, e non devono riconoscere, oggi uno stato palestinese. In primo luogo, nel corso degli anni il Congresso degli Stati Uniti ha approvato diverse leggi che prescrivono di tagliare i finanziamenti diretti degli Stati Uniti all’Autorità Palestinese qualora essa ottenesse lo status di membro a pieno titolo delle Nazioni Unite in assenza di un accordo di pace con Israele. D’altra parte, ed è il secondo punto, sebbene gli Stati Uniti sostengano la soluzione a due stati, sono anche fermamente convinti che una soluzione a due stati debba essere raggiunta attraverso negoziati diretti tra Autorità Palestinese e Israele, e che non vi siano scorciatoie alternative a questa strada. Il Dipartimento di Stato dell’amministrazione Biden lo ha detto e ribadito. Mentre Israele ha ripetutamente dimostrato la volontà di partecipare a seri colloqui di pace con l’Autorità Palestinese, i palestinesi nel 2000, 2001 e 2008 hanno seccamente respinto ripetute offerte di pace che avrebbero dato loro uno stato in Giudea e Samaria (Cisgiordania) e una capitale a Gerusalemme. Quelle offerte erano state concepite congiuntamente da Israele e Stati Uniti. Dopodiché, i palestinesi hanno più volte abbandonato o rifiutato i negoziati di pace proposti da Washington, da ultimo quelli promossi dai presidenti Barack Obama (nel 2010 e 2014) e Donald Trump (nel 2020).
In particolare, nel 2014 Abu Mazen respinse i negoziati di pace sponsorizzati da Obama a meno che Israele non avesse acconsentito a tre condizioni dell’Autorità Palestinese: 1) nessun riconoscimento di Israele come stato ebraico; 2) pieno “diritto al ritorno” in Israele per i profughi palestinesi e milioni di loro discendenti; 3) rifiuto di impegnarsi, dopo l’accordo di pace, per una definitiva “fine del conflitto” che ponga termine a ulteriori rivendicazioni palestinesi. Ovviamente, dal punto di vista di Israele queste condizioni uccidono sul nascere qualunque possibile accordo, poiché ciascuna di esse mina le fondamenta e la sovranità stessa dello stato ebraico. L’Autorità Palestinese lo sa perfettamente e usa queste richieste come pretesto per bloccare qualsiasi concreto negoziato di pace con Israele. Il terzo fattore che rende attualmente impossibile uno stato palestinese è l’accanito, spesso violento conflitto tra l’Autorità Palestinese in Giudea e Samaria e Hamas nella striscia di Gaza. Oggi l’Autorità Palestinese è un’autocrazia corrotta e traballante, apparentemente senza personalità che possano prendere il posto del’87enne Abu Mazen, al potere sin dal 2005. È opinione diffusa che l’Autorità Palestinese crollerebbe immediatamente nelle mani di Hamas (e dell’Iran) se non ci fosse il costante intervento di Israele sulla sicurezza, per non parlare delle centinaia di milioni di dollari versati ogni anno dai paesi occidentali. Dal canto suo, Gaza è già di fatto uno staterello autonomo. Hamas, un’organizzazione designata come terrorista dagli Stati Uniti e dai paesi europei, è finanziariamente sostenuta in gran parte dal Qatar e dall’Iran. In effetti, entrambe le fazioni palestinesi sono dittature che governano i rispettivi territori senza libertà politica né elezioni e con un repressivo pugno di ferro. Uno stato palestinese, oggi, non avrebbe confini definiti e concordati, non avrebbe un governo unico e non avrebbe un’economia in grado di sostenerlo. Proclamare oggi uno stato palestinese sancirebbe una guerra civile tra opposti rivali fuorilegge, che trascinerebbero Israele nel loro sanguinoso fuoco incrociato. Il quarto motivo per cui gli Stati Uniti devono rifiutare qualunque apertura verso la velleità dell’Autorità Palestinese di formare uno stato in modo approssimativo e affrettato è la mancanza di riguardo e riconoscenza che i palestinesi dimostrano sempre verso l’America. Si consideri che dal 1994 gli Stati Uniti hanno donato 7,8 miliardi di dollari ai palestinesi in Giudea, Samaria e Gaza, distinguendosi come il più magnanimo e costante finanziatore del movimento nazionale palestinese (i contributi complessivi delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea e dei singoli stati europei ammontano ad altri 27 miliardi di dollari). Il contribuente americano potrebbe giustamente chiedersi cosa ha ricevuto l’America in cambio di questo enorme “investimento”? La risposta più corretta è: niente. I politici americani hanno sempre giustificato questi miliardi di aiuti sostenendo che gli Stati Uniti supportano lo sviluppo di una società palestinese stabile. La speranza è che i palestinesi diventino sufficientemente funzionali da poter effettivamente avviare e gestire uno stato, e sufficientemente flessibili da negoziare la pace con Israele. Entrambe queste speranze sono state completamente smentite. Non solo la società palestinese è diventata più frammentata e in bancarotta finanziaria, ma i suoi governi sono diventati sempre più corrotti e dispotici. Ciò non ha impedito all’amministrazione Biden di ripristinare negli ultimi cinque mesi i fondi tagliati dall’amministrazione precedente, riesumando 235 milioni di dollari di assistenza ai palestinesi ad aprile e poi altri 316 milioni di dollari a luglio. Cosa ancora più bizzarra, e offensiva, a fronte di questa generosità americana i palestinesi hanno costantemente disdegnato e avversato gli interessi degli Stati Uniti in Medio Oriente e nel mondo. I capi palestinesi hanno una vera e propria tradizione di sostegno a tirannie autoritarie e anti-americane. Giusto il mese scorso, quando la presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi ha visitato Taiwan affrontando la condanne cinesi, l’ufficio di Abu Mazen ha diffuso una dichiarazione a sostegno della posizione di Pechino. Nessuna meraviglia. Quando gli Stati Uniti attaccarono l’Iraq per liberare il Kuwait da Saddam Hussein, il capo palestinese Yasser Arafat si schierò a sostegno del dittatore iracheno. Per tutta risposta, il Kuwait cacciò circa 400.000 palestinesi che vivevano lì. Già durante la Guerra Fredda, i palestinesi si schieravano regolarmente dalla parte dell’Unione Sovietica contro Stati Uniti e Occidente. Oggi sostengono la Russia contro l’Ucraina. Hanno sempre sostenuto la Corea del Nord e il suo leader Kim Jong-un, e i nordcoreani ricambiano il favore osannando i palestinesi per la loro opposizione alle politiche statunitensi. E’ storia vecchia. Ai tempi di Adolf Hitler e della seconda guerra mondiale, il mufti palestinese Hajj Amin al-Husseini si allineò coi nazisti e si incontrò con il dittatore tedesco per discutere come allargare il genocidio degli ebrei al Medio Oriente. Quando nel 2020 Donald Trump ha presentato ai palestinesi il suo piano di pace che includeva un pacchetto di aiuto allo sviluppo da 80 miliardi di dollari, Abu Mazen ha rabbiosamente risposto “mille volte no”. In breve, i palestinesi non sono amici degli Stati Uniti, indipendentemente da quale partito sia al potere. Non condividono i valori americani, in particolare le libertà civili e la democrazia. Spesso e volentieri si oppongono agli interessi strategici dell’America e sostengono e appoggiano i suoi nemici, continuando costantemente ad attaccare e condannare gli Stati Uniti per i loro tentativi di aiutarli ad arrivare alla pace con Israele. Quel che è peggio, i palestinesi intascano i miliardi di dollari di aiuti americani dandoli per scontati, come se spettassero loro di diritto, e rifiutandosi di esprimere un minimo di gratitudine o di ricambiare con le loro scelte politiche. Non c’è da stupirsi che il Congresso degli Stati Uniti abbia emanato tutta una serie di restrizioni circa gli aiuti a loro favore. E non c’è da stupirsi se il presidente Biden si rifiuta di sostenere il loro ostinato tentativo di progredire alle Nazioni Unite evitando accuratamente di sedersi a parlare di pace con Israele. (Da: jns.org, 30.8.22)