Gli anti-sionisti militano per un apartheid globale
Analisi di Benjamin Kerstein
Benjamin Kerstein
L’affermazione che Israele sarebbe uno stato da apartheid in realtà ha ben poco a che fare con l’effettiva accusa di apartheid. Innanzitutto, è poco più che un tentativo a buon mercato di demonizzare lo stato ebraico. Ma, cosa ancora più sinistra, è anche un appello per lo smantellamento di Israele così come venne, giustamente, smantellato il regime di apartheid in vigore in Sud Africa. Distruggere lo stato ebraico sarebbe, ovviamente, un’ingiustizia per gli ebrei tanto orrenda quanto l’ingiustizia che l’apartheid infliggeva ai neri sudafricani. Ma vale la pena riflettere sulla natura di questa ingiustizia e seguire la cupa logica della calunnia dell’apartheid fino alle sue inevitabili conseguenze. Quella logica culmina in qualcosa a cui accennò molti decenni fa il primo premier israeliano David Ben-Gurion. La battaglia per lo stato ebraico, disse Ben-Gurion, non è una questione fra ebrei e arabi: è una questione fra gli ebrei e il resto del mondo. Questa affermazione, semplice ma straordinariamente profonda, sottolinea che l’ingiustizia non avviene necessariamente all’interno di una comunità o di una nazione. L’ingiustizia può essere a livello globale. Può ergersi al di sopra delle mere questioni di territorio e di diritti individuali. Può trovare espressione nella natura del sistema internazionale in quanto tale. Nel caso degli ebrei, questa ingiustizia globale era evidente: lasciando gli ebrei senza un loro paese e negando così al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione e all’autodifesa, il mondo aveva costruito un regime discriminatorio che manteneva il ebrei separati e ineguali: cittadini di seconda classe del mondo. Era, di fatto, un apartheid globale. Nell’intuizione di Ben-Gurion era implicito non solo che quell’apartheid globale doveva finire, ma che poteva finire solo con la creazione e la permanenza di uno stato ebraico. Quindi, secondo Ben-Gurion, il sionismo non è semplicemente un movimento territoriale o nazionale.
È un movimento globale che mira a correggere un’ingiustizia globale. È una battaglia per non fare nulla di più, ma neanche di meno, che rendere gli ebrei cittadini eguali nel mondo. Il che comporta profonde implicazioni, e non solo per gli ebrei: perché chiama in causa non solo un imperativo morale, ma un’affermazione di certe responsabilità. Il mondo, stava dicendo Ben-Gurion, deve ricordare che la stragrande maggioranza dell’umanità non è ebraica. Pertanto, il mondo ha precise responsabilità nei confronti di una delle sue minoranze più piccole e più tormentate, proprio come una nazione a stragrande maggioranza bianca ha precise responsabilità nei confronti della minoranza nera, o una nazione a maggioranza musulmana ha precise responsabilità nei confronti delle minoranze non musulmane. La responsabilità del mondo è, o dovrebbe essere, abbastanza chiara: è quella di garantire che il popolo ebraico non sia un popolo di seconda classe e che goda degli stessi diritti e vantaggi di qualsiasi altro popolo mediante l’esercizio della sovranità in un proprio stato. Questa rivendicazione di uguaglianza globale è la causa sionista: una causa che cerca di raggiungere l’uguaglianza globale per gli ebrei o, se necessario, costringere il mondo a trattare gli ebrei in modo eguale. Gli anti-sionisti possono disprezzare e insultare questa battaglia quanto vogliono, e tentare di rivestire il movimento che detestano con i colori della discriminazione e dell’oppressione: ma ciò non fa che sottolineare la loro sinistra ipocrisia. Ed ecco quale sarebbe la conclusione paradossale della logica della calunnia dell’apartheid. Demonizzando il sionismo e invocando la fine dello stato ebraico, i calunniatori di fatto militano a favore dell’apartheid. Vogliono reimporre agli ebrei il plurisecolare regime discriminatorio, affermando di fatto che l’imperativo morale non è porre fine a ogni apartheid, bensì ripristinare l’apartheid verso gli ebrei. Così facendo si trasformano, forse molti di loro inconsapevolmente, nel tetro riflesso speculare di quelli che professano come i loro valori e principi. Tanto più che, a causa della natura del regime di apartheid che propugnano i calunniatori di Israele, non si tratterebbe di un apartheid solo su scala nazionale come era quello sudafricano, e che già così era molto grave. L’apartheid anti-sionista che vuole smantellare lo stato ebraico sarebbe una discriminazione su scala mondiale. Sarebbe un apartheid globale in cui la stessa comunità internazionale diventerebbe strumento di oppressione e discriminazione. La maggior parte degli anti-sionisti, ovviamente, non subirebbe nella propria vita le conseguenze di questo apartheid globale, motivo per cui sentono di poterlo sostenere con la coscienza tranquilla. Ma questo non cambia la natura mostruosa di ciò che vanno sostenendo, né l’imperativo assoluto di combatterlo. Ben-Gurion aveva ragione quando diceva che il sionismo è una questione fra gli ebrei e il mondo, e dovremmo ricordare che, per secoli, il mondo si è rifiutato di assumersi le proprie responsabilità nei confronti degli ebrei. Oggi, una larga parte del mondo si rifiuta ancora di farlo e vorrebbe convincere anche gli altri. I calunniatori di Israele possono condannare l’apartheid finché vogliono, ma l’apartheid è ciò che vogliono e ciò che intendono imporre. Se il sionismo significa qualcosa, è che non bisogna permettergli di farlo. (Da: jns.org, 12.9.22)