Sulla stampa di Abu Mazen ricompare il 'piano a fasi'
A differenza dei loro apologeti occidentali, Fatah e Autorità Palestinese non fanno mistero dell’obiettivo di distruggere Israele: un passo per volta
(da Israele.net)
Abu Mazen
Per il movimento Fatah, l’Autorità Palestinese e il loro capo Abu Mazen, la creazione di uno “stato di Palestina” nei territori caduti sotto controllo israeliano nel 1967 (Giudea/Samaria o Cisgiordania e Gerusalemme est, prima sotto occupazione giordana, e la striscia di Gaza, prima sotto occupazione egiziana) è solo una tappa verso l’obiettivo finale di distruggere Israele. La comunità internazionale ama credere che costringere Israele ad abbandonare completamente Giudea/Samaria e Gerusalemme est (la striscia di Gaza l’ha già abbandonata nel 2005) porterebbe alla tanto attesa pace israelo-palestinese. Ma la verità è che la dirigenza palestinese non ha alcuna intenzione di arrivare a una pace definitiva con Israele. E lo affermano chiaramente le stesse fonti palestinesi. Basterebbe ascoltarle. Autorità Palestinese, Olp e altri capi palestinesi affermano costantemente che lo stato ebraico non ha diritto di esistere. Queste affermazioni sono rafforzate da messaggi martellanti e dalle migliaia di mappe della “Palestina”, onnipresenti nella pubblicistica palestinese, che cancellano Israele dalla carta geografica. E’ il rifiuto palestinese di accettare l’esistenza di Israele (entro qualsiasi confine) che spiega come mai i palestinesi hanno respinto tutte le proposte di compromesso volte a garantire una pace duratura creando uno stato palestinese sui territori pre-67. Per capire come si concilia questa intransigenza con le ripetute dichiarazioni palestinesi a favore di una “soluzione a due stati” (ma attenzione: non dicono mai “due stati per due popoli”, perché secondo loro il popolo ebraico non ha diritto a un proprio stato), bisogna conoscere il “Piano a fasi” approvato dall’Olp nel 1974 (vedi più sotto). La dirigenza palestinese sta attenta a non evocarlo quasi mai, ma a volte accade che lo faccia, e piuttosto esplicitamente. Vediamo il caso più recente. Abu Mazen viene spesso accusato, in ambito palestinese, di adoperarsi per ottenere uno stato palestinese limitato solo a Gaza, Giudea/Samaria e Gerusalemme est. In sua difesa si è schierato di recente Muwaffaq Matar, membro del Consiglio Rivoluzionario di Fatah nonché regolare editorialista del quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida. In un articolo dello scorso 26 luglio, Muwaffaq Matar respinge le critiche spiegando che basta leggere i discorsi di Abu Mazen per rendersi conto che il suo obiettivo è “liberare ogni centimetro della terra [palestinese]”, compreso tutto Israele, attraverso “la politica a tappe” delineata nel “Programma in 10 punti” o “Piano a fasi” dell’Olp.
Muwaffaq Matar: “Coloro che nei loro discorsi diffondono dicerie contro il presidente Abu Mazen … dovrebbero leggere ogni parola dei suoi discorsi diretti al popolo palestinese o ai popoli del mondo, ai suoi stati, ai suoi governi e ai suoi leader nei forum internazionali, e in particolare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, erede di quella Società delle Nazioni che consegnò a Israele un falso certificato di nascita. Se li leggessero con desiderio [di capire], comprenderebbero quali sono le conseguenze e gli obiettivi del presidente Abu Mazen quando si concentra su due percorsi paralleli della lotta nazionale palestinese. Il primo è sul terreno, nella terra di Palestina, attraverso la resistenza popolare con tutti i suoi significati, metodi e rivendicazioni. Il secondo è il percorso legale, politico e diplomatico nei forum internazionali, che stabilirà la Palestina sulla mappa del mondo geograficamente, e nel diritto internazionale. Sul terreno ci sono le prove che simo depositari del diritto storico e naturale, mentre là, nei forum [internazionali], dobbiamo rimuovere la falsa legittimità di Israele e le risoluzioni discriminatorie approvate dalla Società delle Nazioni e dal suo erede, l’Onu. Ciò avverrà mediante risoluzioni che sottolineeranno il diritto storico e naturale del popolo palestinese, anche solo parzialmente come è successo con la risoluzione 67/19 del 2012 sull’ingresso della Palestina all’Onu come membro osservatore. La visione a lungo termine del leader del movimento di liberazione nazionale Abu Mazen, la sua sostanza, è estorcere il diritto storico e naturale del popolo palestinese agli stati colonialisti che hanno commesso il peggior crimine nella storia dell’umanità stabilendo la loro base avanzata, Israele. … La nostra patria, la Palestina, appartiene interamente al popolo palestinese, anche se ci relazioniamo con un approccio realistico alle risoluzioni delle istituzioni internazionali … Ma la verità è che, in base alla logica del leader politico che vede le cose a lungo termine, noi stiamo combattendo per strappare e liberare ogni centimetro della nostra terra dal servo degli stati colonialisti, Israele, attraverso la politica per fasi, giacché gli oppressivi stati colonialisti che hanno commesso il peggior crimine contro l’umanità nella storia moderna hanno rubato il diritto storico e naturale del popolo palestinese in più fasi”. (Da: quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida, 26.7.22).
Secondo il “Programma in 10 punti” o “Piano a fasi”, adottato nel 1974 dal Consiglio nazionale palestinese, l’organo di governo dell’Olp, la stessa Olp (oggi presieduta da Abu Mazen) è impegnata a “stabilire una autorità nazionale combattente indipendente su ogni parte del territorio palestinese che viene liberata” (art. 2). “Una volta stabilita, l’autorità nazionale palestinese si adopererà per realizzare l’unione dei paesi in conflitto, con l’obiettivo di completare la liberazione di tutto il territorio palestinese e come un passo lungo la strada verso l’unità araba globale” (art. 8). Per raggiungere questo obiettivo, l’Olp “impiegherà ogni mezzo, e in primo luogo la lotta armata” (art. 2) e “si batterà contro qualsiasi proposta per un’entità palestinese il cui prezzo sia il riconoscimento, la pace, le frontiere sicure, la rinuncia ai diritti nazionali e la privazione del nostro popolo del diritto al ritorno e all’autodeterminazione sul suolo della sua patria” (art. 3). Da notare infine (art. 10) che “alla luce di questo programma, la direzione della rivoluzione determinerà le tattiche che serviranno per rendere possibile la realizzazione di questi obiettivi”. (Per il testo del “Piano a fasi” dell’Olp e un suo inquadramento, si veda: “Il piano a fasi per la distruzione di Israele” in: Tutto Israele è “Palestina” per il movimento guidato da Abu Mazen) Sebbene inconsueto, il riferimento esplicito dell’editorialista Matar al programma a fasi dell’Olp non è una novità. Già nel 1994, pochi mesi dopo aver stretto la mano a Yitzhak Rabin e aver firmato la “Dichiarazione di principi” israelo-palestinese, il fondatore e presidente dell’Olp Yasser Arafat aveva chiarito che quegli accordi non erano altro che un cavallo di Troia paragonandoli al trattato firmato da Maometto con i suoi nemici alla Mecca. Il Trattato di Hudaybiyyah (628 e.v.) prevedeva la pace per almeno dieci anni, ma dopo due anni Maometto ruppe la tregua, attaccò e sconfisse i suoi nemici:
Yasser Arafat: “Questo accordo, non lo considerando più dell’accordo che era stato firmato tra il nostro profeta Maometto e i Quraish, e ricorderete che il califfo Omar aveva rifiutato quell’accordo e lo considerava sulha dania [una spregevole tregua]. Ma Maometto aveva accettato e ora noi stiamo accettando questo accordo di pace [Oslo]”. (Da: registrazione audio del discorso di Yasser Arafat a Johannesburg, 10.5.94)
Il 25 novembre 1999 il quotidiano ufficiale dell’Autorità Palestinese Al-Hayat Al-Jadida, scrisse: “Ogni palestinese deve sapere in modo chiaro e inequivocabile che lo stato palestinese indipendente, con Gerusalemme come capitale, non è la fine del percorso. Lo stato palestinese è una fase dopo la quale ci sarà un’altra fase, e questa sarà lo stato su tutta la Palestina”. Lo stesso concetto venne ribadito nel 2001 da Faisal Husseini, rappresentante dell’Autorità Palestinese per gli affari di Gerusalemme:
Faisal Husseini: “L’accordo di Oslo, o qualsiasi altro accordo, è solo una procedura temporanea, cioè solo un passo verso qualcosa di più grande. Noi distinguiamo gli obiettivi strategici a lungo termine dagli obiettivi politici per fasi, che siamo costretti ad accettare temporaneamente a causa della pressione internazionale. La Palestina, in base alla strategia a lungo termine, è dal fiume al mare. La Palestina nella sua interezza è terra araba, terra della nazione araba”. (Da: Al-Arabi’, Egitto, 24.6.01)
Nel 2011, l’alto esponente palestinese Abbas Zaki fece riferimento al piano a fasi come alla “l’idea ispiratrice”, spiegando che significa la fine di Israele:
Abbas Zaki: “L’accordo si basa sui confini del 4 giugno [1967]. Anche se l’accordo è sui confini del 4 giugno, il presidente [Abu Mazen] capisce, noi capiamo e tutti capiscono che è impossibile realizzare l’idea ispiratrice, o il grande obiettivo, in un colpo solo. Se Israele si ritira da Gerusalemme, se Israele sradica gli insediamenti, 650.000 coloni, se Israele rimuove la barriera (di sicurezza), cosa accadrà di Israele? Israele avrà fine. Se io dico che voglio rimuoverlo dall’esistenza, sarà fantastico, fantastico, [ma] è complicato. Questa non è una politica [dichiarata]. Non puoi dirlo al mondo. Puoi dirlo a te stesso”. (Da: tv al-Jazeera, 239.11)
Nel 2013 Mahmoud Al-Habbash, consigliere di Abu Mazen per gli affari religiosi e islamici nonché presidente del Consiglio Supremo per la legge della shari’ah, ha ripreso l’analogia di Arafat fra Accordi di Oslo e Trattato di Hudaybiyyah: Mahmoud Al-Habbash: “Il senso di responsabilità della dirigenza palestinese nei confronti della propria nazione l’ha portata a compiere circa 20 anni fa [1993] dei passi politici [gli Accordi di Oslo] esattamente come fece il Profeta [Maometto] con il Trattato di Hudaybiyyah. Il Profeta disse: ‘Io sono il Messaggero di Allah e non Gli disobbedirò’. Questa non è disobbedienza, è politica. In meno di due anni, il Profeta tornò e in base a questo trattato conquistò la Mecca. Questo è l’esempio, questo è il modello”. (Da: TV ufficiale dell’Autorità Palestinese, 19.7.13) Nel 2020, Tawfiq Tirawi, membro del Comitato Centrale di Fatah (la fazione che fa capo ad Abu Mazen), ha chiarito che dal punto di vista dell’Olp e di Fatah, i cosiddetti “confini del 1967″ sono una ” dichiarazione intermedia”:
Tawfiq Tirawi: “Perché, come Olp, abbiamo detto 1967? La dirigenza palestinese voleva facilitare le cose per il nostro popolo con l’istituzione del suo stato sui confini del 1967, perché questo è ciò che sarebbe accettabile per il mondo … [L’Olp] ha detto “uno stato sui confini del 1967”, tuttavia la dichiarazione di indipendenza [palestinese] non menziona il 1967. Lasciate stare l’Autorità [Palestinese]: io sono Fatah, e negli obiettivi e nei principi del movimento Fatah non c’è niente che dica 1967. Niente. In tutto ciò che riguarda me, uno degli alti funzionari di Fatah, per tutta la vita non ho mai detto ‘uno stato del 1967’. Non dimenticherò la mia patria, non dimenticherò la Palestina e non dimenticherò la storia della Palestina. Questi [confini del 1967] possono essere una dichiarazione intermedia”. (Da: pagina Facebook del membro del Comitato Centrale di Fatah Tawfiq Tirawi, 5.2.20) (Da: palwatch.org, israele.net, 12-15.9.22)