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La Repubblica Rassegna Stampa
17.09.2022 A Samarcanda anche Modi gela Putin: 'Non è ora di guerra'
Cronaca di Paolo Brera

Testata: La Repubblica
Data: 17 settembre 2022
Pagina: 19
Autore: Paolo Brera
Titolo: «Anche l’indiano Modi gela Putin su Kiev: 'Non è ora di guerra'»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 17/09/2022, a pag. 19, con il titolo "Anche l’indiano Modi gela Putin su Kiev: 'Non è ora di guerra' " la analisi di Paolo Brera.

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Narendra Modi

«Questo non è il tempo della guerra», dice il presidente indiano Narendra Modi appena incontra Vladimir Putin con il suo fardello ucraino. È una frase di piombo. Per due giorni, per tutta la durata di questo summit Sco a Samarcanda, in Uzbekistan, il presidente russo non ha fatto altro che ricevere segnali di disappunto, se non proprio aperte critiche, per l’invasione dell’Ucraina in cui dopo sette mesi ancora scorre il sangue. Prima il gelo cinese con Xi Jinping, sottolineato dai media di Pechino che hanno dedicato al bilaterale più atteso una spazio minimo. Poi la bordata a freddo di Modi, pronunciata in pubblico: «Ne abbiamo parlato al telefono », ora è il tempo del cibo, dei fertilizzanti e della sicurezza energetica. Ciò che tiene insieme il mondo, gli ha detto il leader indiano, sono «la democrazia, la diplomazia e il dialogo », monete di cui Putin ritiene di poter fare a meno. Infine pure il presidente turco Erdogan ha detto in chiaro nell’assemblea plenaria dei 15 — rimasti 14 per l’assenza del premier armeno per il conflitto in corso con l’Azerbaijan — che la guerra in Ucraina «deve finire al più presto». Insomma è un summit amaro per Putin: «Non ha molti alleati in questo momento, è sempre più isolato», commenta il portavoce della sicurezza nazionale Usa, John Kirby, mentre per il segretario di Stato Antony Blinken da Cina e India arrivano chiare pressioni a «mettere fine alla sua aggressione». E invece no, Putin tira dritto e ricomincia subito a minacciare un’escalation: «Recentemente le forze armate russe hanno inferto un paio di colpi importanti — probabilmente si riferisce alle dighe e alle centrali idroelettriche bombardate — consideriamoli un avvertimento: se la situazione continua peggiorare, la risposta sarà più seria». Non attende neppure di tornare al Cremlino per togliersi i sassolini dalle scarpe. Lo fa direttamente al summit, nella conferenza stampa finale. «Sono decenni — dice — che l’Occidente coltiva l’idea di farci crollare, è deprecabile che usino l’Ucraina a questo fine. Faremo di tutto per non permettere che accada, e seaumenterà il pericolo per la Russia risponderemo più duramente. Stanno tentando di colpire le nostre infrastrutture: il nostro obiettivo è impedirlo, è per questo che abbiamo iniziato l’Operazione speciale. E non c’è nessun bisogno di modificarla, oggi. Il nostro obiettivo principale resta il Donbass, abbiamo usato una piccola parte delle nostre forze e non abbiamo fretta». Dell’eventualità di riprendere i negoziati di pace ne aveva invece parlato con Modi: «So delle tue preoccupazioni e anche noi vogliamo che finisca prima possibile, ma purtroppo la leadership ucraina rifiuta di negoziare e sostiene di voler raggiungere i suoi obiettivi sul campo di battaglia», dice rimodulando il suo vecchio stornello secondo cui a volere la guerra è Kiev, non chi ha tentato di invaderla. Lo ripete anche con la stampa: «Sfortunatamente non vogliono trattare, quindi eccoci qui». Le difficoltà del presidente russo hanno finito per monopolizzare il summit, che doveva essere il grande guanto di sfida all’Occidente di 15 Paesi che rappresentano metà della popolazione del mondo. Resta l’invito di Xi a «rimodellare l’ordine internazionale in una direzione più giusta e razionale», e l’idea di utilizzare sempre meno dollaro ed euro per le transazioni. Non c’è molto altro, se non qualche invito a futuri viaggi di Stato e una marea di accordi per scambi e cooperazione. Anche con la Russia, che proprio grazie all’aumento delle forniture energetiche ai partner, confermate a Samarcanda, regge l’urto delle sanzioni. Per il resto troppi interessi divergenti, troppi conflitti in corso, troppa concorrenza per trasformare davvero il summit in una crociata contro l’Occidente con cui diversi Paesi sono in affari. Un esempio: l’anno prossimo il summit sarà in India, e il Pakistan ha già fatto sapere che potrebbe non partecipare. Quel che resta scolpito di Samarcanda 2022 è comunque il monito a Putin: ridare alla Russia la dignità di sostenere «insieme alla Cina — come gli ha detto Xi — un ruolo di grande potenza per la stabilizzazione di questo mondo caotico».

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