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La Repubblica Rassegna Stampa
09.09.2022 L'Inghilterra in lutto e le ombre sul futuro del regno
Commento di Francesco Guerrera

Testata: La Repubblica
Data: 09 settembre 2022
Pagina: 10
Autore: Francesco Guerrera
Titolo: «Le ombre sul futuro di un regno sospeso tra crisi e nostalgia»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 09/09/2022, a pag.10 con il titolo "Le ombre sul futuro di un regno sospeso tra crisi e nostalgia", l'analisi di Francesco Guerrera.

Morta la regina Elisabetta, la sovrana più longeva - Esteri - quotidiano.net

Ora che il Ponte di Londra è caduto, cosa lo rimpiazzerà? La morte della regina Elisabetta – annunciata a ministri e dignitari con la frase in codice “London Bridge is down” – dà inizio ad una resa dei conti psicologica non solo per la Gran Bretagna e per le ex-colonie raggruppate nell’anomalia storica del Commonwealth ma anche per centinaia di milioni di stranieri che per 70 anni, sette mesi e due giorni avevano considerato questa figura minuta, aggraziata e quasi sempre silenziosa come una star della scena internazionale e, di gran lunga, il monarca più famoso del mondo. La dicotomia tra la meticolosa preparazione per le esequie di Elisabetta e il tumulto collettivo di un popolo che, in gran parte, rigetta la nozione di non essere più una nazione-guida e guarda con troppa nostalgia al suo passato, sarà il grande non-detto nei prossimi giorni, il fantasma di Banco alla festa di re Carlo. Perché, schiacciato tra “è morta la regina” e “viva il re” – la sbrigativa frase che garantisce la continuità della monarchia britannica – c’è un Paese che non sta bene con se stesso. I prossimi dieci giorni saranno unpeana al passato, a sette decenni di regno che hanno fatto di Elisabetta II un’icona mondiale, adorata a Birmingham come a Bergamo, a Newcastle come a New York, da poveri e ricchi, da destra e sinistra, e persino da chi credeva che la monarchia fosse un anacronismo da cancellare. Elisabetta ha attraversato la storia moderna, a volte da protagonista, a volte da comprimaria di lusso, ma mai inosservata. «I have to be seen to be believed», «Devo essere vista per essere creduta», diceva spesso lei, sempre conscia del potere mediatico della corona. E in molti la videro, a partire da ben 13 degli ultimi 14 presidenti degli Stati Uniti (da Harry Truman a Joe Biden con la sola eccezione di Lyndon Johnson). E poi 15 primi ministri britannici a cui la Regina diede il compito di formare il “suo” governo, da Winston Churchill nel 1952, quando il vecchio statista pensava che la ventincinquenne fosse troppo inesperta per salire al trono, a Liz Truss. Lo sfarzo, le celebrazioni e i rituali funebri sono un modo per sublimare il lutto individuale a cordoglio collettivo, per rompere quello strano ma potentissimo legame tra un sovrano e sudditi, tra la vita di un monarca e la vita di una popolo. Ma quando le trombe taceranno e le carrozze saranno di nuovo parcheggiate nei giardini dei palazzi reali, la vera riflessione collettiva inizierà. A guidarlo, in teoria, sarà un nuovo re, una figura vecchia, burbera e distaccata, accompagnato, fatto molto importante, da una nuova regina, l’ex-concubina Camilla la cui promozione non è stata universalmente accettata da un pubblico che tanto avrebbe preferito Diana accanto a Carlo. I veri protagonisti della nuova fase della monarchia, e quelli che decideranno che fine farà, saranno i sudditi, gli stessi che non hanno mai rimproverato ad Elisabetta le indiscrezioni, i peccati o, peggio, i crimini, di una famiglia reale mai all’altezza della sua leader. La monarchia potrà forse sopravvivere alla morte di Elisabetta ma in una forma diversa e quasi sicuramente indebolita, per colpa dell’insufficienza di Carlo ma anche del fatto che la scomparsa di sua madre priverà molti della ragione d’essere dell’istituzione. Sono in molti a pensare che Carlo potrà salvare la monarchia solo ridimensionandola, sullo stile dei re “borghesi” scandinavi. Ma l’enorme arco temporale del regno di Elisabetta consente anche di formulare giudizi storici. Come ha scritto Sam Knight sul Guardiannel 2017: «La seconda età elisabettiana sarà probabilmente ricordata come un regno di ininterrotto declino nazionale. La vita e la politica alla fine del suo regno saranno irriconoscibili rispetto alla grandezza e all’innocenza del suo inizio». Ma non è stata colpa di Elisabetta. Come disse lo storico Philip Ziegler: «Non la biasimiamo per questo. Siamo declinati con lei, per così dire». Knight scriveva un anno dopo lo choc di Brexit, una forza dilaniante che ha contribuito al peggioramento delle condizioni economiche e sperequazioni sociali di un Paese più che mai alla ricerca di un centro di gravità. Una fiammata di patriottismo e sciovinismo sarà ora inevitabile, perché molti, troppi, britannici usano il simbolo della monarchia per permettersi di esternare sentimenti beceri e inaccettabili. La tentazione per qualcuno ci sarà, anche perché il Paese sta attraversando un periodo buio, con un’inflazione rampante, una recessione alle porte e altissime tensioni tra le famose classi sociali, i diversi gruppi etnici e nazioni come la Scozia e l’Inghilterra. Senza la forza adesiva della Regina, sarà più difficile tenere unito il Regno Unito. Avevano detto bene gli Smiths, gruppo pop non certo monarchico, cantando: «La regina è morta, ragazzi, e ci sentiamo tutti soli quando siamo in difficoltà».

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