Riprendiamo da ITALIA OGGI di oggi, 09/09/2022, "Periscopio" a cura di Diego Gabutti.
Vladimir Putin
«Guarda come mi rigiro quel vecchio: non appena sbavo, lui sorride e prende degli appunti sul taccuino», dice il cane di Pavlov a un altro cane. Russia Beyond.
Nel russo c’è anzitutto l’oblio d’ogni moderazione, talvolta passeggero, che si manifesta come una specie di ossessione. C’è il bisogno di una situazione angosciosa, il bisogno di avvicinarsi al precipizio, di chinarsi su di esso, di guardare nel fondo e, in certi casi niente affatto rari, di gettarcisi dentro. C’è la necessità di negare la cosa più santa nel cuore dell’uomo, il suo ideale dinanzi a cui egli è sempre stato in atto di adorazione e che improvvisamente diventa insopportabile. Nel russo si è davvero colpiti da questa sua frenesia di esprimersi nel bene come nel male. Fëdor Dostoevskij, Diario di uno scrittore.
Dall’inizio della guerra, a febbraio, la Russia ha trasferito con la forza centinaia di migliaia d’ucraini, bambini compresi, anche nelle zone più remote della Russia orientale, «vicino al confine con la Corea del Nord». Lo ha denunciato Linda Thomas Greenfield, ambasciatrice statunitense all’Onu, citando il lavoro di giornalisti e gruppi per i diritti umani che hanno documentato le deportazioni. repubblica.it
Ieri il capo delle Forze armate dell’Ucraina, il generale Valeri Zaluzhny, ha pubblicato un articolo in cui illustra come sarà la guerra nel 2023. Uno dei punti chiave del suo articolo riguarda il senso di impunità dei russi che nasce dal poter colpire l’Ucraina in profondità senza ottenere una controrisposta adeguata. Quel senso di impunità, scrive Zaluzhny, va scardinato. E i territori occupati sono il punto da cui iniziare. Micol Flammini, il Foglio.
Sul capitolo sanzioni Putin e i suoi collaboratori hanno parecchi problemi. Da un lato, infatti, il Capo del Cremlino sostiene che non hanno alcuna conseguenza e che stanno sempre di più penalizzando solo coloro che le hanno imposte («la febbre occidentale delle sanzioni», l’ha definita). Ma dall’altro lato tenta qualsiasi manovra per farle revocare. Fabrizio Dragosei, corriere.it.
Le settantamila persone che sabato scorso hanno sfilato a Praga per protestare contro i rincari delle bollette, ma anche contro la Nato, l’Unione europea e l’Organizzazione mondiale della Sanità, sono parte di un sommovimento che ci riguarda molto da vicino. Le assonanze tra Repubblica Ceca e Repubblica italiana non stanno soltanto negli slogan gridati in piazza, come l’inequivocabile «prima i cechi». C’è un’analogia strutturale, a partire dalla singolare ma non inedita commistione di partiti comunisti e movimenti di estrema destra, slogan ultranazionalisti e cospirazionismi no vax: un fascio rossobruno che tiene insieme l’antiamericanismo e il filoputinismo «di sinistra». Francesco Cundari, Linkiesta.
Serve la pace ma la pace va costruita giorno dopo giorno e nessuno ci dica che Putin non la vuole. Giuseppe Conte il pacifista (HuffPost).
Meloni, togliendo il reddito di cittadinanza, vuole la guerra civile. Giuseppe Conte il guerrigliero.
Nella mia lunga vita politica non ho mai visto un partito fare da tappetino a dilettanti allo sbaraglio come i 5stelle, e questo non soltanto sul taglio dei parlamentari, penso alla riforma Bonafede della prescrizione e a tutta una serie di sciatterie legislative e politiche. […] Sulla carta il Pd era il partito che aveva il maggior numero di persone capaci di leggere e scrivere. È stato invece un disastro per se stesso e per il Paese. Paolo Cirino Pomicino (Alessandra Ricciardi, Italia Oggi).
Nella parte uninominale i seggi vanno a chi prende il 35-40% dei voti. Anche arrivando all’8%, il Terzo polo può prendere un seggio solo per la parte proporzionale. Ecco perché serve il voto utile al Pd per battere la destra [e impedire le riforme costituzionali «fasce»]. Enrico Letta.
A seguire il ragionamento di Letta, dovremmo votare il Pd per impedire a Giorgia Meloni di fare le riforme che le sciagurate riforme del Pd le consentono. Mattia Feltri, La Stampa.
Contrordine compagni, e mica un contrordine banale: «La democrazia non è a rischio se vince la destra», dice il segretario del Pd. Che ieri sosteneva l’opposto. Alessandro De Angelis, HuffPost.
Ieri è storia. Domani un mistero. [Oggi chissà]. Eleanor Roosevelt.
Arriviamo trafelati al Quadraro, grande bastione di Roma sud, zona Cinecittà. È un gran giorno per il quartiere. [Si aspetta Jean-Luc Mélenchon]. Ci sono Luigi De Magistris e Marta Collot di Potere al Popolo. […] Molti anziani, tanti adolescenti, qualche metallaro, una gigantografia di John Lennon. Gli anziani, tutti con una bandiera in mano come in un film di Ettore Scola, borbottano: «Ma Conte mo’ sta co’ noi?». «Se sta’ a riposiziona’». [Uno di loro] monta su una sedia di plastica, come quei gruppetti che aprono i concerti prima dell’arrivo della star: «I superprofittiii! Noi se dovemo prende’ tutti i superprofitti e co’ quelli ce pagamo la bolletta». Applausi. Altri si interrogano sulla pronuncia esatta: «Ma se dice Melensciòn o Melànscion?» Andrea Minuz, il Foglio.
Mi hanno chiesto – pausa – perché vai da quelli lì? – pausa – tu hai preso milioni di voti e loro non sai quanto prenderanno – pausa più lunga – ebbene je m’en fous, sono qui perché è giusto. Jean-Luc Melensciòn o Melànscion (Sfefano Cappellini, la Repubblica).
Se in una classe c’è qualcuno infelice per il proprio sesso occorre organizzare un laboratorio di armonizzazione mente corpo, non assecondarlo, esattamente come non assecondiamo le persone anoressiche. [Armonizzazione mente corpo? Un laboratorio?] Silvana De Mari, La Verità (si fa per dire).
Chiunque sceglierò di votare, già so che me ne vergognerò – specie dopo averli visti fare campagna elettorale su TikTok. Saverio Raimondo, la Repubblica-Satyricon.
Nessuno fa niente per niente, ma qualcuno riesce a darne l’illusione. Roberto Gervaso.