Lo zar sul sentiero di guerra Commento di Paolo Garimberti
Testata: La Repubblica Data: 08 settembre 2022 Pagina: 27 Autore: Paolo Garimberti Titolo: «Lo zar sul sentiero di guerra»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 08/09/2022, a pag.27, il commento di Paolo Garimberti dal titolo "Lo zar sul sentiero di guerra".
A destra: Vladimir Putin
Paolo Garimberti
Il discorso di Vladimir Putin al Forum economico di Vladivostok suona come una dichiarazione di guerra. A quell’“Occidente collettivo”, che è diventato il grande avversario ideologico dello zar, ma soprattutto all’Europa, che dell’“Occidente collettivo” è, secondo lui, l’anello debole che può morire di fame e di freddo il prossimo inverno senza il gas e il grano della Russia. L’arma non è inedita, anzi è molto vecchia perché la usò il generale Kutuzov per sconfiggere le armate napoleoniche (e funzionò nuovamente contro le armate hitleriane). Ma suona egualmente sinistra, molto più delle sparate dell’ex presidente a tempo determinato Dmitrij Medvedev sul possibile ricorso all’arma nucleare nella guerra in Ucraina. Intanto perché è una minaccia concreta, lanciata tra l’altro con una perfetta scelta di tempo nel giorno in cui a Bruxelles si riunivano gli ambasciatori dell’Unione europea per preparare il vertice straordinario di venerdì sul tetto al prezzo del gas, definito da Putin “una stupidaggine”, dalla quale l’Occidente uscirà “congelato”. L’intento è evidente: spaventare l’Europa per spaccarla, incrinando quell’unità sulla guerra in Ucraina e le sanzioni che finora è stata solida. Puntando sui “dissidenti” che sono già al governo, come Orbán in Ungheria, e su quelli che contano di andarci, come Salvini in Italia. E potendo anche contare sull’ambiguità di Erdogan, il mediatore dell’accordo di luglio che ha permesso il passaggio dei cargo nel Mar Nero. Il quale, nel giorno in cui Putin ha lanciato il suo ricatto da Vladivostok, ha detto che dall’Occidente verso la Russia arrivano soltanto “politiche provocatorie”. Ma c’è un’altra ragione per la quale la tempestica scelta da Putin appare ancora più bellicosa. Il 15 e il 16 settembre dovrebbe esserci un incontro al vertice tra Russia e Cina, quando Putin e Xi Jinping si troveranno a Samarcanda per il vertice della Shangai Cooperation Organization, che riunisce otto Paesi: oltre a Cina e Russia, India e Pakistan più quattro ex repubbliche sovietiche (Kazakistan, Kirghizistan, Tadzhikistan e Uzbekistan). E ci saranno anche, come osservatori, delegati dell’Afghanistan e dell’Iran. Ecco dunque che si delinea una sorta di santa alleanza contro, appunto, l’“Occidente collettivo”, guidata da Russia e Cina, i due Paesi che vogliono creare un nuovo equilibrio multipolare, contro l’egemonia americana, che secondo loro è emersa dalla fine della prima guerra fredda. Xi farà la sua prima uscita all’estero dal gennaio 2020, cioè dal Covid scoppiato a Wuhan. ConPutin non si incontrava dal 4 febbraio, due settimane prima dell’invasione dell’Ucraina. E Samarcanda è stata una tappa storica della “Via della Seta”, che Xi vuole riprodurre, in chiave moderna, con la “Belt and Road Initiative”. Bisognerà poi verificare fino a che punto la Cina sia disposta a sacrificare i benefici economici della globalizzazione, dal quale è dipeso il suo grande sviluppo economico, sull’altare di un’alleanza con Mosca che la storia insegna non essere mai stata né sincera, né produttiva. Ma non è solo questo il limite della “dichiarazione di guerra” di Putin. L’altro è il riscontro oggettivo con la realtà. L’aspirante zar dice che le sanzioni sono “una scelta miope”, un vero e proprio boomerang che fa più male all’Occidente che alla Russia. “Non abbiamo perso niente, anzi abbiamo guadagnato in sovranità”, afferma, aggiungendo che la decrescita dell’economia russa non va oltre il 2 percento. Una valutazione che si scontra con le statistiche di tutti gli esperti occidentali e anche con il malumore che serpeggia, ancorché in modo sommesso, tra la nomenklatura economico-finanziaria della Russia. Non solo l’economia russa si sta deteriorando, ma anche il complesso militare-industriale è in sofferenza e rischia di andare in profonda crisi se la guerra in Ucraina continuerà a lungo come tutti i segnali indicano (e il Longform di Repubblica ha documentato dal campo). Putin afferma che per la Russia non ci sono problemi a trovare altri compratori per il suo gas. Ma attualmente il 70 percento dell’export russo è diretto verso l’Europa e ridirigerlo verso altre destinazioni (ad esempio verso la Cina con quello che viene chiamato Power of Siberia 2) è un’operazione che richiede tempo. La costruzione del gasdotto verso la Mongolia, uno dei Paesi presenti alla minacciosa sparata di Putin a Vladivostok, inizierà soltanto nel 2024. Anche sul grano il presidente russo ha fornito una versione molto propagandistica che si scontra con le statistiche. Ha detto che l’accordo di luglio aiuta l’Europa, ma non i paesi più poveri. Ma le cifre lo smentiscono: su 87 cargo che si sono mossi finora soltanto 30 avevano destinazioni europee, gli altri 57 erano puntati su Paesi davvero bisognosi, come l’Egitto, l’India, il Libano. Da Vladivostok, però, Putin, al di là della propaganda. ha cominciato la stagione della pesca, lanciando le sue reti per vedere quanti pesci abboccano alle sue minacce. Non c’è dubbio che la prima che proverà a tirare a bordo è quella indirizzata all’Italia. E lo farà subito dopo le elezioni del 25 settembre.
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