La Russia e quel miracolo sprecato Commento di Anna Zafesova
Testata: La Stampa Data: 04 settembre 2022 Pagina: 17 Autore: Anna Zafesova Titolo: «La Russia e quel miracolo sprecato»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 04/09/2022, a pag. 17, con il titolo "La Russia e quel miracolo sprecato", l'analisi di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Michail Gorbaciov
Cinque persone sono state arrestate ai funerali di Mikhail Gorbaciov. Non ci poteva essere epitaffio più amaro della polizia che strappa dalla coda di moscoviti in attesa di dire addio al padre della perestroika delle pensionate colpevoli di sfoggiare spillette «No alla guerra». La Russia di Vladimir Putin dice sì alla guerra, non solo la pratica, ma la elogia, la predica, la cerca e la sfoggia come la suprema manifestazione di «autostima nazionale», definizione coniata da un intellettuale di fama internazionale come il direttore dell'Ermitage Mikhail Piotrovsky. Il Nobel per la pace è talmente incompatibile con il leader della guerra che il presidente russo ha preteso un commiato separato con Gorby, tre giorni prima la cerimonia ufficiale, per un «impegno incompatibile» di cui non si è avuta nessuna notizia. Un altro paradosso è stato quello che il politico russo più celebre, un Nobel per la pace, un'icona pop, il «Gorby» applaudito da tutto il mondo, è stato sepolto senza quelle folle di leader e star internazionali che sarebbero venute a salutarlo in tempi di pace, in una Mosca che si chiude al mondo esterno molto più di quanto lo fosse stata nel 1985, quando iniziò la primavera gorbacioviana. Il primo e ultimo presidente dell'Urss ha fatto per i suoi concittadini un miracolo di cui all'epoca nessuno si era accorto: li ha fatti emergere dalle macerie del comunismo come sue vittime, e non come corresponsabili. La simpatia e l'umanità con la quale Gorby aveva conquistato l'Occidente era stata estesa automaticamente a tutti i suoi compatrioti. Gorbaciov era riuscito in un capolavoro politico: trasformare la sconfitta nella Guerra Fredda in vittoria. Il crollo volontario del Muro, e dell'Urss, aveva esentato i russi dalla necessità di fare i conti con quello che era stato un fallimento, e i discorsi di pochi intellettuali sulla necessità di un percorso simile a quello della Germania postnazista, di un «pokayanie», un pentimento - riconoscere le colpe della dittatura, chiedere perdono per l'imperialismo, piangere il sangue versato e combattere l'eredità del totalitarismo – sono stati respinti con sdegno. Non c'era nulla di cui pentirsi, e quindi nulla da correggere. Anzi: ci si doveva arrabbiare per non essere stati riconosciuti come abbastanza grandi e potenti, in un risentimento che nasceva da una sconfitta mai ammessa per diventare un revanscismo tossico. Il prodigio di Gorbaciov è stato sprecato. La prossima volta che un abitante del Cremlino deciderà di tornare a parlare di pace e non di guerra sarà per necessità, di fronte a un disastro militare, economico e umano. E il «nuovo Gorbaciov» non avrà più il credito del suo predecessore. Invece degli applausi, i russi che vorranno mostrare il loro «volto umano» dovranno percorrere un lungo e tormentato cammino di ammissione di colpe, che durerà probabilmente anni.
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