Nel trambusto generato dalle sue recenti dichiarazioni sui “50 Olocausti” che Israele avrebbe compiuto contro i palestinesi, il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen ha trovato sostegno praticamente universale da parte delle istituzioni palestinesi e del palestinese “della strada”. Il che ha fatto riverberato e intensificato il messaggio antisemita di Abu Mazen.
I palestinesi sostengono che le critiche all’affermazione di Abu Mazen costituiscono un attacco alla “narrativa palestinese”, che negli ultimi anni ha dovuto fronteggiare numerose sfide. La mobilitazione a difesa di quella narrativa ha messo in luce ancora una volta quali sono i “sette pilastri” della disinformazione palestinese propugnata da Abu Mazen. Eccoli.
1. Non esiste un “popolo” ebraico (ma solo una religione ebraica ndr) e quindi gli ebrei non hanno diritto a un loro stato.
2. Non esiste nessuna storia di sovranità ebraica in Terra d’Israele. Invece, il popolo palestinese (arabo e musulmano, come affermano i loro statuti e le loro leggi ndr) ha radici storiche “antichissime” nella terra di Palestina. Quindi, la soluzione al problema ebraico non può essere in Terra d’Israele. Per di più, gli ebrei ashkenaziti non sono discendenti degli ebrei che vissero in passato in Terra d’Israele, ma piuttosto dei Kazari.
3. Gli ebrei in generale e i sionisti in particolare sono creature insopportabili, motivo per cui gli europei hanno cercato di sbarazzarsene. La crudeltà e l’arroganza che caratterizzano la politica sionista nei confronti dei palestinesi, compresa la perpetrazione di “50 Olocausti” e l’instaurazione di un regime di “apartheid”, ne sono chiara espressione.
4. I palestinesi sono le uniche vittime del conflitto israelo-palestinese. Finché non avranno conseguito i loro obiettivi ed eliminato l’ingiustizia subita, innanzitutto con il ritorno dei “profughi”, devono imprimere nella coscienza mondiale la loro sofferenza e perpetuarla, come ha fatto Abu Mazen con le sue dichiarazioni. Le critiche alla menzogna di Abu Mazen minacciano questo diritto al vittimismo assoluto e la capacità dei palestinesi di dipingere la propria sofferenza come tale da giustificare qualsiasi azione intraprendano, terrorismo compreso. Da qui la risposta indignata a quelle critiche, che per un momento hanno accresciuto il prestigio di Abu Mazen in patria.
5. Alla luce di tutto questo, i palestinesi sono votati a una multiforme lotta ad oltranza contro il sionismo.
6. La lotta palestinese è nazionale e islamica allo stesso tempo, e queste due componenti sono intrecciate fra loro. Pertanto, le violazioni israeliane della santità dell’islam, specialmente nel complesso della al-Aqsa, sono anche un’espressione della natura pericolosa del sionismo. La componente nazionale riguarda la nazione araba, a cui il popolo palestinese appartiene. Questa componente ha subito un duro colpo a causa degli Accordi di Abramo. Tuttavia, i palestinesi si rifiutano di accettare le implicazioni di questo sviluppo.
7. In questa fase, riconoscendo la loro incapacità di raggiungere l’obiettivo finale di sconfiggere il sionismo, i palestinesi perseguono come soluzione provvisoria uno stato sulle linee del 1967, con Gerusalemme est come capitale e l’accettazione da parte israeliana del principio del “diritto al ritorno” dei profughi. Ma in nessun caso i palestinesi potranno accettare Israele come stato nazionale del popolo ebraico e quindi rinunciare all’obiettivo finale di “liberare” tutta la Palestina.
A tal fine, Abu Mazen promuove iniziative accademiche e politiche volte a “smontare” la narrativa sionista e infondere la narrativa palestinese, tra l’altro attraverso un riconoscimento internazionale unilaterale di uno “stato di Palestina” come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite (senza negoziato né accordo con Israele ndr). E si adopera per inculcare nei giovani la narrativa palestinese, motivo per cui si rifiuta di modificare i testi scolastici palestinesi che la insegnano insieme all’istigazione all’odio contro Israele. In effetti, è degno di nota quanta parte dell’attività dell’Autorità Palestinese sia dedicata a promuovere questa narrazione anche a costo di trascurare altre questioni importanti.
Israele si trova di fronte a un complicato dilemma. Più viene smascherato l’impegno dell’Autorità Palestinese e del suo leader verso una narrativa falsa, ostile e antisemita, più diventa difficile per Israele giustificare la sua disponibilità a impegnarsi in un dialogo costruttivo con lui e i suoi più alti funzionari. Nel frattempo, il governo israeliano e l’establishment della difesa sono pienamente impegnati nel dialogo con l’Autorità Palestinese. La loro principale motivazione è prevenire esplosioni di violenza (fomentate soprattutto da Hamas e Iran ndr) e ritengono che consolidare l’Autorità Palestinese favorisca questo obiettivo.
Tuttavia, come effetto del suo percepito sostegno ad Abu Mazen, Israele appare come disposto a compromettere la propria dignità e i propri interessi a lungo termine. Sia Israele che la comunità internazionale evitano qualsiasi azione che possa costringere Abu Mazen a prendere atto che insistere con la sua narrativa assurda e antisemita comporta dei prezzi. Anche questa volta (i “50 Olocausti”), il clamore si placherà e non succederà nulla. E così, un frustrato Abu Mazen andrà avanti con i suoi sforzi per promuovere la sua falsa narrativa, continuando ad alimentare l’idea che Israele sia uno stato criminale. Cosa che può causare gravi danni politici, mediatici e alla sicurezza a medio e lungo termine, e incoraggiare il terrorismo a breve termine.
Forse il modo migliore per affrontare il dilemma è riconoscere che lo status quo è il minore dei mali e che bisogna conviverci. Un graduale miglioramento della situazione potrebbe essere ottenuto incoraggiando direttamente i tanti palestinesi che non aderiscono alla narrativa dell’Autorità Palestinese e non sono coinvolti col terrorismo. Questo può essere fatto attraverso misure che migliorino la loro qualità della vita senza danneggiare la capacità di Israele di garantire la propria sicurezza. Queste misure non dovrebbero essere presentare come gesti verso l’Autorità Palestinese, che rimane impegnata a diffondere la sua narrativa di odio e di guerra. Potrebbero essere fatte promuovendo e ampliando gli Accordi di Abramo, per mostrare ai palestinesi che gli interessi degli stati arabi pragmatici comportano la liberazione dalla morsa di questa narrativa, per di più offrendo loro un percorso per migliorare la propria sorte.
(Da: jns.org)