Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 02/09/2022, a pag. 18, con il titolo "Missili e dottrina, Putin sfida l'Occidente dal cuore dell'Europa", l'analisi di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
Vladimir Putin che guarda, freddo e scettico, la salma di Mikhail Gorbaciov, per poi farsi il segno della croce davanti alla bara di un ateo. Un'immagine che entra direttamente nella Storia, in quella polemica muta ma molto evidente tra il leader più popolare a livello internazionale che il Cremlino abbia mai avuto, e quello più ostracizzato. Il primo che aveva cercato di riportare il suo Paese in Europa, il secondo che si dichiara in guerra con «l'Occidente collettivo», mentre sta restaurando una Unione Sovietica 2.0 che si ispira al 1984, minaccia atomica inclusa. In una giravolta paradossale della storia, Gorbaciov, che ha iniziato la sua carriera politica come dittatore, avrà sabato prossimo a Mosca un funerale quasi da dissidente, e il presidente russo infatti ha scelto di non parteciparvi per un «conflitto di impegni nel calendario», evitando così di scontrarsi con quello che potrebbe diventare una rara occasione di manifestazione di protesta da parte di intellettuali e giovani. Putin ha preferito un algido commiato privato, con un mazzo di rose rosse depositato accanto al feretro, per poi volare a Kaliningrad a celebrare il primo giorno di lezioni nella scuola russa. Il capo del Cremlino ha deciso di dare inizio in persona alle nuove lezioni propagandistiche diventate obbligatorie, le «conversazioni sulle cose importanti» che ogni settimana dovranno indottrinare, fin dalle elementari, i bambini russi. E per farlo ha scelto l'exclave russa nel Baltico, dalla quale la Russia oggi punta i missili sull'Europa: una regione bottino di guerra, un territorio militarizzato dal quale rivendicare la visione neoimperiale del Cremlino, e oggi anche il punto più a Ovest che il presidente russo riesce a visitare. Agli scolari della ex Koenigsberg prussiana Putin ha raccontato la sua visione del mondo e del ruolo della Russia, ripetendo una lezione di quella pseudostoria che è diventata ormai la giustificazione dell'invasione russa: «l'Ucraina non è mai stata uno Stato», «a Kiev c'è un regime golpista» e soprattutto l'incredibile affermazione «gli ucraini credono che noi li abbiamo aggrediti, ma non è vero». A sentire Putin, l'esercito russo è andato in Ucraina per «far finire la guerra e difendere la Russia», oltre a portare ai bambini ucraini – che «non sanno nemmeno che siamo stati tutti insieme nell'Unione Sovietica» - la storia patria secondo la visione russa. Un discorso che diventa ancora più inquietante nel giorno in cui le scuole iniziano anche in Ucraina, in buona parte con la didattica a distanza perché milioni di bambini sono sfollati e centinaia di istituti sono stati distrutti dalle cannonate e dalle bombe. Zelensky è andato a sedersi ai banchi delle elementari a Irpin, uno dei sobborghi di Kiev più devastati dall'invasione russa. Facendosi accompagnare come testimonial dall'idolo dei bambini, il famoso cagnetto-sminatore Patron - al quale ieri le poste ucraine hanno dedicato un francobollo che sta già andando a ruba - il presidente ucraino ha ricordato agli allievi delle scuole la prima lezione da imparare, quella di precipitarsi nei rifugi antiaerei al primo suono della sirena. Ma si è rivolto soprattutto ai bambini ucraini nei territori occupati, costretti ieri a varcare la soglia delle scuole precettate da insegnanti venuti dalla Russia, dove non si insegna più ucraino e i libri di storia e letteratura russi cancellano l'indipendenza dell'Ucraina. Le autorità militari minacciano i genitori che non vogliono mandare i bambini nella scuola russa di togliere loro i figli, e i ragazzi sono costretti ad ascoltare in silenzio la propaganda. Il dilemma scolastico riguarda ora anche molti genitori russi: le "conversazioni sulle cose importanti" sono da ieri obbligatorie, come l'alzabandiera e il canto dell'inno nazionale, spesso in uniformi paramilitari. Se finora molti genitori erano riusciti a evitare le manifestazioni di zelo nazionalista con varie scuse, ora diventano parte della didattica, in attesa che ogni istituto si doti di uno speciale vicepreside addetto alla «educazione patriottica» e di manuali unici imposti dal governo. Le nuove linee guida raccomandano di insegnare già a 8 anni «quanto è bello morire per la patria», probabilmente nella speranza di educare una generazione di soldati più motivati di quelli che oggi si rifiutano in massa di andare al fronte ucraino. Un sondaggio dell'indipendente Levada-Zentr conferma che i giovani sono i più contrari alla guerra: tra gli under 39, il 54% ha il coraggio di dichiarare che vorrebbe un negoziato di pace, contro il 37% che chiedono di proseguire i combattimenti, una percentuale che negli over 55 è ribaltata.
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