Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 31/08/2022, a pag.30 con il titolo 'Monaco 1972. I troppi errori intorno alla strage', l'analisi di Yossi Melman.
Yossi Melman
I tragici eventi che portarono all’uccisione di 11 atleti israeliani da parte dei terroristi dell’Olp alle Olimpiadi di Monaco, nel 1972, furono aggravati dalla burocrazia, dall’incompetenza e dal cinismo tedeschi. Cinquant’anni dopo, le famiglie sentono di dover affrontare la stessa rigidità e lo stesso approccio burocratico tedeschi. Alle 4,10 del 5 settembre 1972, mentre i Giochi Olimpici erano in pieno svolgimento, otto palestinesi fecero irruzione, con fucili d’assalto AK -47 Kalashnikov, bombe a mano ed esplosivi, nelle stanze della delegazione israeliana al villaggio olimpico in Konneley Strasse 5. Due membri della delegazione israeliana - l’allenatore di wrestling Moshe Weinberg e il sollevatore di pesi massimi Yosef Romano – reagirono e furono assassinati. Alcuni atleti riuscirono a fuggire, mentre nove furono presi in ostaggio. Dopo la sconfitta araba nella guerra del giugno 1967, il popolo palestinese, che aveva scatenato e perso anche la guerra del 1948, decise di non fare affidamento sugli eserciti arabi e di prendere in mano il proprio destino. Rappresentato dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), diede inizio a una guerriglia contro Israele, caratterizzata da attacchi terroristici. Nel giugno del 1972, Arafat, il suo vice Salah Khalaf (anche noto come Abu Iyad), responsabile delle operazioni, e Mahmoud Abbas (più noto con il titolo di Abu Mazen), responsabile finanziario, decisero e approvarono di mettere in atto un’operazione significativa, che avrebbe lasciato il segno sul palcoscenico mondiale. Ordinarono ai loro fidati luogotenenti Ali Hassan Salameh, Mohammad Daoud Oudeh (“Abu Daoud”) e Atef Bseiso di eseguire la missione. «Mentre ero seduto in un caffè a Roma», scrive Abu Daoud nella sua autobiografia, «lessi su un giornale delle prossime Olimpiadi di Monaco e la notizia mi diede l’idea di progettare un’operazione». Quindi, inviò dei giovani combattenti dell’Olp ad addestrarsi in Libia.In seguito organizzò il trasferimento di denaro, l’acquisto di passaporti falsi e di biglietti aerei e marittimi per trasferire i terroristi e procurarsi le armi. Lo stesso Abu Daoud si recò a Monaco e lì stabilì il suo centro di comando in una stanza d’albergo. «Volevamo che il mondo intero ascoltasse il nostro messaggio», ha scritto. In effetti, il mondo rimase scioccato daidrammatici eventi che si susseguirono per 19 ore fino al tragico epilogo. Ventinove anni prima degli eventi dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, il mondo assistette, per la prima volta, a un grande attacco terroristico in diretta tv. Per la Germania, i Giochi di Monaco erano un’ottima opportunità per correggere l’immagine dei Giochi Olimpici di Berlino de l 1936, svoltisi all’ombra del regime nazista di Adolf Hitler. Per questo motivo, gli addetti alla vigilanza del villaggio olimpico erano cortesi e non portavano armi.
Nessuna borsa fu perquisita, né venne posta alcuna domanda. I terroristi dell’Olp chiesero il rilascio di 234 loro compagni palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, oltre che di Andreas Baader e Ulrike Meinhof, fondatori della Rote Armee Fraktion. Chiesero anche la disponibilità di un aereo per trasferirsi in un Paese arabo, ma il primo ministro israeliano Golda Meir non volle cedere alla richiesta dei terroristi solo per risolvere la crisi pacificamente sul suolo tedesco. Ehud Barak, l’ex primo ministro israeliano, comandava allora la Sayeret Matkal, la principale unità di commando d’élite di Israele. «Proposi di guidare una squadra di 20-30 uominicon i quali volare a Monaco, ispezionare il luogo e organizzare una missione di salvataggio», mi ha detto in un’intervista per una miniserie che ho scritto con lo scrittore francese Marc Dugain e il regista francese Philippe Saada e che andrà in onda all’inizio del mese prossimo su canali televisivi israeliani e francesi. Il cancelliere tedesco Willy Brandt, però, rifiutò la proposta israeliana, sostenendo che era contraria alla Costituzione del suo Paese. Si decise, invece, che la crisi sarebbe stata gestita da Hans Genscher, ministro degli Interni, e Manfred Schreiber, comandante della polizia del governo regionale della Baviera. Ma non avevano la minimaidea di come farlo. Non avevano capacità di negoziazione, non capivano il conflitto israelo-palestinese e le forze di polizia inviate sul posto erano inesperte. Non avevano un vero piano; il loro equipaggiamento era inadeguato. Le autorità tedesche accettarono di trasportare i terroristi e gli ostaggi in elicottero dal villaggio alla vicina Furstenbrock, una base aerea della Nato, e da lì, con un volo Lufthansa, si sarebbero messi in salvo in uno Stato arabo. Il piano era una trappola escogitata dalle autorità tedesche.Capendo di essere stati ingannati, i terroristi lanciarono delle granate e aprirono il fuoco sugli elicotteri, uccidendo i nove ostaggi. Gli agenti reagirono troppo tardi e nello scontro a fuoco rimasero uccisi anche cinque terroristi e un agente tedesco. Tre terroristi furono catturati vivi. Brandt non aveva consentito al commando israeliano di gestire la crisi, ma permise a Zvi Zamir, capo del Mossad, e a Victor Cohen, un alto funzionario dello Shin Bet di essere presenti sulla scena. «Ripenso con orrore a come i tedeschi furono incapaci di salvare i nostri atleti», raccontò Zamir in lacrime nel 2017 in un’intervista per Inside the Mossad , serie di Netflix da me creata. La toccante testimonianza di Zamir portò i media israeliani e internazionali a creare un mito, rimasto impresso nella memoria ma non basato sui fatti. La voce di Wikipedia descrive ancora come Golda ordinò a Zamir che il Mossad conducesse un’operazione denominata in codice “Ira di Dio” per uccidere qualsiasi palestinese coinvolto nell’attacco terroristico. «Non ricevetti alcun ordine da Golda», mi disse Zamir già nel 2005. «Non c’era nessuna operazione chiamata Ira di Dio. Golda mi chiese solo di difendere gli israeliani e i nostri uffici all’estero e di non fare affidamento sulle forze di polizia europee». Una commissione d’inchiesta israeliana guidata ha scoperto che anche l’intelligence israeliana fallì. Il Mossad ignorò lesoffiate di agenti palestinesi che avvertivano che l’Olp aveva pianificato un grande attentato sulla “scena mondiale”, e lo Shin Bet non fornì guardie del corpo per proteggere gli atleti. «Dopo le Olimpiadi cambiammo tattica e passammo all’offensiv », aggiunse Zamir, «dando la caccia alle cellule dell’Olp in Europa e in Medio Oriente. La campagna intendeva solo prevenire futuri attacchi terroristici».
In realtà, nel ventennio successivo, fino al 1993, quando con gli Accordi di Oslo si firmò l’accordo di pace tra Israele e l’Olp, la guerra tra i due nemici si intensificò. Diversi palestinesi, come Salah Khalaf, Atef Bseiso e Ali Hassan Salameh, oltre a una dozzina di altri funzionari dell’Olp, furono assassinati da squadre di killer del Mossad a Beirut, Roma, Parigi, Atene e Nicosia. La maggior parte di loro non era coinvolta nel massacro di Monaco. Per cinquant’anni, le famiglie degli undici atleti uccisi hanno chiesto che i governi tedeschi si assumessero la responsabilità della loro incompetenza e dei loro fallimenti. Hanno anche chiesto la pubblicazione dei documenti secretati, nonché pubbliche scuse e un adeguato risarcimento. Solo negli ultimi mesi, dopo nuove forti pressioni delle famiglie e dei media tedeschi e israeliani, l’atteggiamento tedesco è cambiato. Il governo tedesco di Olaf Scholz è ora pronto ad ammettere le proprie responsabilità, accetta di aprire i propri archivi davanti a una commissione congiunta di storici tedeschi e israeliani e annuncia che risarciràle famiglie. Tuttavia, sembra che il governo di Berlino sia disposto a farlo solo perché intende trasformare il 50° anniversario del massacro in un esercizio di pubbliche relazioni. Le famiglie, da parte loro, hanno dichiarato che boicotteranno la “festa” prevista per il 5 settembre presso il monumento eretto agli atleti israeliani nel Villaggio Olimpico di Monaco. «Dopo cinquant’anni di bugie, insabbiamenti, sofferenze e umiliazioni da parte della Germania, ne abbiamo abbastanza», mi ha detto Ankie Spitzer, la vedova del maestro discherma Andre Spitzer, una delle vittime. Secondo lei, i 5,5 milioni di euro offerti ora alle 11 famiglie (per un totale di 75 parenti) «sono peggio di uno scherzo. Un insulto». Anche vent’anni fa le famiglie ricevettero dal governo tedesco 2 milioni di dollari come gesto eccezionale, senza ammissione di responsabilità. Le famiglie, sostenute dal Comitato olimpico israeliano, dicono di chiedere un «giusto risarcimento». Ricordano che la Libia di Gheddafi pagò nel 2004 10 milioni di dollari a ogni famiglia delle 270 vittime del terrorismo fatte esplodere in volo dai suoi agenti su un aereo Pan-Am nel 1988. «Ci rendiamo conto che dopo tutti questi anni la rigida burocrazia tedesca sta ancora facendo con noi un gioco cinico», conclude Ankie Spitzer. «Per questo abbiamo deciso di boicottare la cerimonia. Se il presidente tedesco Steinmeier vi prenderà parte, come ha detto, anche se noi famiglie non vi parteciperemo, sarà un teatro dell’assurdo».
Traduzione di Luis E. Moriones
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