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I negoziati di Vienna a un punto cruciale Analisi di Antonio Donno
Nello scorso marzo, il portavoce del Dipartimento di Stato, Ned Price, aveva affermato che le divergenze tra Stati Uniti e Iran nei negoziati di Vienna erano sul punto di essere superate definitivamente. Qualche giorno fa, invece, lo stesso Price ha dichiarato che v’erano ancora sul tavolo degli accordi diverse questioni da risolvere. Nulla si sa finora dei risultati acquisiti con certezza dalle due parti. In particolare, è difficile dire se i contenuti del Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa) saranno riconfermati all’interno dei nuovi accordi o meno. Questa alternanza continua di notizie è un aspetto poco rassicurante sui contenuti conclusivi dei negoziati di Vienna.
Vi sono dei contrasti all’interno delle due parti, soprattutto di quella iraniana. Ma anche l’Amministrazione Biden teme che gli accordi, una volta raggiunti, siano contestati all’interno del Senato, cui Biden aveva promesso di sottoporre il risultato finale ad un voto. Mentre i repubblicani si opporranno, quasi certamente, all’approvazione del testo finale, i democratici potrebbero dividersi in due schieramenti contrapposti. Se la parte moderata del partito dovesse giudicare gli accordi troppo favorevoli a Teheran, allora, di conseguenza, si aprirebbe una spaccatura in seno al partito di Biden. Nello stesso tempo, a Teheran, la parte oltranzista, legata soprattutto alle formazioni che sul terreno combattono Israele, potrebbe giudicare quegli stessi contenuti troppo favorevoli agli americani. Soprattutto dopo la recente controffensiva americana contro i Guardiani della Rivoluzione, che ha causato alcuni morti tra i terroristi filo-iraniani. Teheran ha smentito che le formazioni che avevano attaccato la base americana in Siria siano sostenute dal governo iraniano, ma è probabile che la smentita sia dovuta al timore che Washington faccia un passo indietro negli accordi. È molto probabile che le formazioni terroristiche abbiano agito contro gli americani perché contrarie ai contenuti dei negoziati, che temono possano ritardare l’acquisizione definitiva dell’arma nucleare da parte di Teheran per la distruzione di Israele.
In realtà, l’Iran ha ormai quasi completato il suo progetto nucleare nel lungo periodo nel quale il negoziato di Vienna si è impaludato per volontà degli stessi iraniani, al fine di acquisire il tempo necessario per il raggiungimento dell’obiettivo. Questo dato non può sfuggire a nessuno ed è sperabile che gli americani ne abbiano tenuto conto nel definire i punti salienti dell’accordo. Tuttavia, tutto dipende da quale parte politica dell’Amministrazione americana abbia avuto il sopravvento nel dibattito interno e da quali contenuti più favorevoli alle richieste di Teheran siano emersi e confermati nel pacchetto negoziale di Washington. Questo fattore è, dunque, di estrema importanza.
Il Jcpoa sarà riconfermato nella sua sostanza originaria, quella accettata da Obama nel 2015? Quali modifiche saranno apportate? La questione cruciale è, però, questa: gli iraniani accetteranno una verifica completa e sistematica dei loro laboratori nucleari e dello stato del proprio progetto da parte di commissioni neutrali di esperti? L’esperienza induce a ritenere che questo passo non sarà mai fatto da Teheran e, se sarà fatto, sarà tale da non concedere valutazioni oggettive, come è accaduto dal 2015 sino a oggi, periodo nel quale il programma nucleare iraniano ha fatto progressi molto significativi.
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