Antisionismo, alibi dell'antisemitismo Commento di Elena Loewenthal
Testata: La Stampa Data: 22 agosto 2022 Pagina: 25 Autore: Elena Loewenthal Titolo: «L'alibi dell'antisionismo»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 22/08/2022, a pag.25, con il titolo 'L'alibi dell'antisionismo', l'analisi di Elena Loewenthal.
A destra: Hitler e il Gran Muftì di Gerusalemme Husseini si commuovono di fronte al discorso antisemita di Abu Mazen in Germania
Elena Loewenthal
Per quanto possa sembrare approssimativa o pretestuosa, l'equazione antisionismo uguale antisemitismo ha una sua ragion d'essere tanto profonda quanto coerente sulla quale, alla luce del recente subbuglio fra le fila del Partito Democratico, val la pena tentare un poco di chiarezza. Dichiararsi antisionisti (con magari la premessa cautelativa «però non ho nulla contro gli ebrei...») è prima di tutto un goffo anacronismo. Il sionismo, nato intorno alla metà dell'Ottocento (e codificato dopo qualche anno da Theodor Herzl) è di fatto un movimento risorgimentale che auspica la costruzione di un focolare nazionale per il popolo ebraico con l'obiettivo per un verso di strapparlo al suo destino di paria fra le nazioni, oggetto di emarginazione e persecuzioni perpetrate in nome della sua diversità, per l'altra di normalizzare questo destino riportando i figli d'Israele a un'autodeterminazione che in quell'epoca divenne un diritto per tutti i popoli. Dirsi antisionisti è anacronistico perché è come dirsi antirisorgimentali, ma anche perché ormai da decenni l'obiettivo del sionismo, cioè la creazione di uno stato ebraico, è raggiunto: lo stato d'Israele esiste dal maggio del 1948. Anzi, da un po' prima. Israele è infatti uno dei pochi stati al mondo nato sulla scorta di una votazione democratica: la risoluzione Onu del 29 novembre del 1947 che sancì la spartizione della Palestina in due stati palestinesi - uno palestinese arabo e uno palestinese ebraico. Israele non è nato a causa della Shoah, come incongruo risarcimento agli ebrei sterminati. È nato nonostante la Shoah, che ha portato via un capitale incalcolabile di risorse umane, di vite. Nel 1947 esisteva in Palestina, oltre a una comunità ebraica storica lì da sempre, anche una società composita e strutturata frutto di diverse ondate migratorie a partire dalla prima metà del XIX secolo, con Università (quella di Gerusalemme è fondata nel 1925), settori produttivi, sistema sanitario, servizi postali e tanto altro. Lo stato d'Israele, dichiarato nel maggio del 1948, non nasce affatto dal nulla, ma da quel mondo già formato e vivo; e in virtù della risoluzione Onu, salutata con gioia dal fronte ebraico e rinnegata da quello arabo. Oltre che un anacronismo, l'antisionismo si configura come un pregiudizio. Per due ragioni fondamentali. Il sionismo è un grande movimento di pensiero e azione, è di fatto il risultato dell'incontro fra ebraismo e modernità: l'idea che l'antisemitismo è irriducibile e solo conquistando l'autonomia politica il popolo ebraico potrà sottrarsi al suo giogo. Non a caso, Theodor Herzl elabora la sua idea di risorgimento ebraico dopo aver assistito al processo Dreyfus - l'emblema stesso del moderno pregiudizio antisemita, che darà poi la terribile prova dei campi di sterminio. Negare la legittimità del sionismo significa relegare tutti gli ebrei (israeliani o diasporici che siano) a quel destino di popolo dannato, privo dei diritti fondamentali - primo di tutto quelli della libertà e dell'autodeterminazione. Significa anche un'altra cosa: la convinzione che se Israele non ci fosse tutti i problemi del Medio Oriente, tutti i conflitti si risolverebbero in un batter d'occhio. Come se Israele portasse in sé un peccato originale primigenio: quello di esserci. Anche su questo fronte, la storia di questi ultimi anni ha saputo dimostrare che non è così: quello scacchiere macro regionale sta cambiando, è mobile e imprevedibile – a prescindere dalla presenza di uno stato come Israele, che copre un territorio grande non più della Lombardia. In sostanza, mettere in discussione l'esistenza stessa dello stato ebraico è né più né meno che un pregiudizio, fondato su un'errata percezione della storia e della realtà. Il che naturalmente non significa che lo stato d'Israele non possa essere oggetto di critiche, anche pesanti. Purché non venga messo in discussione, però, il suo diritto all'esistenza, tanto legittimo quanto storicamente sancito.
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