Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi 21/08/2022, a pag.17, con il titolo "Nella fortezza di Kinmen l’isola-bunker di Taiwan pronta all’attacco cinese" l'analisi di Gianni Vernetti.
Gianni Vernetti
Kinmen
Appena sceso all’aeroporto dell’isola di Kinmen, Lee Yian, giovane redattore del sito di giornalismo d’inchiesta Initium Media, mi indica la vetrina di uno degli onnipresenti supermercati della catena Seven-Eleven, per ricordarmi che pochi giorni fa in seguito ad un attacco hacker da parte dell’esercito informatico di Pechino, sugli schermi dei seimila punti vendita sono apparse frasi molto aggressive contro Nancy Pelosi, speaker del Parlamento Usa: «Via la strega Nancy dall’isola. Guerra ai guerrafondai… ». Siamo a Kinmen, a 280 km dalla capitale Taipei, ma soltanto 2 km dalla costa della Repubblica Popolare Cinese. Come si dice, “a un tiro di schioppo”, per l’appunto. I grattacieli della città di Xiamen della provincia del Fujan sono a pochissima distanza e dominano il paesaggio della piccola isola, avamposto taiwanese quasi nelle braccia della Cina di Xi-Jinping. E qui che potrebbe avvenire il primo sbarco delle forze armate cinesi in caso di conflitto. Quando nel 1949 l’esercito di Chiang Kai-Shek sconfitto da MaoTse Tung decise di ritirarsi a Formosa, l’odierna Taiwan, la piccola isola di Kinmen fu uno dei primi punti di approdo, che venne immediatamente fortificato. Da allora Kinmen è una groviera con centinaia di tunnel capaci di far attraversare carri armati e mezzi pesanti e in grado di ospitare decine di migliaia di soldati e tutta la popolazione dell’isola per lungo tempo. In due riprese, nel 1954 e nel 1958, Mao Tse Tung tentò di riprendersi l’isola. Dopo una prima campagna militare durata un mese e conclusasi con uno stallo ed una tregua, il 23 agosto del 1958 venne avviata la seconda e ben più ampia operazione militare: in pochi giorni piovvero sull’isola 140.000 granate con l’obiettivo di distruggere le fortificazione e la rete di tunnel nei quali erano asserragliati oltre centomila soldati di Taiwan.
Gli Stati Uniti inviarono la 7ma flotta nell’area senza intervenire direttamente, fornendo però sostengo logistico e militare con un’ampia fornitura di Obici da 155mm all’esercito di Taiwan, che furono determinanti per fermare le forze di Pechino. In tre mesi di combattimenti le perdite aeree e navali da entrambi le parti furono ingenti e condussero ad una nuova tregua che è durata fino ad oggi. A poca distanza dal porto, un piccolo monumento nascosto dalla vegetazione ricorda due soldati americani: il tenente colonnello Alfred Medendorp e il suo pari grado Frank Lynn che persero la vita in quei combattimenti. Entrambi facevano parte del Maag (Military Assistance Advisory Group), il piccolo contingente di addestratori Usa che affiancò, 68 anni fa, l’esercito di Taiwan. Da allora l’isola di Kinmen ha vissuto in relativa tranquillità fino alla cosiddetta “Quarta Crisi” dello Stretto, quella avviata da Pechino all’inizio di agosto in risposta alla visita di Nancy Pelosi sull’isola. Il blocco navale intorno a Taiwan e i cinque giorni di esercitazioni militari qui hanno prodotto una fortissima tensione, soprattutto quando alcuni droni dell’esercito di Pechino hanno sorvolato l’isola, costringendo le forze armate locali a lanciare numerosi“flares” di dissuasione. Il volo della Uni Air che collega Taipei con l’isola di Kinmen ricorda più un volo Ryanair per la Spagna o per la Grecia che un collegamento con un avamposto militare: famiglie e giovani in flip-flop che raggiungono Kinmen per le vacanze estive. Dei 100.000 soldati ne sono rimasti oggi sull’isola poco più 3.000 poiché, come ricorda Sen Po Tung, eletto come indipendente nel Consiglio Provinciale che governa l’isola, «le nuove tecnologie militari rendono inutile una massiccia presenza di forze armate di terra sull’isola».
Ma Kinmen convive ancora con il conflitto: ogni rotonda stradale nelle strade che collegano i diversi villaggi, è una postazione militare e l’isola è costellata di basi dell’esercito di Taiwan, memorial dei caduti, il Museo della battaglia del 23 agosto del 1958, la vecchia Stazione di Mashan, il punto a nordest più vicino alla Cina continentale, dalla quale una potente stazione radio trasmetteva giorno e notte musica e messaggi politici per raccontare la “Cina libera” all’altra parte dello Stretto. Nel 2001 viene inaugurata una linea di traghetti fra Xiamen e Kinmen e da allora ogni anno sono arrivati sull’isola oltre 700.000 turisti dalla Cina Continentale, una fonte importante per l’economia locale. Il 31 dicembre del 2019 il governo di Taiwan fu però il primo al mondo a rendersi conto di quanto stava capitando a Wuhan e grazie alla sua posizione di osservatore privilegiato dei fatti cinesi, si è chiuso a riccio con il primo lockdown anti Covid del pianeta. Da allora la connessione con la Cina si è interrotta e oggi, nonostante la pandemia stia volgendo al termine, la nuova tensione politica nello stretto rende impossibile prevederne una riapertura. Il colpo per l’economia dell’isola è stato rilevante: il porto di Shuitou è praticamente deserto e i grandi centri commerciali cresciuti come funghi fra il porto e Jincheng, il capoluogo dell’isola, hanno tutti le serrande abbassate. «Anche se Taiwan è sempre stata in guerra con la Cina, vuoi una guerra “calda”, “fredda”o “commerciale prosegue Sen Po Tung- la Cina sa che Taiwan avrà il sostegno militare di Usa ed occidente e se ci attacca rischia di pagare un prezzo molto alto, con un economia così dipendente dalle nostre tecnologie, a cominciare da chip e semiconduttori». Il giovane ingegnere elettronico York Wu ha lasciato un posto sicuro a Taipei nell’industria dei semiconduttori per trasferirsi qui da poco esta restaurando, nel villaggio di Qiongling, uno dei tanti edifici storici dell’architettura fujanese del 19mo e 18mo secolo, che qui sono stati risparmiati dalle devastazioni immobiliari che hanno invece modificato radicalmente il paesaggio urbano della Cina continentale. «Qui, sotto i miei piedi, ci sono chilometri di tunnel ad uso militare, ma dobbiamo pensare al futuro: qui nascerà una libreria, uno spazio eventi e un centro culturale che si chiamerà “Narrative” proprio perché vogliamo proporre una narrativa diversa dal bellicismo di Pechino». E con lo stesso spirito a ottobre nella g rande base navale militare sotterranea di Zhangshian, si terrà un festival di musica classica.
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