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La Repubblica Rassegna Stampa
21.08.2022 L’estate americana fra valori e minacce
Editoriale di Maurizio Molinari

Testata: La Repubblica
Data: 21 agosto 2022
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «L’estate americana fra valori e minacce»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 21/08/2022, a pag. 1, con il titolo "L’estate americana fra valori e minacce" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.

Molinari: “Le sorti dell'Italia sono decisive per quelle dell'Europa” -  Mosaico
Maurizio Molinari

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A Ground Zero lunghe file per visitare il memoriale dell’11 settembre ed al Chelsea Market mostre avveniristiche sui neuroni mentre nei centri studi di Washington si lavora a pieno regime sui conflitti con Russia e Cina e, dalla Virginia al Wyoming, tiene banco un solo tema: la sorte di Donald Trump, con tutto ciò che questo comporta. In questa estate 2022 l’America di Joe Biden è lo specchio fedele delle molteplici pulsioni dell’intero Occidente, stretto fra il valore della Memoria, la corsa della scienza, la necessità di rispondere alle sfide dei rivali globali e il conflitto interno con un populismo che sogna di avere una clamorosa rivincita. Il valore della Memoria è a Ground Zero, il luogo dove l’11 settembre 2001 gli aerei civili trasformati in missili dal commando terrorista di Al Qaeda fecero crollare le Torri Gemelle causando quasi tremila vittime. Lunghe file di famiglie americane - di ogni Stato, fede, genere, estrazione sociale ed origine etnica aspettano di visitare il Memoriale che ricorda l’attacco jihadista all’America testimoniando, giorno dopo giorno, come quella ferita resta il momento attorno al quale la nazione ha saputo unirsi, rispondendo e difendendosi. Fino all’eliminazione del capo di Al Qaeda Osama bin Laden e, più di recente, del vice Ayman al-Zawahiri.

La continuità della caccia ai leader jihadisti fra i presidenti George W. Bush, Barack Obama, Donald Trump e Joe Biden è uno dei pochi valori sui quali l’America resta unita. Così come la mostra “Life of a Neuron!” nell’Artechouse sulla 15° Strada di Manhattan è affollata da giovani e non, delle estrazioni più diverse, accomunati dalla curiosità di immergersi nel cervello umano, scoprendo cosa ci rende unici a livello cellulare. Decenni di studi nella neuroscienza consentono ad ognuno di entrare e sostare fisicamente nella fedele ricostruzione 3D di un neurone della corteccia prefrontale - dove si origina il pensiero - rinnovando il ruolo di New York come vetrina privilegiata dei gioielli della conoscenza globale. Di generazione in generazione. Ma a Washington tira un’aria diversa. L’amministrazione Biden è impegnata a fronteggiare una doppia, simultanea, sfida globale: l’invasione russa dell’Ucraina minaccia una lunga guerra in Europa per ridisegnare l’equilibrio di forza fra l’Atlantico e il Mediterraneo così come l’impetuosa espansione economica e militare cinese impone il Pacifico come teatro della maggiore competizione strategica del Pianeta. Forte della sua esperienza nella Guerra Fredda, circondato da ex consiglieri di Obama, Clinton ed anche qualche repubblicano di Bush, Biden punta su una formula assai sofisticata che ithink thank esaminano in continuazione: incalzare Mosca e Pechino senza interruzione ma con metodi ed obiettivi assai diversi - alternando pressione militare, sanzioni economiche e difesa dei diritti umani - per far emergere le loro rispettive debolezze. È un approccio che accetta l’impostazione della sfida di lungo termine con Putin e Xi con una scelta coraggiosa da parte del 46° presidente americano ormai giunto alle soglie dei suoi 80 anni. Ma il maggiore pericolo da cui Biden deve guardarsi nel breve periodo viene in realtà da Capitol Hill perché i sondaggi suggeriscono che sarà il partito repubblicano a prevalere nelle elezioni di novembre per il rinnovo parziale del Congresso diWashington. Ed è un partito che resta ancora legato a doppio filo al carisma, ai finanziamenti ed alla propaganda di Donald Trump. La schiacciante sconfitta di Liz Cheney nelle primarie repubblicane del Wyoming ha evidenziato come in uno degli Stati più conservatori d’America la figlia dell’ex presidente Dick Cheney - che affiancò Bush nella risposta all’11 settembre - è stata punita dalla mobilitazione in massa di un elettorato che le rimprovera di aver partecipato alla commissione d’inchiesta del Congresso sull’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021 da parte dei più fanatici sostenitori di Trump, spalleggiati dallo stesso ex presidente. Indagini del Congresso su una trama golpista senza precedenti nella storia americana, accuse del procuratore di New York di evasione fiscale durante gli ultimi venti anni e rivelazioni dell’Fbi sull’appropriazione illegale di documenti sulla sicurezza nazionale assediano Trump, facendogli rischiare perfino l’arresto, ma tutto ciò non basta ad allontanare da lui il sostegno di un elettorato populista che sembra oramai in grado di impossessarsi di ciò che resta del Grand Old Party, il partito repubblicano che ha espresso presidenti come Theodore Roosevelt, Dwight Eisenhower e Ronald Reagan.

Da qui lo scenario di un’America pericolosamente in bilico fra la necessità di guidare le democrazie nel rispondere alla temibile competizione di Russia e Cina, e il ritorno del populismo sul palcoscenico di Washington, destinato ad aumentare le lacerazioni interne fra opposti estremismi come evidenziato dalla recente sentenza della Corte Suprema contro il diritto di aborto come norma federale. Ecco perché quanto sta avvenendo negli Stati Uniti riguarda ogni cittadino europeo: se la memoria dell’11 settembre e gli avvincenti orizzonti della scienza confermano i valori che ci accomunano, il ritorno del populismo resta la minaccia interna da sventare per impedire che a giovarsene siano le autocrazie di Mosca e Pechino, intenzionate a disegnare in fretta un nuovo ordine internazionale ai danni delle democrazie parlamentari.

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