L’antisemitismo, ieri e oggi
Analisi di Antonio Donno
La storiografia sull’antisemitismo è sterminata. Ciò è dovuto anche al fatto che l’antisemitismo è un fenomeno sempre attivo, sempre ricorrente, e nello stesso tempo mutevole nelle sue manifestazioni a livello sociale e politico. Oggi più che mai, perché il potere tossico della rete ha un ruolo primario, fino a qualche tempo fa inconcepibile, nel diffondere menzogne e distorsioni sulla storia ebraica. La realtà quotidiana ne è testimone.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, che aveva visto la distruzione sistematica degli ebrei europei (Shoah) da parte del nazismo tedesco, si sono susseguite sino a oggi numerose interpretazioni dell’antisemitismo, tenuto distinto e separato dall’antigiudaismo dei primi secoli della cristianità. Peter Schäfer, tuttavia, nel suo Storia dell’antisemitismo. Dall’antichità a oggi (Roma, Donzelli, 2022, pp. 268) si rifiuta di operare tale distinzione, perché sia l’antigiudaismo, sia l’antisemitismo hanno avuto le stesse caratteristiche basilari: l’odio nei confronti degli ebrei e la loro persecuzione nel corso dei secoli. Nella realtà, scrive Schäfer, “non credo che questi due aspetti possano essere distinti nettamente, anzi essi s’intrecciano e si sovrappongono continuamente […]” (p. 3). Nel caso del mondo occidentale, il cristianesimo ha avuto un peso decisivo nello sviluppo dell’antisemitismo, tanto che “[…] proprio la sua manifestazione cristiano-religiosa – non essendo mai stata superata – continua ad agire ancora oggi” (p. 7).
Con queste premesse, Schäfer analizza l’atteggiamento antisemita nell’antichità greco-romana, e in particolare in alcune realtà di quel mondo – Persia, Egitto, Siria-Palestina, nella stessa Roma – realtà nelle quali l’antisemitismo si manifestava in forme diverse, sino al primo pogrom nella storia della persecuzione nei confronti degli ebrei, avvenuto ad Alessandria nel 38 d.C. Era il prodromo di un antisemitismo più strutturato, quello cristiano, teorizzato nelle opere di Paolo, Matteo e Giovanni, che si esprimerà in forme ancora più acute nelle opere della tarda antichità cristiana, dovute a Giustino, Ario, Crisostomo, Ambrogio, Agostino, che lasceranno un segno indelebile nella storia delle relazioni ebraico-cristiane sino a oggi.
Fu durante il Medioevo cristiano che l’antisemitismo divenne un’arma per combattere i giudei in modo continuo e massiccio: le crociate, l’accusa di omicidio rituale, quella di profanazione dell’ostia, la responsabilità di aver diffuso la peste, i conseguenti pogrom, le espulsioni dall’Europa occidentale e centrale sono tutti fenomeni che in quei secoli caratterizzarono la persecuzione del mondo cristiano nei confronti degli ebrei. Più tardi, nella prima età moderna, Lutero contribuì in sommo grado alla radicalizzazione dell’antisemitismo e, di seguito, nell’età dell’illuminismo l’antisemitismo divenne “socialmente accettato” contemporaneamente al processo di emancipazione degli ebrei: fenomeni gravemente contraddittori che sfociarono, come esempi illuminanti, nell’affaire Dreyfus e nella pubblicazione dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion. Così, se il processo di emancipazione degli ebrei nel mondo occidentale significò il superamento dell’antisemitismo come fattore razziale, esso si tradusse nell’accusa agli ebrei di essere i creatori del capitalismo e di arricchirsi a spese dei più poveri.
La Shoah fu il momento culminante della persecuzione dell’ebraismo europeo. Dopo la nascita di Israele, nel 1948, l’antisionismo fu il nuovo motivo ideologico della vicenda antisemita che aveva attraversato i secoli. Come conclude Schäfer nel suo importante studio, “a uno sguardo di insieme l’antisemitismo si presenta come l’Idra dalle molte teste, il mostro della mitologia greca dotato di una testa immortale e di tante altre che ricrescevano se recise” (p. 249).