Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/08/2022, a pag. 1-13, con il titolo "L’unica forma di riparazione ora è premiarlo con il Nobel", l'analisi di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy
Salman Rushdie
Alla fatwa gli amici di Rushdie, i suoi lettori, Rushdie stesso, non ci pensavano nemmeno più. Ebbene: ci sbagliavamo tutti. Quel genere di assassini non si arrende mai. Possiamo disprezzare o dimenticare i cacciatori di taglie che la Storia ci ha sguinzagliato alle calcagna. La muta non ci dimentica. Oggi lui lotta contro la morte. Un vento di terrore e orrore soffia sul mondo. E io non riesco a fare nulla, se non attendere in agguato le rare notizie e lasciare che i ricordi degli ultimi trentatré anni vengano a me. Quella riunione del Consiglio nordico a Helsinki, poche settimane dopo la fatwa, durante la quale avevo segretamente deciso di dividere il mio tempo di parola con lui... Apparve sul palco accanto a me. Il pubblico, sbalordito, trattenne il fiato. Credettero di vedere un fantasma, un condannato a morte evaso.
Lui rise, con quegli occhi strani, a forma di mezzaluna, e le pupille troppo grandi che si mangiavano tutto il bianco. Poi improvvisò un frizzante monologo in cui sosteneva che, tra il suo lavoro e la sua vita, avrebbe sempre scelto il lavoro. Si guadagnò un’ovazione. Quel viaggio a Nizza, per il quale Air Inter gli aveva riservato tutta la prima fila. Si imbarcò all’ultimo momento assieme agli agenti di scorta, poco prima che si chiudessero le porte e dopo un misterioso balletto di agenti di polizia, auto di servizio e luci lampeggianti sulla pista. Anche questa volta, quando apparve, fu uno shock. Una signora svenne. Un’altra chiese di scendere dall’aereo. E quell’altro codardo. La sfortuna per noi è che sia stato ministro degli Affari esteri della Francia. Si chiamava Roland Dumas. La Règle du Jeu, la rivista mia e di Salman, fondata da noi assieme a pochi altri nel 1990, lo aveva invitato a incontrare i suoi amici parigini. Il ministro fu spregevole. Decretò che a questo cittadino europeo serviva un visto per entrare in Francia. E glielo negò, sostenendo di non essere in grado di garantire la sua sicurezza. Il suo collega, il ministro Jack Lang, protestò. François Pinault si offrì di fornire un aereo e la protezione necessaria. François Mitterrand chiuse la faccenda. E la Francia dei traffici e della vendita di armi cedette allo spirito di Voltaire. Un altro vigliacco? Il principe Carlo, negli stessi anni. Pranzo all’ambasciata del Regno Unito a Parigi. «Rushdie non è granché come scrittore », brontolò il principe quando gli chiesi che cosa pensasse della vicenda. Poi aggiunse: «La sua protezione è molto costosa per la corona d’Inghilterra ». Martin Amis, un altro amico di Salman, lo rimbeccò: «Ci costa di più proteggere il principe di Galles, che tuttavia non ha, che iosappia, pubblicato granché di interessante». Mi ricordo di quando Le Monde mi mandò a Londra per un reportage sulla vita quotidiana dello scrittore. Pranzammo da Scott. Passeggiammo per Mayfair. Passammo davanti a Kensington Palace, dove mi confessò di essersi precipitato il giorno della morte della principessa Diana. Andiamo alla Portrait Gallery per vedere una mostra di ritratti di scrittori di Henri Cartier-Bresson. Alcune persone lo avvicinavano: «Lei è Salman Rushdie?». «Lo spero, io faccio del mio meglio...». Quel giorno si fece un punto d’onore di comportarsi come se non avesse una spada di Damocle che gli pendeva sulla testa. Faceva i suoi esercizi di libertà come gli altri fanno esercizi di fitness. Mi ricordo del nostro progetto per un viaggio a Sarajevo. Il presidente Izetbegovi? si era dichiarato d’accordo, in linea di principio. Lui, Salman, desiderava andarci. Lungi dall’essere l’islamofobo che gli stronzi e i cretini descrivono, non era forse un amico dell’Islam moderato? Il difensore di un Corano che, come a Sarajevo, avrebbe combattuto per l’Illuminismo? Un certo Boutros Boutros-Ghali, all’epoca segretario generale delle Nazioni Unite ma da tempo ormai finito nel dimenticatoio, si oppose, con dei pretesti. Dovemmo arrenderci. Mi ricordo il suo matrimonio: una pioggia di petali di rosa, un’orchestra indiana, una cetra, un tamburo, il gesto di mettere l’anello alla caviglia della sua amata, circondato dai suoi amici, c’era anche suo figlio, era felice.
Mi ricordo la sera della prima elezione di Barack Obama. Eravamo nel lussuoso appartamento di un magnate di New York. C’era un mix di letterati, attori, giornalisti, grandi donatori. A un certo punto squillò un cellulare. Era il presidente eletto che lo ringraziava per il suo sostegno. Mi ricordo il giorno in cui, con Pierre Nora e Claude Lanzmann, siamo andati a filmarlo per Arte. Non so che fine abbia fatto quel documentario. Abbiamo girato, credo, nella biblioteca di un club in una zona chic di Londra. Lanzmann era intimidito dall’autorità di Rushdie. Nora era infastidito dalla soggezione del suo vecchio amico ed ex compagno di classe. Sembrava volerlo proteggere da se stesso e dalla sua ben nota tendenza alla querelle mimetica. Salman era divertito. Gli piaceva l’idea che questi due vecchi secchioni, che ammirava, portassero avanti un’eterna conversazione da adolescenti. Mi ricordo di una giornata in spiaggia ad Antibes, la gioia di vivere, il sole di mezzogiorno, il tremolio della calura a perdita d’occhio, l’amore per il cinema e le attrici, Il disprezzo, chi era il vero proprietario di villa Malaparte a Capri? Quel giorno non desiderava altro che riuscire a girare un remake di Agente 007 Licenza di uccidere. Amante della bella vita. Desideroso di esistere e di moltiplicare le esistenze. Tutto il contrario di un maledetto. Quello che mi ha sempre colpito, in tutti questi anni, è l’eroismo tranquillo del mio amico. Per questo gli altri, quelli che non hanno saputo proteggerlo, tutti noi, abbiamo un dovere. Questo scrittore punito per aver scritto, trent’anni fa, dei testi liberi e che rendono liberi, merita una riparazione. Questo atto di terrore assoluto, che, al di là del suo corpo trafitto e dei suoi libri, stende un’ombra di terrore su tutti i libri e le parole del mondo, richiede una risposta eclatante. Dobbiamo fare in modo che all’autore dei Versi satanici venga assegnata la più alta delle onorificenze. Dobbiamo far sì che, in nome di tutti i suoi e a suo nome, quest’anno, ovvero tra poche settimane, gli sia assegnato il premio Nobel per la letteratura. Non riesco a immaginare, oggi, nessun altro scrittore che abbia l’audacia di meritarlo più di lui. La campagna comincia in questo istante.
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