Il ritorno della Jihad da New York a Kabul Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 14 agosto 2022 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Il ritorno della Jihad da New York a Kabul»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 14/08/2022, a pag. 1, con il titolo "Il ritorno della Jihad da New York a Kabul" l'analisi del direttore Maurizio Molinari.
Maurizio Molinari
L'attentato contro Salman Rushdie a Chautauqua, nello Stato di New York, e la scelta dei talebani di dare protezione alla leadership di Al Qaeda a Kabul ci ricordano quanto la minaccia della Jihad resti concreta e feroce, attraversando il tempo. Ancora non sappiamo con esattezza quali motivi abbiano spinto Hadi Matar, residente in New Jersey, a scagliarsi selvaggiamente con un coltello contro lo scrittore anglo-indiano, ma l'identità sciita libanese del killer, le radici famigliari a Yarun, nel Sud Libano, roccaforte degli Hezbollah, nonché le sue simpatie rivelate sui social per il regime di Teheran lasciano intendere che la fatwa religiosa emessa dall'ayatollah Khomeini nel febbraio 1989 nei confronti dell'autore dei Versi satanici abbia trovato un volenteroso carnefice. Quel libro del 1988 venne considerato blasfemo da più gruppi di integralisti islamici, innescò gravi proteste e causò molte vittime, portando il Leader Supremo della rivoluzione iraniana ad emettere, poco prima di decedere, un decreto di morte che il successore Ali Khamenei, nel febbraio 2017, ha confermato. "Chiunque venga ucciso nella realizzazione di questa fatwa andrà in paradiso" furono le parole di Khomeini, divulgate 33 anni fa da radio Teheran, che portarono nell'agosto del 1989 un altro libanese sciita - Mustafa Mahmoud Mazeh - a farsi esplodere a Londra nel tentativo di assassinare lo scrittore musulmano indiano.
Da allora, anno dopo anno, la fondazione iraniana “15 Khordad” ha accresciuto fino a 3,3 milioni di dollari la taglia sulla testa di Rushdie, confermando intenzione e sentimenti di Khomeini che si sono rispecchiati nel titolo di prima pagina del giornale conservatore di Teheran Khorasansull’attentato a Rushdie: “Satana sta andando all’inferno”. Ciò significa che l’idea sulla legittimità di assassinare uno scrittore a causa delle proprie idee è rimasta una costante nel pensiero della teocrazia sciita per oltre tre decadi, testimoniando la pericolosità di una Jihad che il 24enne Matar ha tentato di portare a compimento durante un evento letterario, scagliandosi con tutta la forza che aveva in corpo contro di lui. La Jihad che tiene banco a Kabul invece è sunnita, ha la sua genesi nell’ideologia omicida di Al Qaeda che portò Osama Bin Laden a ideare l’attacco all’America dell’11 settembre 2001 — causando quasi tremila vittime — ed ha visto il nuovo regime dei talebanidare ospitalità e protezione ad Ayman al-Zawahiri, leader della Jihad islamica egiziana e vice dello stesso Bin Laden. Dopo essere sfuggito alla caccia degli americani per 21 anni rifugiandosi nelle montagne fra Pakistan ed Afghanistan, al-Zawahiri è stato eliminato il 31 luglio scorso da un drone della Cia a Kabul, mentre si affacciava dal balcone della sua casa in uno dei quartieri che ospitano i leader talebani. In particolare, viveva in un’abitazione intestata ad uno stretto collaboratore di Sirajuddin Haqqani, ovvero il potente ministro degli Interni de facto del governo afghano. Il legame fra Al Qaeda e i talebani attraverso il network di Haqqani è stato per due decadi una delle maggiori spine nel fianco dell’intervento militare Nato in Afghanistan ed ora che i talebani stanno per festeggiare il primo anno del ritorno al potere avvalora quanto affermato da un documento dell’Onu nel febbraio del 2020: “I talebani garantiscono ai terroristi stranieri piena libertà di azione nei territori checontrollano”. Fino al punto che — sempre secondo il documento Onu — al-Zawahiri sarebbe stato “consultato” dai leader talebani durante le trattative di Doha, in Qatar, che portarono all’accordo con Washington sul ritiro dall’Afghanistan. Insomma, la morte di al-Zawahiri ha evidenziato il permanente e profondo legame jihadista fra talebani e Al Qaeda, oggi come lo era l’11 settembre di 21 anni fa. Ecco perché quanto avvenuto venerdì a Chautauqua ha molto a che vedere con cosa sta maturando davanti ai nostri occhi a Kabul: se la Jihad sciita si dimostra più pericolosa di sempre contagiando la mano killer che ha colpito Rushdie, la più feroce Jihad sunnita è tornata di casa a Kabul. Per questa ideologia di morte, che persegue dagli anni Venti del Novecento la guerra permanente alla modernità al fine di sottomettere tutti i musulmani e quindi il mondo intero, il passare di anni e decadi non conta, anzi è una prova di resistenza al nemico “apostata e infedele”, e serve a dimostrare lapropria terribile vitalità contro chiunque non accetti di sottomettersi: musulmani “corrotti”, ebrei e “crociati”. Ecco perché non solo le democrazie occidentali ed i Paesi musulmani, che hanno pagato i prezzi di sangue più alti ai terroristi jihadisti, ma anche Russia e Cina farebbero bene a tener presente che quanto continua a svilupparsi dall’ideologia khomeinista e qaedista resta uno dei maggiori pericoli alla sicurezza della comunità internazionale. E dovrebbe portare a rinnovare, con formule assai più efficaci che in passato, una collaborazione multilaterale basata sulla necessità di combattere la Jihad, un’ideologia che ha già dimostrato troppe volte di saper resistere ad ogni sorta di rovescio o sconfitta, riuscendo sempre a riemergere grazie al contagio dell’odio più buio. Sottovalutare il pericolo del ritorno della Jihad, sciita o sunnita che sia, significa essere più vulnerabili alla minaccia che continua a portare contro ognuno di noi.