'Il concerto', di Yigal Leykin Recensione di Giorgia Greco
Testata: Informazione Corretta Data: 10 agosto 2022 Pagina: 1 Autore: Giorgia Greco Titolo: «'Il concerto', di Yigal Leykin»
Il concerto Yigal Leykin Besamuci euro 17
“…. la musica deve raccontare una storia e deve suscitare sensazioni, perché l’emozione è quella che persiste nel tempo”
Con il suo romanzo d’esordio, “Una vita qualunque” pubblicato nel 2015 da Giuntina Yigal Leykin ci ha regalato la storia del padre Mitia tracciando il percorso di un destino solo in apparenza marginale nell’ampio scenario della Storia, in realtà unico e irripetibile come è ogni vicenda umana.
Nato a Leopoli in Ucraina Leykin si trasferisce con la famiglia prima in Polonia e poi in Israele. Si laurea all’Università di Bologna in Medicina, si specializza in Anestesia e Rianimazione all’Università di Ferrara e attualmente dirige il Servizio di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria degli Angeli di Pordenone. Autore di lavori scientifici pubblicati sulle più prestigiose riviste nazionali e internazionali Leykin torna alla narrativa con il secondo romanzo intitolato “Il concerto”, un’opera di fantasia che racconta una delicata storia di amicizia fra un giovane violinista e un direttore d’orchestra ma anche della difficile integrazione fra le famiglie provenienti dai paesi arabi o dall’Europa che, dopo essere sopravvissute alla Shoah, hanno scelto di emigrare nel nuovo Stato degli ebrei.
Siamo nel 1962 nel campo di transito, la ma’abara, di Holon nel quartiere di Jesse Cohen dove i nuovi olim, gli immigrati provenienti da Polonia, Urss, Romania, Algeria, Marocco, Ungheria, Francia vivono in due famiglie all’interno di piccoli prefabbricati di asbesto chiamati “asbestoni”. Il responsabile del campo, Nahmani, in occasione della visita del Ministro dell’Interno per il giorno dell’Indipendenza di Israele decide di organizzare un concerto nel quale possano confluire tutte le diverse anime della variegata popolazione che abita nel campo di Holon.
Ma, si chiede Nahmani, Chi può aiutarlo nella realizzazione di questa impresa? Chi può unire e amalgamare il tutto? Fra i molti musicisti presenti nella ma’abara la scelta cade sulla famiglia Olshanski, una famiglia composta dal padre Leon che suona il pianoforte, dalla madre che suona l’arpa e infine il figlio Isidor virtuoso del violino. Nel ruolo di direttore d’orchestra gli Olshanski suggeriscono il loro vicino di casa conosciuto come “il Professore”, un uomo schivo dal passato misterioso che prima della guerra aveva diretto l’Orchestra Filarmonica di Cracovia. Dopo qualche esitazione il Professore accetta di dirigere l’orchestra e chiede al giovane Isidor di fargli da assistente: ora bisogna comporre un’opera che tutti sentano come propria.
Perno attorno al quale ruota la trama è la preparazione del concerto, con le audizioni per scegliere i musicisti, le prove, le inevitabili difficoltà di conciliare modi di suonare diversi con strumenti appartenenti a culture differenti: come armonizzare il suono del violino con quello del rebab, l’arpa con il quanun, la balalaika e la fisarmonica? In questo scenario si muovono ebrei che provengono da culture sefardite, altri che invece giungono dal centro e dall’est Europa ma attraverso la musica possono dialogare e crescere insieme.
Nel campo di transito di Holon gli olim devono adattarsi a un paese con un clima spesso ostile per chi viene dall’Europa, con una nuova lingua da apprendere, con abitudini e tradizioni molto diverse da quelle che si sono lasciati alle spalle. Nella famiglia Olshanski la mamma di Isidor non vede di buon occhio i vicini provenienti dal Marocco, mentre il giovane è segretamente innamorato della bella Marsel. L’autore dà vita a un caleidoscopio di personaggi che cercano fra mille difficoltà di ricostruirsi una vita in un paese che li vuole forti e coesi e l’apprendimento della lingua ebraica è il primo passo verso l’integrazione: Isidor, orgoglioso di essere parte dello stato di Israele, si crea molti amici nell’ambito scolastico, ognuno con idee politiche diverse, e guarda al futuro con la fiducia tipica dei giovani, Leon Olshaski ha un approccio positivo al nuovo paese nonostante le lamentele della moglie e le difficoltà per organizzare il Concerto, Nahmani sente forte la responsabilità di guida per quel gruppo di immigrati e la preoccupazione di non riuscire a mostrare al Ministro in visita il giorno dell’Indipendenza una compagine ben amalgamata lo pone in contrasto con il Preside della scuola che invece vorrebbe dar vita a un concerto diverso con melodie che inneggiano al futuro dimenticando il passato.
“…noi disponiamo ora di una musica nuova, che è nostra, così come dei nostri versi. E’ nostro dovere sostituire il sofisticato sistema europeo con i colori di Israele. Il Concerto della scuola guarda al futuro e il Concerto della ma’abara guarda al passato”.
Per Nahmani invece “per guardare al futuro non dobbiamo dimenticare il passato…siamo figli dello stesso popolo, tutte le storie confluiscono verso l’unico, glorioso futuro”. Due anime diverse, due modi in apparenza inconciliabili per realizzare il medesimo obiettivo, che troveranno comunque un punto di unione in una solidarietà di intenti condivisa.
Le pagine più intense e commoventi sono quelle che raccontano del progressivo aprirsi del Professore con il giovane Isidor. Quell’uomo riservato e taciturno che non ha mai confidato a nessuno il mistero racchiuso nel suo passato sceglie il giovane violinista, di cui apprezza le doti musicali, come confidente e lo rende depositario del dramma che ha attraversato la sua esistenza durante la Seconda Guerra Mondiale: la deportazione nel campo di Auschwitz, la perdita dell’adorata Jadwiga, colei che pur non essendo ebrea ha voluto seguirlo nell’inferno del campo di sterminio e infine il doloroso ritorno alla vita con la scelta di non dedicarsi più alla musica.
Nonostante nel campo di transito siano molti i sopravvissuti alla Shoah, Isidor si rende conto che quella drammatica esperienza che ha cambiato il corso della vita anche dei suoi genitori non trova espressione in parole, tale è la devastazione che si portano dentro. In queste pagine è racchiusa una delle chiavi di lettura del romanzo perché spiega Leykin “Nelle famiglie dei sopravvissuti vigeva il sapere senza sapere, non si parlava di quei numeri marchiati sul braccio. Era un dato di fatto”. Come pure il senso di colpa “che la seconda generazione dei sopravvissuti all’Olocausto, figli di genitori che hanno sperimentato la segregazione e i campi di concentramento porta ancora dentro la propria psiche, come un marchio indelebile”.
Il romanzo che si muove su due piani temporali ci porta nelle prime e nelle ultime pagine a incontrare un Isidor Olshanski diventato un famoso direttore d’orchestra che ormai vive a New York da molti anni e viene invitato a dirigere l’Orchestra Filarmonica d’Israele per il sessantaquattresimo anniversario del giorno dell’Indipendenza di Israele. E’ l’occasione per tornare nel quartiere di Jesse Cohen, ripercorrere il suo passato, rivivere l’amicizia con il Professore e il dolore per una perdita che ha inevitabilmente orientato la decisione di lasciare Israele nel 1962, privilegiando la carriera all’amore per la giovane Marsel.
Qual è stato il senso della sua vita? Solo alla fine del Concerto ricostruito nella composizione del Professore del 1962, Isidor riuscirà a scoprirlo, consapevole del maestoso potere salvifico e unificatore della musica. “Il concerto”, un’opera che si avvale di una scrittura raffinata con delicate inflessioni poetiche, ci porta a conoscere il percorso che Israele ha compiuto sin dagli albori per diventare un laboratorio sociale in cui etnie e tradizioni culturali differenti sono riuscite, seppur con qualche difficoltà, a convivere amalgamandosi in un progetto creativo di ampio respiro. E il senso del romanzo per Yigal Leykin è racchiuso in queste parole: “Dalle difficoltà e dalle diversità può sempre nascere qualcosa di nuovo e di migliore”.