E adesso che cosa succede a Taiwan? Cronaca di Lorenzo Lamperti
Testata: La Stampa Data: 09 agosto 2022 Pagina: 18 Autore: Lorenzo Lamperti - Federico Fubini Titolo: «I piani di Xi a Taiwan»
Riprendiamo oggi, 09/08/2022, dalla STAMPA, a pag. 18, con il titolo "I piani di Xi a Taiwan" la cronaca di Lorenzo Lamperti.
Marzo 1996. I militari cinesi del Fujian vedono navigare sullo Stretto di Taiwan un nutrito contingente della flotta del Pacifico degli Stati Uniti. Si chiude la terza crisi sullo stretto, durante la quale la Cina ha compiuto ripetuti test missilistici per protestare contro il viaggio negli Usa del presidente taiwanese Lee Teng-hui. A osservare l'umiliazione, proprio dal Fujian, c'è Xi Jinping. Allora semplice funzionario, oggi presidente, e vicino a un terzo storico mandato, da ricevere al XX Congresso del Partito comunista in autunno. Oggi, l'aspirante "leader del popolo"" non può sopportare un'altra umiliazione, soprattutto dopo aver reso la sicurezza nazionale il suo pilastro e "make China great again" il suo implicito motto. Il messaggio delle esercitazioni militari di questi giorni è chiaro: la visita di Nancy Pelosi a Taipei non resterà impunita, perché la Cina non è più quella del 1996. I test sono proseguiti anche ieri: il ministero della Difesa di Taipei ha rilevato la presenza di 39 jet e 13 navi da guerra nelle acque al largo dell'isola. Le manovre hanno incluso operazioni anti sottomarino e d'assalto marittimo. Sull'altro lato del fronte l'esercito taiwanese conduce test a fuoco vivo e viene ritenuto cruciale, per capire le intenzioni nell'immediato di Xi, capire se le esercitazioni cinesi proseguiranno. O se si svolgeranno durante i prossimi round annunciati da Taipei per giovedì, 18 e 19 agosto. Eventuali sovrapposizioni darebbero il messaggio che Pechino è pronta ad accettare il rischio di incidenti e soprattutto che si è davvero entrati in un "new normal" con le manovre militari sullo Stretto pronte a diventare di routine. Un lungo e sfiancante assedio col quale Pechino per accorciare le distanze sullo Stretto e operare un lento strozzamento psicologico ed economico. Con il suo corredo di disinformazione e guerra cognitiva per creare ulteriore insicurezza: Taipei segnala almeno 272 attacchi perpetrati con fake news e tecniche di information warfare da inizio agosto. Ripetuti blocchi navali avrebbero un impatto commerciale ma anche sulle riserve di energia e materie prime. Tutto ciò, spera Pechino, potrebbe incanalare malcontento verso il governo di Tsai Ing-wen. Ma Xi lavora anche all'elemento normativo. Secondo le indiscrezioni, al Congresso sarà presentata una nuova agenda per «risolvere la questione di Taiwan entro la nuova era». Possibile una nuova legge che superi quella anti secessione. Nel mirino entrerebbero non solo i "secessionisti" ma coloro che "non si prodigano alla riunificazione". Potenzialmente tutti. «Nascondi la tua forza, aspetta il tuo tempo», diceva Deng Xiaoping. Xi è invece il nuovo timoniere di una Cina fatta di ambizione e la forza la esibisce. Fino a qualche tempo fa, con l'economia cinese che già intravedeva l'obiettivo di diventare la prima al mondo entro il 2027, la "riunificazione" era la ciliegina. Ora, tra turbolenze economiche e geopolitiche, sarebbe la torta. Per Xi è una questione anche personale. Suo padre, Xi Zhongxun, era incaricato a creare una connessione col governo del Kuomintang a Taipei. Con lo storico incontro del 2015 a Singapore con l'allora presidente taiwanese Ma Ying-jeou, Xi pensava di poter riuscire dove il padre aveva fallito: la riunificazione pacifica. L'avvento di Tsai e una lunga catena di eventi culminata con la visita di Pelosi potrebbero convincerlo che resta, ora o in futuro, solo l'azione militare. Eppure, Xi tentenna sulla possibilità di lanciare una vera trade war. Ha ancora bisogno dei semiconduttori di Taipei. Per questo investe in maniera così ingente sui microchip: una volta che sarà raggiunta l'autosufficienza, lontana ancora qualche anno, avrebbe un deterrente in meno per una guerra che ora sembra ancora forse troppo rischiosa. «Bisogna chiedersi se la visita di Pelosi ha mostrato al Partito comunista che Xi ha ragione a non fidarsi degli Usa e serve ancora di più la sua linea dura», dice un funzionario taiwanese, «oppure se ha fatto vedere che mostrando solo i muscoli ha creato più spazio diplomatico per Taipei». Esponendolo dunque a qualche spiffero in vista del Congresso. Negli ultimi giorni, i top manager del Politburo Xi compreso sono in silenzio. Probabilmente per il ritiro estivo di Beidaihe, evento annuale a porte sigillate dietro le quali il Politburo prende le decisioni che contano. È il momento in cui si tirano le fila e persino Xi, che ha accentrato un potere senza precedenti negli ultimi decenni, non conta più del Partito. Ecco perché il nuovo timoniere, a nascondere la sua forza, non sembra proprio pensarci.