Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 08/08/2022, a pag. 10, con il titolo "Deportare e 'russificare' i bambini per amputare il futuro di una nazione" l'articolo tratto da Le Monde.
Nella sua nostalgia di un’Europa centrale vassallizzata, dove qualsiasi contestazione era soffocata dall’invio di carri armati a Budapest o a Praga, il Cremlino devasta l’Ucraina da ormai cinque mesi col pretesto della “denazificazione” e della negazione della nazione ucraina, usando una strategia del terrore che rade al suolo le città, massacra e stupra i civili, e sposta le popolazioni. Tra il 24 febbraio e il 18 giugno, secondo il ministero della Difesa, più di 1,9 milioni di ucraini, tra cui più di 307 mila bambini (200 mila secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a inizio giugno), sarebbero stati trasferiti con la forza verso la Federazione russa, senza garanzie né controlli esterni sulle loro condizioni di vita e sul loro futuro. Questo trasferimento attraverso corridoi di evacuazione a senso unico verso dei “campi di filtraggio”, e in seguito luoghi isolati come Murmansk, Kamchatka o la frontiera nordcoreana, fa riemergere lo spettro delle deportazioni perpetrate dalla Russia zarista e l’Unione sovietica. Le nostre maggiori inquietudini riguardano la sorte dei bambini deportati, in particolare dei più vulnerabili: i minori isolati o collocati in istituti, orfani o no. Più di duemila di loro erano registrati, prima dell’invasione, negli istituti di accoglienza ucraini. A questa cifra si aggiunge un numero sconosciuto di bambini recentemente resi orfani dall’invasione russa e altri che sono stati separati dai loro genitori in occasione del loro passaggio nei “campi di filtraggio”, dove questi ultimi sono bloccati, sospettati di appartenere all’esercito o alla resistenza ucraina. Come temono gli inquirenti nominati dal Consiglio dei diritti dell’uomo delle Nazioni unite, questi minori rischiano tutti di essere adottati dalle famiglie russe: il 20 luglio, 108 di loro, originari della regione di Donetsk, lo sono già stati secondo il difensore dei diritti ucraini Dmytro Lubinets. La Russia non ha ratificato la Convenzione dell’Aia del 1993 sulla protezione dei bambini e la cooperazione in materia di adozione internazionale, unico quadro legale transnazionale che consente le procedure di adozione internazionale. I decreti firmati da Vladimir Putin il 25 maggio e l’11 luglio semplificano l’ottenimento della nazionalità russa per gli ucraini – compresi i bambini – e facilitano anche la loro adozione. Questo testo è assortito di una legge, votata il 7 giugno, che autorizza la Federazione russa a non applicare più le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo. Di fatto, la Russia non si sente affatto obbligata a rispettare un diritto internazionale umanitario di cui rifiuta il quadro legale. E le richieste indirizzate al Cremlino da parte delle autorità ucraine, che reclamano il rimpatrio dei giovani deportati, dipendono totalmente dalla buona volontà dell’invasore, il quale dà seguito alle domande col contagocce: solo ventitré bambini sono tornati in Ucraina a giugno, e quarantaquattro all’inizio di luglio, secondo la vice prima ministra ucraina Iryna Vereshchuk. Qual è la sorte di tutti gli altri? Alcuni sono “in corso di rieducazione”, ha dichiarato il 31 maggio Maria Lvova Belova, commissaria per i Diritti dell’infanzia della Federazione russa, recentemente sanzionata dal Regno Unito per il suo ruolo nel trasferimento e nell’adozione forzata dei piccoli ucraini. La “rieducazione” dei bambini fa infatti parte del piano di sradicamento della nazione ucraina pubblicato in aprile dall’ideologo Timofei Sergeitsev, un fedelissimo di Vladimir Putin, piano accompagnato da dichiarazioni che negano l’identità ucraina fatte quotidianamente sui media russi (…). La Convenzione del 9 dicembre 1948 è esplicita nel suo articolo uno: “Le parti contraenti confermano che il genocidio, sia che venga commesso in tempo di pace sia che venga commesso in tempo di guerra, è un crimine di diritto internazionale che esse si impegnano a prevenire e a punire. Enunciato dopo la Seconda guerra mondiale, questo principio, al di là del suo valore giuridico, ha un valore di prevenzione e imperativo morale. Che forma deve prendere questo imperativo in un momento in cui lo sradicamento dell’identità ucraina segue il suo corso? Se è urgente amplificare in maniera considerevole le sanzioni, il sostegno militare, materiale e logistico, i governi europei e tutte le democrazie hanno anche un obbligo di protezione. Devono intervenire in modo unanime e pubblicamente esigendo dalla Russia la liberazione dei bambini e di tutti i deportati e sollecitare le organizzazioni internazionali tra cui l’Unicef e la Croix Rouge affinché agiscano al più presto.
(Traduzione di Mauro Zanon)
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante