Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 08/08/2022, a pag.15, con il titolo "Polveriera Iraq" il commento di Francesca Mannocchi.
Francesca Mannocchi
Venerdì i sostenitori del leader politico e religioso sciita Muqtad al Sadr, si sono riuniti nella Green Zone, l'area fortificata della capitale Baghdad, sede di palazzi istituzionali e ambasciate, per celebrare lì la preghiera islamica del venerdì. Sadr ha chiamato i suoi ad una nuova manifestazione di presenza e consenso, culmine di una settimana che ha fatto tremare l'Iraq, dopo le proteste iniziate il 27 luglio e l'assalto al Parlamento dei giorni successivi. Per capire come si è arrivati fin qui bisogna risalire alle ultime elezioni e ai vincoli di formazione del governo. Dal 2003 il Paese è gestito dal sistema «Muhasasa» un metodo di spartizione del potere su base settaria, che divide i posti e la rappresentanza su base religiosa, etnica e tribale. Per formare un governo, i partiti in parlamento devono stabilire blocchi per nominare un presidente e poi un primo ministro. Nelle elezioni dell'ottobre 2021 Muqtad al Sadr era emerso di fatto come vincitore e il blocco da lui rappresentato aveva ottenuto 73 seggi. Sadr ha provato a formare un governo di maggioranza in alleanza con sunniti e curdi per escludere i suoi oppositori sostenuti dall'Iran. Da allora però i rivali di Sadr si sono uniti nel «Quadro di Coordinamento» tentando di rafforzare l'unità dei partiti sciiti e mettere fuori gioco i sadristi. Nei mesi successivi le riunioni parlamentari sono state boicottate, e le lotte interne ai blocchi e ai partiti molto aspre. Il Parlamento non ha trovato un accordo sul Presidente - tradizionalmente un curdo- perché i partiti curdi non sono stati in grado di concordare sul nome di un candidato che andasse bene a tutti. Così, dopo mesi di stallo, a giugno Muqtad al Sadr ha ordinato ai suoi eletti di ritirarsi dal Parlamento, lasciando di fatto il Quadro di Coordinamento in una posizione dominante. La situazione si è aggravata dopo la pubblicazione di alcune registrazioni audio in cui l'ex primo ministro Nouri al-Maliki insultava Sadr accusandolo di essere «assetato di sangue».
Le ambizioni dei due politici si scontrano dall'inizio della legislatura. Al-Maliki vuole rivendicare il suo potere e scegliere il primo ministro, ma soprattutto vuole mantenere lo status quo. Proprio quella paralisi di potere clientelare e corruzione che Sadr dice di voler distruggere, spesso strumentalizzando l'insofferenza popolare per raccogliere consenso. Quando nel 2014 il suo mandato come primo ministro è terminato, al-Maliki ha piazzato i suoi uomini come dipendenti pubblici nelle istituzioni chiave, inclusa la magistratura. Nel frattempo, al-Sadr ha creato uno stato parallelo, un apparato ombra, un movimento che per sostenersi ha bisogno di ingenti somme di denaro per essere finanziato. Per questo ha uomini nei ministeri dell'interno e della difesa, nelle compagnie petrolifere ed elettriche statali e nella banca centrale. Avere voce in capitolo sul budget iracheno di 89 miliardi di dollari l'anno consente ai sadristi di indirizzare denaro verso i sostenitori. Negli audio diffusi dalla stampa locale, al-Maliki dice inoltre: «L'Iraq è sull'orlo di una guerra devastante dalla quale nessuno uscirà illeso, a meno che il progetto di Muqtada al-Sadr, Massoud Barzani e Muhammad al-Halbousi non venga sconfitto». In risposta Sadr ha condannato l'antico nemico chiedendogli di allontanarsi dalla politica perché la sua presenza in Parlamento «significherebbe la distruzione dell'Iraq e della sua gente». Ma a far precipitare la situazione è stata la nomina, alla fine di luglio, di Mohammed Shia al-Sudani, un politico sciita di 52 anni, come candidato primo ministro da parte del Quadro di coordinamento. Al-Sudani è l'ex governatore della provincia di Maysan, è stato più volte ministro negli ultimi dieci anni e ambisce alla carica di primo ministro da tempo, in quest'ottica ha fondato il partito Dawa durante il movimento di protesta contro il potere dell'ottobre 2019. Sadr, che ha sempre considerato al-Sudani un politico corrotto - ha chiesto alla sua gente di scendere in piazza. E così i suoi sostenitori il 27 luglio hanno assaltato il Parlamento per impedire la formazione del governo. Alla fine di luglio, l'Iraq era senza governo per il periodo più lungo nella sua storia post-2003. Tre giorni dopo i sadristi sono tornati di nuovo nella Green Zone abbattendo i blocchi di cemento e si sono accampati nel Parlamento. Il leader ha esaltato la loro protesta descrivendo in un tweet l'occupazione del palazzo come «un'occasione d'oro per cambiare il sistema politico, eliminare i corrotti e portare il Paese a nuove elezioni». I suoi sostenitori hanno saccheggiato gli uffici del partito Dawa dell'ex primo ministro Nouri Al-Maliki a Baghdad e i locali della corrente politica Hikma, la formazione di Ammar Al-Hakim, entrambi membri del «Quadro di Coordinamento», suo avversario. «Chiedo a tutti di sostenere i rivoluzionari, comprese le nostre tribù orgogliose, le nostre forze di sicurezza eroiche, i membri delle Forze di mobilitazione popolare dei Mujahid che rifiutano la sottomissione e tutti i gruppi di persone a sostenere la riforma, uomini e donne, giovani uomini e bambini, non sotto la mia bandiera o guida, ma sotto la bandiera dell'Iraq e la decisione del popolo», ha scritto Sadr, elogiando la sua più grande arma: la gente in piazza, lanciando un appello amplificato dalla retorica religiosa volta a suscitare il fervore dei fedeli sciiti che si preparano a celebrare l'Ashura, la commemorazione del martirio dell'Imam Hussein, nipote del profeta Maometto. Questo era lo scenario nel giorno in cui l'Iraq ha rischiato di cadere di nuovo in una spirale di violenza: migliaia di sostenitori di Moqtada Al-Sadr a occupare il Parlamento per chiederne lo scioglimento e lo svolgimento di nuove elezioni, centinaia di altri sostenitori mobilitati dal leader e dall'altra parte in un pericoloso faccia a faccia nella zona verde, i rivali del «Quadro di Coordinamento», che hanno organizzato una contro manifestazione per protestare contro quelle che ritengono le provocazioni di Sadr, e contro quello che ritengono essere un «colpo di Stato» contro le istituzioni statali.
La Green Zone si è riempita di posti di blocco per scongiurare un possibile scontro tra i due blocchi, ma fortunatamente la situazione non è precipitata, anche perché due dei più potenti gruppi sostenuti dall'Iran - Kataib Hezbollah e il leader della coalizione di Fatah Hadi al-Amiri - hanno annunciato che non avrebbero preso parte alle manifestazioni. Sadr ha dimostrato, in questi caotici giorni di agosto, che la sua principale arma politica è la piazza. Sadr ha una grande capacità di mobilitare le masse sia nei quartieri disagiati della capitale Baghdad sia nelle zone più depresse del sud. È lo strumento che da anni usa per proporsi come un nazionalista in cerca di riforme, in contrapposizione al blocco sciita filo iraniano. Si fa sempre più concreta, a più di una settimana dall'inizio delle proteste, la possibilità che il Parlamento venga sciolto e vengano convocate nuove elezioni legislative. Di fronte alla paura di uno scontro tra i due blocchi armati, crescono gli appelli alla calma: il primo ministro Mustafa Al-Kadhimi, incaricato di gestire gli affari correnti, ha invitato i blocchi al negoziato invocando le elezioni per uscire dalla crisi. Resta da capire se la coalizione di Sadr «al Sairoon» parteciperà alle consultazioni. Per ora resta lo stallo tra i due blocchi contrapposti che si battono per prendere la guida della rappresentanza sciita. E resta la crisi sociale degli iracheni che osservano il Parlamento indebolito e le istituzioni che non riescono a dare risposte per affrontare la crisi che grava sulle loro spalle.
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