Putin divide l'Ucraina Analisi di Brunella Giovara
Testata: La Repubblica Data: 08 agosto 2022 Pagina: 12 Autore: Brunella Giovara Titolo: «Sulla nuova frontiera che divide l’Ucraina: 'Torniamo sotto i russi ma è la nostra terra'»
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 08/08/2022, a pag.12, con il titolo "Sulla nuova frontiera che divide l’Ucraina: 'Torniamo sotto i russi ma è la nostra terra' ", l'analisi di Brunella Giovara.
Zaporizhzhia
Lui non vuole partire, «ma lei è vecchia, guardala ». Un sole feroce, una decina di tettoie, i cartelli che indicano Donetsk, Kherson, Melitopol, Lugansk, Berdyansk, e Mariupol, le città occupate dai russi dove non si vorrebbe mai tornare, ma è pur sempre casa, e certe volte bisogna tornare. «Mia madre sogna la sua casa di Severodonetsk. Ha 80 anni, e io ho bisogno di lei, così sono costretto a seguirla in bocca ai russi». E anche gli altri, sfiniti dal caldo come questo Andryi, un mutilato di 45 anni che peraltro corre a zig zag sulla sua carrozzina, nella polvere dell’ex mercato delle automobili a est di Zaporizhzhia. Qui si formano le colonne di chi attraversa la nuova frontiera Ucraina-Russia, ovvero Ucraina-territori occupati. Ultimo paese ucraino Kamianske, primo paese russificato, Vasylivka. Non si torna volentieri, e sono viaggi estenuanti, scomodi, sporchi. Umilianti. I russi concedono il passaggio ai civili ucraini, ed è l’unico possibile, ma poi li maltrattano, o li rapinano. Non toccano gli aiuti umanitari, i Tir carichi di cibarie e medicinali, ma aprono le borse delle donne, portano via il pane e il formaggio che serve per il viaggio. Alle tre del pomeriggio, in un vento rovente, la colonna si avvia piano, camion e furgoni, la gente ha raccolto i fagotti, li ha caricati e ci siè seduta sopra, che è sempre meglio di niente. A Nova Oleksandrivka il grande check point per il controllo documenti, già controllati al mercato. Una donna anziana chiede un passaggio, non si capisce come sia potuta arrivare fin qua, sola, con la sua borsa di finta pelle nera. I poliziotti e i soldati smistano il traffico, ci saranno altri controlli, e il nuovo confine, lì dove sventola la bandiera bianca, blu, rossa. Elena, che abitava a Mariupol con il marito operaio, ora vive ad Alchevsk, nel Lugansk, ma era venuta a trovare la sorella che vive a Pokrovsk, «però adesso li stanno evacuando». Ha due borse e uno zainetto, rassegnata ad aspettare il prossimo convoglio, e prima della guerra insegnava il fortepiano. Ha una casacca beige ricamata, ma le unghie smaltate in pervinca sono bordate di nero. Ein questo squallore, sulle panche costruite con i pallets, e nelle zaffate di hot dog di pollo bruciati, sembra impossibile che una professoressa di fortepiano sia proprio qui e in questa malabolgia, e che voglia e sappia affrontare un percorso tortuoso e incerto, pur di riabbracciare una sorella. «E mio figlio, che vive in Crimea, sono andata a trovare anche lui». Il convoglio per il Lugansk non si vede, c’è il tempo per spiegare che «quando arrivi davanti ai russi, pretendono i documenti come se fossero i padroni. Ma io sono la padrona, quella è la mia terra». E domandano “perché vieni qui?”. Allora «io rispondo che è la mia patria, e loro mi guardano male». Sdraiata su una coperta ormai lurida c’è Olha, una donna alta e bionda, e la figlia, il marito della figlia e la nipotina (vorrebbe correre scalza, così bisogna acchiapparla e metterle a forza le scarpette rosa). E una ragazzina parente, più un pappagallo bianco che grida nella gabbia, e un cagnetto maltese, con la ciotola e i croccantini. Borse e trolley, le bottiglie d’acqua, i cartocci del pranzo avanzato, comprato nei gabbiotti che adesso fanno affari, costa cara una banana, costa cara la minerale. Tornano a Melitopol «perché i miei genitori sono anziani e mi hanno chiesto di tornare. Ma non posso lasciare loro di qua, così torniamo tutti ». Nessuno è felice, si stava meglio in Polonia e a Leopoli, ma «devo ubbidire. E poi sto per svenire. Sa da quanti giorni siamo qui? Cinque». E arriva Andryi, che è isterico, racconta di aver subito un grave incidente quando viveva a Mosca, quindi è tornato a Severodonetsk dalla madre Ala che adesso si è svegliata da un sonno che sembrava mortale, sdraiata sulla panca ruvida. «Insegnante di lettere in pensione», si vede dal tono, tiene le mani intrecciate sulla blusa fantasia, una donna elegante, i capelli ancora biondi raccolti nel foulard, «voglio tornare a casa mia, so che è a posto, neanche un vetro rotto». È un miracolo, dati i missili che hanno colpito Severodonetsk e l’hanno consegnata ai russi. Tre mesi di bombardamenti, poi Ala e il figlio sono scappati ma adesso tornano, «io non ho più paura di niente. Devo stare con lui», e poggia la mano su un pacco di pannoloni per incontinenti. Lui è agitato, mostra il moncherino della gamba destra, tagliata da poco a metà polpaccio per via di un’infezione. «Mamma, come faremo a mangiare, io e te?». Cento euro di pensione a testa, al mese, poco anche per qui. «Andrò dal comandante dei russi e gli dirò: sono vecchia, ho bisogno del cibo, dammi dei soldi ». E c’è anche uno che ha il camion pieno di cavoli, va a venderli a Vasylivka «perché di là non hanno da mangiare, però l’ultima volta i russi hanno scaricato il cassone per terra e se li sono presi tutti». Ci riprova, a fare il suo piccolo business, poi le voci si perdono nell’aria fetente di gasolio, benzina, gas, e si parte.
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