Quei civili ucraini imprigionati Analisi di Francesca Mannocchi
Testata: La Stampa Data: 06 agosto 2022 Pagina: 16 Autore: Francesca Mannocchi Titolo: «Quei civili imprigionati»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 06/08/2022, a pag.16, con il titolo "Quei civili imprigionati" il commento dell'inviata a Kiev Francesca Mannocchi.
Francesca Mannocchi
Luglio 2022, Seversk, Donbass ucraino. «La Russia ci darà qualcosa, lo dice mia madre. Sono sicura che le armi che arrivano sulle nostre case siano ucraine, i russi non farebbero mai del male alla gente che li sostiene. Si sono nascosti dietro le persone, sparano a sé stessi, è sicuro. Sono gli ucraini che fanno tutto da soli». Questa la trascrizione fedele di quanto ci ha detto una giovane cittadina di Seversk quando abbiamo bussato alla sua porta, a luglio, dopo che aveva rifiutato di essere evacuata dalla Croce Rossa ucraina. Ksiusha ha 24 anni, un marito e una figlia di due anni, Nastya, che dorme da mesi nella cantina diventata rifugio. Quando siamo entrati per la prima volta in casa sua a bussare erano stati i volontari che ogni giorno rischiano la vita per andare a salvare chi vive sotto le bombe. Doverosa premessa: salvare chi vive sotto le bombe significa raggiungere dei luoghi con il rischio che arrivi da un momento all'altro un missile e uccida tutti, volontari ed evacuati. Significa non avere connessione telefonica, perché la guerra ha danneggiato le infrastrutture e le reti di comunicazione. Evacuare i civili significa gridare con un megafono lungo la strada sperando che qualcuno esca dalle cantine e che non arrivi un razzo in quel momento. Era stato così anche quella mattina con i volontari che arrivavano nei luoghi assediati con due obiettivi: portare via chi voleva scappare e lasciare cibo, acqua e medicine a chi invece non se ne voleva andare, come Ksiusha. Si può tentare di obiettare, con chi non vuole andare via, che le istituzioni avvertano da mesi i civili di lasciare le aree colpite, perché il rischio è che potrebbero non essere più raggiungibili nel giro di pochi giorni (10 aprile Voice of America: «Il governatore della regione di Luhansk avverte i civili di evacuare immediatamente mentre la Russia aumenta i bombardamenti nell'area».) Si può anche tentare di usare l'arma della logica: i soldati ucraini devono avanzare, man mano che, in direzione contraria, avanza l'artiglieria russa, per contrastare l'occupazione (14 giugno, Bbc: «Sebbene l'ultimo ponte di Sievierdonetsk sul fiume Siverskyi Donets sia stato abbattuto, le evacuazioni vengono ancora effettuate ogni volta che c'è una pausa e c'è la possibilità di trasporto», dice il sindaco Oleksandr Stryuk.) Ma spesso è troppo tardi, perché le strade e i ponti sono stati fatti saltare in aria, o non basta a chi non vuole andare via. Come Ksiusha che non aveva voluto lasciare casa sua nonostante fosse già stata colpita da un missile. Aveva detto soltanto: voglio andare da mia madre a Belgorod, in Russia. Per quello era rimasta, come altre migliaia di persone, nella provincia di Donetsk. Partiamo da Ksiusha perché giovedì Amnesty International ha pubblicato un rapporto sostenendo che l'esercito ucraino stia violando il diritto umanitario internazionale. «Il diritto internazionale umanitario - si legge nelle conclusioni del rapporto - chiede a tutte le parti in conflitto di fare il massimo possibile per non collocare obiettivi militari all'interno o nei pressi di centri abitati. Altri obblighi circa la protezione delle popolazioni civili prevedono la loro evacuazione da luoghi prossimi a obiettivi militari e un preavviso efficace su ogni attacco che possa avere conseguenze per le popolazioni civili». Il preavviso efficace è stato dato, e molte volte, a fronte - soprattutto in Donbass - di un'avanzata che ha applicato metodi violenti e ha portato alla distruzione di interi villaggi e vaste aree (5 luglio, The Guardian: «Il governatore di Donetsk esorta 350.000 civili a evacuare. Le truppe del Cremlino hanno intensificato la loro offensiva nella provincia vicina, spingendo il governatore a sollecitare l'evacuazione di oltre un quarto di milione di residenti».) Le truppe ucraine vengono accusate di aver trasformato le strutture civili in obiettivi militari, per esempio stabilendo basi e piazzando l'artiglieria in aree residenziali o in scuole e ospedali. Perciò, si legge sempre nel rapporto, quando le truppe russe colpiscono questi obiettivi, rischiano di uccidere la popolazione civile e distruggere le infrastrutture. Le conclusioni di Amnesty appaiono discutibili e controverse soprattutto perché sono in parte irrealizzabili. E per capire perché è necessaria un'altra premessa. Questa non è una guerra tra due Stati. Non ci sono l'Ucraina e la Russia impegnate in combattimenti attivi su entrambi i territori. C'è uno Stato che ha invaso uno Stato sovrano occupandone i territori, effettuando attacchi aerei in aree popolate, costringendo migliaia di persone a essere evacuate in Russia e spesso private di documenti di identità. E questa si chiama aggressione. Fatta la necessaria puntualizzazione, se ne deduce che l'aggressore e l'invaso non siano sullo stesso piano. Perché il territorio e la popolazione civile dell'aggressore non sono minacciati (per fortuna) mentre è uccisa la popolazione civile e devastato il territorio invaso. E' perché occupata e invasa che l'Ucraina si difende. Ma come? Spostando le truppe di città in città, per tentare di ostacolare l'avanzata russa. E per farlo ha bisogno che le città e i villaggi, i paesi e le strade siano libere. Perché sanno, i vertici della difesa ucraina, che quante più persone restano nelle aree in cui si combatte, tanto più alta sarà la possibilità di vittime civili. Ecco perché i volontari continuano ogni giorno a tentare di evacuare i civili. E per questo continuano a morire, dall'inizio della guerra. Ed ecco perché le istituzioni locali, i ministri e il Presidente, continuano a sollecitare tutti di andare via. L'ultimo appello di Zelensky è del 31 luglio quando chiede l'evacuazione della regione di Donetsk: «Più persone lasciano la regione di Donetsk ora, meno persone moriranno». Val la pena sottolineare che l'appello di Zelensky arrivava nelle ore in cui la Croce Rossa Internazionale chiedeva di indagare sulla morte di 50 prigionieri di guerra ucraini detenuti nella prigione di Olenivka - controllata dall'autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk (DNR) sostenuta dalla Russia - e morti in circostanze poco chiare durante un attacco alla prigione. La Croce Rossa ha chiesto varie volte il permesso di entrare, permesso negato dai russi. Val la pena anche ricordare che la concessione dell'accesso ai prigionieri di guerra è obbligatorio ai sensi delle Convenzioni di Ginevra e che i russi abbiano bloccato le evacuazioni per settimane intorno Kiev, per mesi nella città assediata di Mariupol, che abbiano forzato migliaia di cittadini a essere evacuati in territorio russo o delle repubbliche separatiste e che, dall'inizio della guerra, abbiano chirurgicamente colpito magazzini alimentari, supermercati, mercati, scorte di cibo, acquedotti e centrali elettriche per colpire la popolazione civile. Intenzionalmente. «Essere in una posizione difensiva non esenta l'esercito ucraino dal rispetto del diritto umanitario internazionale», ha affermato il segretario generale di Amnesty International, Agnès Callamard. Le reazioni al rapporto e alle dichiarazioni di Callamard non si sono fatte attendere. Il Presidente ucraino Zelensky nel suo discorso serale ha detto che secondo le tesi di Amnesty «gli attacchi terroristici appaiono come giustificati o comprensibili», il ministro degli Esteri Kuleba ha affermato che «il comportamento di Amnesty non riguarda la ricerca della verità ma la creazione di un falso equilibrio tra il criminale e la sua vittima», la presa di distanza che ha fatto più rumore, tuttavia, è arrivata proprio dalla sede ucraina di Amnesty International. Ieri mattina, a poche ore dalla diffusione del rapporto, la responsabile di Amnesty Ucraina Oksana Pokalchuk ha dichiarato che l'ufficio ucraino non ha partecipato né alla preparazione né alla stesura del rapporto, che «nessuna delle argomentazioni del nostro team sull'inammissibilità di questo rapporto è stata presa in considerazione», che nonostante le obiezioni l'ufficio non abbia ricevuto risposte dalla sede centrale, e che, in conclusione, la squadra ucraina avesse deciso di non pubblicare né tradurre il rapporto perché «non si teneva conto dell'incompletezza del materiale». La segretaria generale di Amnesty Callamard in un tweet ha accusanto chi criticava il rapporto, di essere un troll della propaganda ucraina: «E' propaganda di guerra, disinformazione- ha scritto sul suo profilo -. Questo non intaccherà la nostra imparzialità e non cambierà i fatti». Stupisce una risposta così dal più alto rappresentante di un'organizzazione internazionale che lotta contro le ingiustizie e in difesa dei diritti umani nel mondo. Il 14 luglio un attacco missilistico russo colpisce un edificio civile a Chasiv Yar, Donbass Ucraino. Il bilancio delle vittime è di 48 morti. L'edificio, come viene confermato dai testimoni intervistati sul posto, era utilizzato come base da un'unità di soldati ucraini che avevano avvertito per giorni le persone di andare via e rifugiarsi nella più vicina città sicura di Pokrovsk. Molti l'avevano fatto. Molti altri erano rimasti. Molti sostenevano i soldati «da qualche parte dovranno pur stare per difenderci». Molti altri accusavano i cittadini filorussi di aver segnalato la posizione dei soldati ucraini alle truppe di Mosca. La guerra è essenzialmente questo. La sofferenza dei civili e le acque torbide delle armi. E' per questo che si chiede a chi ha la responsabilità di veicolare informazioni delicate, prove e accuse di fare attenzione a quello che in guerra si perde sempre troppo velocemente. Il contesto. In questo caso lo sbilanciamento insolubile tra aggredito e aggressore. Il rischio, soprattutto in questo caso, è che la diffusione dei rapporti venga strumentalizzato, sorbendo l'effetto contrario a quello sperato. Ieri, per esempio, il rapporto è stato apprezzato dalla televisione di Stato russa. Il presentatore Yevgeny Popov ha detto in diretta che «anche i truffatori e i mascalzoni internazionali» di Amnesty International «hanno accusato l'Ucraina di violare le leggi di guerra».
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