I missili cinesi fanno paura. Ecco perché Analisi di Gianluca Di Feo
Testata: La Repubblica Data: 06 agosto 2022 Pagina: 12 Autore: Gianluca Di Feo Titolo: «'Vento dell’Est', quei missili con cui Xi mostra i muscoli»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 06/08/2022, a pag.12, con il titolo "'Vento dell’Est', quei missili con cui Xi mostra i muscoli" l'analisi di Gianluca Di Feo.
Gianluca Di Feo
In altri secoli il “Vento Divino” impedì l’invasione cinese del Giappone, oggi il “Vento dell’Est” testimonia al mondo la volontà di Pechino di occupare Taiwan. Dongfeng, ossia “Vento dell’Est”, è il nome dei missili balistici scagliati in queste ore intorno all’isola: armi semplici e micidiali, perché lanciate da mezzi mobili e troppo veloci per essere intercettate. In più, vengono usate in sciami: una pioggia di ordigni più numerosi di quanti ne possano abbatterele difese. Bastano i vecchi Dongfeng DF-11 e DF-15 sparati negli scorsi giorni per fermare qualunque nave voglia raggiungere Taiwan mentre i nuovi DF-17, filmati in marcia verso la costa, sono stati progettati per guidare una testata ipersonica dritta contro le portaerei dell’Us Navy. Il presidente Xi non sta mettendo in scena una semplice esibizione di forza: dimostra di potere attaccare Taiwan in qualsiasi momento, senza bisogno di mobilitare la sua armata in anticipo, senza che la macchina bellica americana abbia il tempo di intervenire. In poche ore aviazione, esercito e marina si sono schierati nelle posizioni per l’assalto. I piani prevedono che per conquistare Taiwan servano quattro operazioni, simultanee e coordinate.
La prima è un’ondata di raid sulle infrastrutture, all’inizio quelle militari e poi quelle civili, condotta con aerei, razzi e missili: l’obiettivo è piegare la volontà di resistere e scompaginare l’organizzazione del Paese. La seconda è il blocco totale, impedendo i collegamenti dal cielo e dal mare, ma anche le comunicazioni: oltre ai soliti missili, questa missione sarà affidata alla flotta e alle incursioni cyber. La terza operazione è la più complessa: impedire il soccorso statunitense. Un’ondata di missili, droni, bombardieri andrà a prendere di mira navi e basi americane del Pacifico, rendendo difficile l’afflusso di rinforzi sul campo di battaglia. Solo a quel punto scatterà lo sbarco, in cui Pechino dovrà sincronizzare le azioni di truppe terrestri, unità navali e stormi di cacciabombardieri. Gli analisti sono convinti che la Cina abbia già la capacità di portare a termine le prime tre fasi e le manovre di questi giorni lo stanno confermando. Le perplessità riguardano la sinergia dell’intera armata necessaria a espugnare i bunker taiwanesi, anche se le mosse congiunte delle due portaerei cinesi e delle brigate anfibie segnalano rapidi progressi. Ma se prima dell’invasione russa dell’Ucraina pochi prendevano in considerazione l’eventualità che Pechino passasse dalle minacce ai fatti, la guerra di Putin ha cambiato tutto. Si prevedeva che le forze cinesi avrebbero avuto bisogno di altri cinque-otto anni per affrontare alla pari gli Usa: adesso invece cresce la spinta dei falchi del Partito Comunista per sfruttare subito la debolezza del Pentagono, nuovamente impegnato sul fronte europeo e che soltanto con la presidenza Biden ha cominciato a potenziare la presenza nel Pacifico. Al momento una sola portaerei americana è in zona, a cui cercano di dare sostegno due portaelicotteri che imbarcano jet F-35: in tutto si tratta di circa sessanta caccia. Purele installazioni dell’Air Force e dei Marines sono prive di protezione contro i missili balistici e i contratti per acquistare l’Iron Dome israeliano sono stati appena firmati. Insomma, non c’è un deterrente militare credibile per tenere lontani gli artigli del Dragone. La Casa Bianca e i suoi alleati però hanno un’altra arma a disposizione, altrettanto potente: rispondere con la coesione delle democrazie, in grado di chiudere i mercati e soffocare l’economia cinese. Un rischio che il presidente Xi teme più delle portaerei.
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