Quanto vale l’Italia per Putin Editoriale di Maurizio Molinari
Testata: La Repubblica Data: 31 luglio 2022 Pagina: 1 Autore: Maurizio Molinari Titolo: «Quanto vale l’Italia per Putin»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 31/07/2022, a pag. 1, con il titolo "Quanto vale l’Italia per Putin", l'analisi del direttore Maurizio Molinari.
A destra: Vladimir Putin
Maurizio Molinari
Il moltiplicarsi dei segnali sulle interferenze russe nella nostra politica interna pone, in vista delle elezioni politiche, l’interrogativo su quali siano i reali interessi di Mosca in Italia ovvero sul valore che abbiamo come Paese nel quadro della strategia di Vladimir Putin verso l’Unione Europea e il Mediterraneo. Il punto di partenza non può che essere l’invasione dell’Ucraina perché è questo l’evento spartiacque, innescato da Putin al fine di creare una nuova architettura di sicurezza in Europa. In un primo momento il Cremlino pensava di poter innescare il cambiamento con una guerra lampo capace di travolgere la giovane democrazia di Kiev ma il fallimento di questa tattica lo ha portato a puntare sulla “lunga guerra” ovvero un conflitto nel quale la Russia vuole prevalere grazie a due fattori convergenti: una maggiore quantità di risorse militari rispetto all’Ucraina; l’incapacità degli alleati occidentali di Kiev di restare coesi nelle forniture di armi e nell’applicazione delle sanzioni. È Valery Gerasimov, capo di Stato Maggiore russo, il teorico della “lunga guerra” perché ritiene che una sfida prolungata nel tempo sia destinata a far emergere tanto la maggior forza della Russia — la capacità politico-economica di resistere alle sanzioni Usa-Ue — che la maggior debolezza dell’Occidente, ovvero l’instabilità connaturata ai sistemi democratici. In tale cornice l’attacco a Kiev diventa dunque solo il sanguinoso momento di inizio di una campagna ibrida — combattuta con ogni possibile strumento — tesa a far implodere le democrazie, scardinando dall’interno la coesione di Nato e Ue. Si spiega così anche la narrativa del ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che sfrutta ogni viaggio — dall’India all’Africa — per rispolverare un linguaggio anti-colonialista stile anni Cinquanta per spingere ogni nazione, grande o piccola che sia, ad allontanarsi da Europa e Nordamerica. E infine il tassello su cui Putin scommette di più: tagliare del tutto le forniture energetiche alla Ue in autunno per esercitare il massimodella pressione sui singoli Paesi, al fine di fomentare ogni tipo di instabilità, spingendoli ad allontanarsi da Kiev, cessando anzitutto l’invio di armi.
È questa strategia della “lunga guerra” che spiega il valore dell’Italia per il Cremlino: se il nuovo governo dovesse infatti decidere di interrompere l’invio di armamenti all’Ucraina o di sospendere l’applicazione delle sanzioni alla Russia l’impatto per la coalizione euroatlantica sarebbe sensibile, creando grazie a Roma una frattura senza precedenti dentro Nato e Ue, sulla quale poter poi costruire la narrativa di un’altra Europa — magari affiancando Italia ed Ungheria — più lontana da Bruxelles e Washington. Nulla da sorprendersi dunque se la Brigata Wagner, composta da mercenari russi al servizio del Cremlino, sfrutti il controllo di alcuni porti nella Cirenaica libica per aumentare il flusso di migranti verso le nostre coste — come Repubblica ha documentato in questi giorni — al fine di imporre il tema dell’immigrazione al centro del dibattito elettorale favorendo quei partiti — come la Lega di Salvini — apertamente contrari tanto alle sanzioni alla Russia che alle armi per l’Ucraina. Ma non è tutto, perché la caduta del governo Draghi è avvenuta in un frangente — all’indomani dell’accordo conl’Algeria sull’aumento delle forniture di gas — che vedeva il nostro Paese protagonista di una rete di intese con partner africani e mediorientali capaci in tempi stretti non solo di emanciparci dalla dipendenza energetica da Mosca ma di trasformare l’Italia in un hub europeo per far arrivare il gas naturale dal Mediterraneo fino ai Paesi del Nord Europa. Questo scenario, possibile grazie al ricorso a gasdotti che attraversano Svizzera ed Austria, si basa sul concetto del “reverse flow” ovvero far affluire il gas all’Europa da Sud e non più da Nord: si tratta della più formidabile sfida alla dipendenza energetica dell’Europa dalla Russia, che si basa proprio sulle forniture da Nord, attraverso la Germania. I primi contatti informali fra Berlino e Roma sul “reverse flow” — avvenuti nell’ultimo mese — avevano registrato una disponibilità tedesca alla svolta energetica, ponendo per la prima volta Mosca davanti al rischio di perdere la maggiore leva di ricatto nei confronti della Ue. La caduta improvvisa del governo Draghi — grazie ad una convergenza di intenti in Parlamento fra M5S, Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia — si è dunque trasformata, de facto, in un immediato vantaggio netto per Mosca nella partita strategica sul gas. Da qui l’interesse, evidente, del Cremlino che il nuovo governo italiano rinunci in maniera definitiva al progetto del “reverse flow” di Mario Draghi, assicurando la permanenza della dipendenza europea dalle fonti russe. Sommando il tassello del gas naturale alla strategia di Gerasimov sulla “lunga guerra” non è difficile arrivare a comprendere perché Putin veda nelle elezioni italiane del 25 settembre una tappa cruciale nel cambiamento — a proprio favore — degli equilibri di sicurezza in Europa e nel Mediterraneo. Da qui la necessità che leader e forze politiche con l’ambizione di guidare il governo del Paese si mostrino consapevoli della posta in palio, prendendo posizione in maniera inequivocabile sull’ambizione della Russia di veder insediato a Palazzo Chigi un premier disponibile ad allontanare l’Italia dal sostegno all’Ucraina e quindi dalla solidarietà con gli alleati euroatlantici.