Il negoziato secondo Putin Analisi di Paola Peduzzi
Testata: Il Foglio Data: 29 luglio 2022 Pagina: 1 Autore: Paola Peduzzi Titolo: «Scambi rischiosi»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 29/07/2022, a pag. 1, con il titolo "Scambi rischiosi", l'analisi di Paola Peduzzi.
Paola Peduzzi
Volodymyr Zelensky
Ieri l’Ucraina ha festeggiato per la prima volta il “giorno dello stato ucraino”, una celebrazione che Kyiv ha introdotto durante la guerra perché “la costruzione di uno stato, la nostra cultura, la nostra identità, il carattere ucraino hanno una storia di più di mille anni”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky. La Russia pretende che l’Ucraina sia cosa sua e che non debba esistere in autonomia – figurarsi avere un’idea di sé – e così ieri si è fatta aiutare dall’alleato bielorusso per lanciare un attacco a nord, nell’oblast di Kyiv perseguendo la sua strategia feroce contro i civili: non dovete sentirvi al sicuro mai, e in nessun luogo. E infatti c’è stato un attacco nel centro del paese e nel martoriato sud, a Mykolaïv, è stata colpita una scuola. Il resoconto potrebbe continuare ma già così è abbastanza chiaro che cosa significa per gli ucraini quella che noi chiamiamo “impasse” sul campo. Il conteggio serve anche alla diplomazia internazionale per non dimenticare con chi stiamo negoziando – ieri il Senato americano americano ha approvato una risoluzione per designare la Russia come stato sponsor del terrorismo (ci sarà anche alla Camera, ma è il dipartimento di Stato che decide). Sono passati sette giorni dall’accordo sullo sblocco del commercio del grano e finora sono stati più i missili russi sull’Ucraina che le navi-cargo cariche partite con la collaborazione di Mosca. Antony Blinken, segretario di stato americano, avrà una conversazione in questi giorni con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, per discutere dell’accordo siglato sul grano che procede a stento e di uno scambio di prigionieri. “Scambio” è già una parola inadeguata: Washington vuole portare a casa la cestista americana Brittney Griner, accusata dai russi di possesso e utilizzo di droga e incarcerata dal giorno dell’arresto (aveva con sé delle sigarette elettroniche con ricarica alla marijuana) senza contatti con la famiglia, e Paul Whelan, canadese con cittadinanza americana, in carcere dal 2018 e condannato dai russi a 16 anni di carcere per spionaggio. In cambio gli americani sarebbero disposti a ridare ai russi “il mercante di morte”. Viktor Bout è il più famoso trafficante di armi del mondo. Si dice che a renderlo celebre sia stato Nicolas Cage nel film “Lord of war”, ma Bout era già leggenda in molte parti del mondo, perché lui era l’imprenditore delle armi, brutalmente sincero, un artista della logistica prima ancora della conoscenza tecnica delle armi. Poco più che cinquantenne, nato nella capitale tagika, Bout ha iniziato a vendere armi a gruppi e governi africani, recuperandole attraverso canali sovietici, e poi allargando il business ai gruppi terroristici da al Qaida ai talebani (dice di aver incontrato il mullah Omar) a Hezbollah. Il dipartimento del Tesoro e la Dea che gli hanno dato la caccia per anni dicono che era un imprenditore in gambissima e aggirava le loro ricerche e trappole “con la facilità con cui si acquista un hamburger da McDonald’s”. Nelle conversazioni che Bout ha avuto con i giornalisti da quando è stato arrestato (in Thailandia) e condannato a 16 anni per traffico di armi emerge chiara la sua posizione: “Tornerò in Russia, il vostro impero crollerà e io uscirò di qui”, ha detto a Nicholas Schmidle del New Yorker – l’impero è quello americano. In carcere è entrato in contatto con un gruppo di suprematisti bianchi, sostenitori del movimento trumpiano Maga (li chiamano “i bianchi”), ha una foto di Putin e racconta che i contratti migliori li faceva proponendo: queste armi uccideranno molti americani. Bout potrebbe essere scambiato con due americani: non è equo. Ma ad aggravare questa trattativa c’è la Russia che dice “non siamo ancora arrivati a nulla” e la consapevolezza che la strategia di Putin è proprio questa: fingere di sottostare a regole internazionali e violarle poi, in modo cruento, per poter dire che queste regole non servono a nulla. Oggi è previsto il verdetto del processo alla Griner, dopo 160 giorni di detenzione.
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