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Il Foglio Rassegna Stampa
27.07.2022 Usa, avanza Pete Buttigieg
Analisi di Giulio Silvano

Testata: Il Foglio
Data: 27 luglio 2022
Pagina: 5
Autore: Giulio Silvano
Titolo: «Il luccichio di Buttigieg»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 27/07/2022 a pag.5, l'analisi di Giulio Silvano dal titolo "Il luccichio di Buttigieg".

Pete Buttigieg faces crisis and opportunity as airline cancellations mount
Pete Buttigieg

L’Amministrazione Biden non sta vivendo un momento felice. Il presidente americano è criticato in particolare per l’inflazione alle stelle e per il prezzo della benzina, ma è spesso soggetto di meme che giocano sulla sua età avanzata – le cadute in bici, i discorsi in cui non si capisce bene cosa dice o quando legge dal teleprompter “ripeti questa frase”. La sua popolarità è al 33 per cento, un record negativo, che molti democratici vedono come dato pericoloso in vista delle elezioni di metà mandato, a novembre. Secondo un sondaggio, il 64 per cento dei democratici non vorrebbe che si ricandidasse nel 2024, una rarità se si guarda ai suoi predecessori, sempre riconfermati alle primarie del partito. Molti criticano la scarsa aggressività nel portare avanti le sue riforme: troppo poco brio, niente del change à la Obama. E anche Kamala Harris non se la passa tanto bene. Molti elettori speravano portasse un po’ dell’energia che aveva mostrato durante la campagna, e invece l’estro della vicepresidente è sembrato sparire una volta arrivata alla Casa Bianca, tranne sulle rigide politiche di immigrazione. In più c’è Joe Manchin, il senatore moderatore della West Virginia che ha conquistato molta visibilità (e disprezzo) per un’unica ragione: si oppone a ogni riforma proposta dal suo presidente Joe Biden, sempre. Poi c’è Pete Buttigieg, noto a tutti come Mayor Pete, ex candidato alle primarie democratiche, un raro esempio in questo Partito democratico litigioso e preoccupato di verve e successo. Dall’inizio del mandato di Biden nel 2021, Buttigieg guida il ministero dei Trasporti: pare che questo incarico l’avesse già avuto in dote quando acconsentì a ritirarsi dalle primarie per spostare i suoi voti su Biden e contrastare il grande rivale, il senatore Bernie Sanders. Il bottino di Buttigieg non era misero: aveva vinto diversi delegati e battuto tutti gli altri in Indiana, il suo stato. L’ala moderata del partito avrebbe poi finito per appoggiare Biden, ma Buttigieg lo fece con un leggero anticipo, quando ancora rischiava di vincere altri stati. Un sacrificio dovuto per unirsi “tutti insieme e sconfiggere Donald Trump”, aveva detto. Durante quel discorso, Biden lo aveva ringraziato mettendogli le mani sul collo – da dietro, una sua signature move – mentre Mayor Pete diceva: “Biden è il candidato giusto per riportare la dignità alla Casa Bianca”. Il ministero dei Trasporti non è mai stato uno di quelli à la page, capace di far risplendere il suo responsabile (qualcuno si ricorda di Anthony Foxx o Mary Peters?): il ministro è solo quattordicesimo nella linea di successione alla presidenza, per dire. Eppure Buttigieg è riuscito a far diventare il “dot” (come è chiamato il ministero dei Trasporti) centrale, quasi cool, e a far parlare di sé. Buttigieg ha un cursus honorum da vecchia guardia wasp, l’opposto di quello populista di molti trumpiani-bannoniani, e uno sguardo strategico, sia sulle riforme sia sulla propria carriera – un occhio lungo in policy&politics. Harvard, Oxford, la marina, l’Afghanistan. E ha appena 40 anni, la metà di quelli di Biden. Dal 2012 al 2020 è stato sindaco della città di South Bend, in Indiana; è per questo che da allora tutti lo chiamano Mayor Pete, sindaco Pete, anche dopo che è entrato nel governo. Per capire la glorificazione che è stata fatta di Buttigieg come simpatico e colto enfant prodige della scena nazionale, Wikipedia e diversi articoli elencano le diverse lingue che parlerebbe correttamente, tra cui il norvegese, il dari, l’arabo e l’italiano. In tv viene spesso presentato come uno studente modello. I suoi genitori sono due accademici, il padre, un maltese arrivato in America per fare il dottorato, ha tradotto i quaderni dal carcere di Gramsci per la Columbia University Press. C’è poi un elemento nella biografia di Buttigieg che si adatta perfettamente allo Zeitgeist, che lo tira via dal Novecento kennediano. Pete è il primo membro di un esecutivo, approvato dal Senato, a essere dichiaratemene gay. Non solo, nell’autunno del 2021 ha anche adottato due figli, due gemelli, Joseph detto Gus e Penelope, che spesso gli rubano la scena sui social. Alcuni conservatori, come Tucker Carlson, l’hanno criticato quando è andato in paternità. Buttigieg ha conosciuto suo marito, Chasten Glezman – che poi ha preso il suo cognome – sulla piattaforma per incontri Hinge, e si sono sposati in chiesa. Come tutti coloro che aspirano a Pennsylvania Avenue, Pete si professa religioso. Studente modello, soldato, sindaco, e poi dritto a New Jersey Avenue, la sede del ministero non lontano dalle acque del fiume Anacostia. “Se fai un buon lavoro”, ha detto una volta, “Non importa a nessuno se sei gay”. E’ quello che sta accadendo. Durante la campagna per le primarie democratiche nel 2020, Buttigieg si è concentrato sulle proposte politiche, ignorando le battute sul suo nome impronunciabile – “Chiamatemi Pete” – e gli insulti sulla sua omosessualità. Donald Trump, quando era ancora su Twitter, l’ha paragonato (bodyshaming!) alla mascotte di Mad magazine – un adolescente birbantello con le orecchie a sventola e un sorriso da tonto – scrivendo: “Alfred E. Neuman non può diventare presidente”. “Ho dovuto cercare chi fosse su Google”, ha risposto Buttigieg, “Dev’essere una cosa generazionale”. La centralità del ministero dei Trasporti non si deve solo all’aura che circonda Buttigieg, del bravo ragazzo che si rimbocca le maniche, o dal fatto che Biden sia un noto patito di treni – “dovrebbero dare il mio nome a una ferrovia”, ha detto una volta il presidente conversando con il premier britannico Boris Johnson. Questo ministero è fondamentale per un altro motivo: Biden ha basato la sua permanenza alla Casa Bianca sull’ambizioso programma “Build Back Better”. Un tentativo rooseveltiano di un New Deal 2.0 basato sulla costruzione e manutenzione delle infrastrutture, di cui i trasporti sono una parte fondamentale. Non ci sono mai stati così tanti soldi a disposizione del ministero: solo 39 miliardi di dollari, il pil della Tunisia, per ampliare e potenziare il sistema ferroviario, ma il totale è molto più alto, almeno nelle intenzioni. “Quando hai accettato questo lavoro sapevi che avresti dovuto spendere più di un trilione di dollari?”, ha chiesto Stephen Colbert a Buttigieg ospite al “Late Show”, subito dopo la nomina. In realtà il piano a novembre si è concretizzato in un progetto di legge bipartisan e si parla per adesso di 715 miliardi di dollari, per la maggior parte dedicati a strade, gallerie, ponti, porti, sicurezza stradale, aeroporti, ferrovie.

“Tre anni fa Buttigieg era il sindaco di una città con centosessanta semafori, oggi è a capo del ministero dei Trasporti”, ha detto Anderson Cooper per presentarlo nel programma “60 minute”s, e ha un budget invidiabile – il “dot” non è mai stato così potente. E’ dall’Amministrazione Eisenhower che il governo non investe cifre del genere nelle infrastrutture, cioè da quando sono state costruite le prime autostrade. Il 45 per cento degli americani vive in zone dove praticamente non esiste un servizio di trasporto pubblico e nel paese ci sono circa duecentomila chilometri di rotaie e sei milioni e mezzo di autostrade. Quando gli americani vengono in vacanza in Europa restano colpiti dalla pulizia delle metropolitane e dalla loro comodità (non a Roma, chiaramente). Buttigieg sta cercando di cambiare in qualche modo la way of life americana concentrandosi sul potenziamento del trasporto collettivo e su quello elettrico – fino a ora poco funzionale nel vasto territorio del paese – con la creazione di una rete per poter ricaricare le auto ibride ed elettriche, dal costo di 5 miliardi. Un altro suo pallino è la sicurezza stradale: “Queste morti si possono prevenire”, ha detto a gennaio, “autisti, passeggeri e pedoni dovrebbero avere la certezza di arrivare vivi alla loro destinazione”. “I trasporti servono per unire, non per dividere” è una delle sue frasi-chiave nelle interviste. La geografia è politica, e Buttigieg lo sa, così ha appena stanziato un miliardo per un programma che aiuti a collegare i quartieri segregati, dove abitano minoranze in difficoltà, al resto della città. Esistono diverse realtà in cui le superstrade costruite negli anni Cinquanta hanno separato e isolato le comunità nere a basso reddito rendendone più difficile l’integrazione. Quando era sindaco, Pete si è speso molto per gentrificare aree abitate da popolazioni ispaniche e afroamericane, circa il 40 per cento della popolazione di South Bend. Buttigieg riesce ad avere un atteggiamento superpartes da funzionario e allo stesso tempo a mostrarsi combattivo, soprattutto agli occhi degli elettori millennial, come l’invito, di fronte all’aumento dei prezzi della benzina, a usare l’auto elettrica – mossa subito criticata dai commentatori di Fox News – o l’idea che i piloti boomer delle compagnie aeree debbano lasciare spazio a una nuova generazione. Con l’esplosione di cancellazioni e ritardi nel fine settimana del 4 luglio, Buttigieg ha difeso il potere dei consumatori, contro la lobby delle compagnie aeree. Anche sulla questione delle armi ha preso subito la parola, e già nel 2017 aveva scritto su Twitter: “Non ho tenuto con me un’arma d’assalto in un paese straniero per poi tornare a casa e vedere queste armi usate per massacrare i miei compaesani”, ricordando il suo periodo in Afghanistan. L’inflazione ha iniziato a rallentare il grande piano del Build Back Better, con un aumento vertiginoso del costo delle materie prime e del lavoro, ma Buttigieg ha risposto da politico ottimista: il nostro è un lavoro lungo, che andrà avanti per cinque anni, e questi sono solo dei rallentamenti iniziali. Con il budget a disposizione, Buttigieg sta distribuendo anche molti soldi a politici locali da spendere per le infrastrutture, operazione che potrebbe creargli un appoggio per il futuro dovesse decidere di ricandidarsi alla presidenza. Sta girando in lungo e in largo, inaugurando i lavori per ristrutturare tunnel e ponti. Voci dalla West Wing parlano di lui come possibile candidato già nel 2024, se Biden decidesse di non presentarsi per un secondo mandato, o al massimo nel 2028. Voci che non sarebbero piaciute a Kamala Harris, che si sente, in quanto vice, l’erede naturale di questa Amministrazione. Barack Obama nel 2016, quando Pete era ancora soltanto un sindaco dell’Indiana, lo citò come una delle promesse del partito, in una breve lista in cui figurava anche Harris. Uno scontro alle primarie Harris-Buttigieg sarebbe una boccata d’aria fresca per i democratici. E in entrambi i casi ci sarebbe un eventuale primato tra la prima donna e il primo gay dichiarato, nonché il primo ministro dei Trasporti a sedersi nello Studio ovale.

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