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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.07.2022 Chi tifa Putin in Italia
Analisi di Angelo Panebianco

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 luglio 2022
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: «Chi tifa per Putin»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/07/2022, a pag.1 con il titolo "Chi tifa per Putin" l'editoriale di Angelo Panebianco.

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Angelo Panebianco

Putin e Xi contro gli Usa:
Vladimir Putin con Xi Jinping

Nella campagna elettorale italiana c’è un convitato di pietra, Vladimir Putin. Sicuramente grato a coloro che hanno tolto di mezzo quello che considerava un suo inflessibile nemico (Draghi), il quale, per giunta, in virtù del proprio prestigio personale, era molto influente nello schieramento occidentale. Putin, presumibilmente, si aspetta dalle elezioni italiane l’uno o l’altro di due esiti. O un’Italia resa instabile dal voto o la vittoria di uno schieramento nel quale abbiano peso e responsabilità partiti che gli sono amici o, comunque, non ostili. Entrambi gli esiti farebbero comodo alla Russia. In condizioni completamente mutate stiamo per assistere (anzi, per partecipare) a una nuova edizione delle elezioni del 18 aprile 1948. Anche oggi, come allora, l’Italia è chiamata a fare una scelta di campo. Ma con la fondamentale differenza che allora il campo occidentale era dotato di una fortissima leadership in grado di dare compattezza al suo sistema di alleanze nel confronto con l’Unione Sovietica mentre oggi il campo è pieno di buche, malmesso, diviso. Per le ragioni che ha indicato Federico Rampini (Corriere del 24 luglio). L’ ormai debolissimo Biden si avvia a diventare, dopo che, nelle elezioni di metà mandato, presumibilmente, avrà perso la maggioranza al Congresso, una «anatra zoppa». Molti ipotizzano che Putin stia aspettando proprio quel momento per trattare con gli occidentali, da una posizione di forza, il futuro dell’Ucraina. Macron non ha la maggioranza in un Parlamento pieno zeppo, a destra come a sinistra, di amici di Putin. Non è per caso che la putiniana Marine Le Pen si sia complimentata con i suoi sodali italiani per avere fatto cadere Draghi. La Germania è guidata da un debole cancelliere che non sa a che santo votarsi e, più in generale, da una classe dirigente che non ha ancora deciso che cosa il proprio Paese debba fare da grande. Una Germania debole significa, in prospettiva, una Unione europea tendenzialmente allo sbando. Per inciso, è inutile continuare ad invocare, in questa fase, un’Unione politicamente forte, un esercito europeo, e tutti i soliti argomenti del repertorio «europeisticamente corretto». Nulla di tutto ciò ci sarà mai se prima l’Europa non avrà affrontato e risolto i suoi problemi di leadership. Per ora, e per il futuro prevedibile, ciò non sembra possibile. Anzi, bisogna dire che, date le difficili condizioni in cui opera, l’Unione stia facendo del suo meglio per proteggere i suoi affiliati dalle turbolenze in atto. Alle suddette difficoltà dell’Occidente possiamo anche aggiungere la presenza di una quinta colonna di Putin entro l’Unione europea (Orbán) e di una Turchia che resta nella Nato solo perché si tratta di una carta, fra le molte che usa, che le fa comodo ai fini della sua autonoma politica di potenza. Anche se e quando tale politica entra in conflitto con gli interessi occidentali. Tutti coloro che pensano che quello occidentale sia il peggior mondo possibile esclusi tutti gli altri, si sono rallegrati quando, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Nato si è di colpo rivitalizzata, i governi occidentali si sono ricompattati, Svezia e Finlandia si sono precipitate sotto l’ombrello militare occidentale. Si disse: Putin ha perso, scommetteva su un Occidente diviso e impotente, e invece lo ha rivitalizzato di colpo, gli ha dato una nuova «missione comune». Insieme ai cinesi, si disse, Putin dava per scontato che le deboli e decadenti democrazie occidentali avrebbero manifestato anche in questa occasione tutta la loro impotenza.

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Chi tifa per Putin in Italia

A dimostrazione del fatto che, come Putin e i dirigenti cinesi pensano, il mondo futuro appartiene al potere autocratico, appartiene a loro. Bene, si pensò, è successo il contrario. Forse abbiamo venduto troppo presto la pelle dell’orso. Gli elementi di debolezza delle democrazie su cui le grandi potenze autocratiche scommettono non sono una loro invenzione, esistono realmente. Le società aperte e libere occidentali sono vulnerabilissime. È anche vero che proprio i principii di libertà su cui si fondano sono il loro punto di forza: rendono il loro modo di vita più attraente di quello consentito dalle potenze autoritarie e generano una grande forza sia morale che economica, incentivando e aggregando le molteplici iniziative dei singoli. Ma anche le potenze autoritarie hanno, oltre che vistose debolezze, punti di forza, il principale dei quali è che non devono rendere conto a nessuno di crimini e misfatti. La partita è dunque apertissima e non è possibile sapere al momento chi saranno alla fine i vincitori e chi i vinti. Torniamo alle faccende di casa nostra, alla campagna elettorale. Sappiamo già quasi tutto. Non si confronteranno «liberisti» e «statalisti» (il liberismo, se per tale si intende una politica alla Thatcher, non ha mai avuto corso in Italia). Ma modi diversi per amministrare la massiccia presenza dello Stato nell’economia e nella vita pubblica italiana. Ci sarà anche qualche flebile voce a favore della concorrenza (cruciale nella cosiddetta «agenda Draghi») a fronte di un tuttora potentissimo Paese dei «fasci e delle corporazioni»: tassisti e bagnini non sono affatto gli unici che beneficiano della possibilità di scaricare sui consumatori i costi delle proprie rendite di posizione. Forse l’Europa sarà presente nella campagna elettorale. Nel senso che tutti diranno di volere usare i fondi del Pnrr. Ma non tutti parleranno delle riforme (giustizia, Pubblica amministrazione e, appunto, concorrenza) necessarie per usufruirne. Ci sarà un modo sicuro per sapere chi è schierato con chi, nel braccio di ferro planetario fra democrazie e autocrazie. Molti degli avversari di Draghi e che disapprovavano le sue scelte, cercheranno, durante la campagna elettorale, di parlare il meno possibile di politica internazionale. Si limiteranno a dire qualche banalità a favore della «pace», glissando sul fatto che la guerra non l’hanno voluta gli occidentali ma Putin. Si concentreranno invece sulle questioni interne ove è più facile mimetizzarsi. Faranno il possibile per non far capire agli elettori che c’è in ballo, prima di tutto, una scelta di campo. Fra i nemici dell’alleanza occidentale, forse solo i 5 Stelle assumeranno una posizione chiara, esplicita, pro-Putin. Soprattutto se, nel confronto elettorale, avrà un ruolo di rilievo Alessandro Di Battista. Gli altri, alla domanda «Lei è d’accordo con la politica estera di Draghi?», risponderanno «Sì, ma». Dove il «ma» sta per «ma anche no». Con i ringraziamenti di Vladimir Putin.

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