Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/07/2020, a pag. 30, con il titolo "Quella colpa eterna di essere ebrei", la recensione di Corrado Augias.
Corrado Augias
Alberto Cavaglion
«Il destino infelice degli ebrei in Italia coincide con il fallimento della democrazia liberale in Italia», quando Alberto Cavaglion ha scritto questa frase non prevedeva che, al di là della questione ebraica, gli attuali drammatici eventi avrebbero dato ennesima conferma alle sue parole — come del resto è accaduto con la morte di Eugenio Scalfari, che ci ha spinto a ricordare le sue battaglie, politiche e giornalistiche, per spingere l’avvio di una “democrazia liberale”. Fallimenti. La nostra vera tragedia resta l’incapacità storico-genetica di dar vita a un’autentica democrazialiberale.Ho aperto l’articolo con una semi- digressione, la drammaticità del momento m’ha preso la mano. Vado subito alla raccolta di saggi di Alberto Cavaglion da cui ho rubato le parole d’apertura: La misura dell’inatteso (Viella). Titolo bello e allusivo, ricavato da un pensiero di Arnaldo Momigliano, reso subito concreto dal sottotitolo: “Ebraismo e cultura italiana”. Pagine in cui si racconta un lungo rapporto segnato da difficoltà e aperture, riconoscimenti e persecuzioni. Scrive l’autore: «Il torto di nascere ebreo diventò un diritto con Napoleone, poi tornò a essere un torto sotto Carlo Felice, per ritornare a essere un diritto con Carlo Alberto e di nuovo un torto con Mussolini. Infine, il diritto venne riconquistato con la Resistenza e sancito dalla Costituzione della Repubblica». Il periodo coperto dai diciannove saggi va dal 1815, la Restaurazione dopo Waterloo, al 1988, cinquantenario delle leggi razziali fasciste.
La copertina (Viella ed.)
Cavaglion insegna Storia dell’ebraismo a Firenze, sa talmente bene di che cosa parla da dare conto delle incomprensioni sia di una parte sia dell’altra — anche se torti e ragioni restano di diversa misura. Parecchi ebrei parteciparono al movimento risorgimentale per l’unità d’Italia, l’idea di democrazia però, ovvero l’inalienabilità dei diritti dell’individuo, aveva nelle loro comunità limitata diffusione. Dall’altra parte, un’analoga vastissima ignoranza, compresi i più assurdi pregiudizi, circondava gli ebrei contagiando anche chi per elevatezza di spirito e nobiltà d’intenti, avrebbe dovuto esserne esente. Illuminante, a questo proposito, un episodio relativo a Giuseppe Mazzini. Nel 1841, Mazzini, esule a Londra, manda alla madre una lettera nella quale manifesta un certo timore per essere stato invitato a cena in casa dei Nathan: «Non mangerò se non dopo che essi avranno assaggiato, porterò con me contravveleni». Essendo ovviamente uscito vivo dalla cena torna sull’argomento: «Ne sono escito, miracolo! Sano e salvo». Questi erano gli stereotipi, commenta Cavaglion, nei quali era immerso uno dei padri della patria. Per capire meglio di chi stiamo parlando si può aggiungere che, nel 1907, un discendente dei Nathan, Ernesto, diventerà sindaco di Roma e viene ricordato, ancora oggi, come uno dei migliori che la capitale abbia avuto. Tragicomiche incomprensioni di questo tipo nocquero ovviamente al rapporto così come nocque, perquanto riguarda le comunità ebraiche, il lento formarsi di una coscienza democratica, il che aiuta anche a capire la rapidità con cui molti caddero nell’inganno del fascismo. Punto storicamente importante che Mussolini provvide a chiarire nel 1938 con il colpo d’accetta delle leggi razziali. Il contributo ebraico all’antifascismo è stato notevole come dimostra tra l’altro «la presenza di ebrei nella storia dei partiti di opposizione, nelle cronache del Tribunale speciale, nelle testimonianze dal confino». Non si può trascurare però: «Il rapporto tra il numero degli ebrei antifascisti e il numero, considerevolmente più alto, di coloro che non lesinarono consenso al regime». Tra le pagine più appassionanti cito quelle sul rapporto intenso e diffuso con Dante. Le edizioni ridotte, le facilitazioni offerte da manua-letti come ilProntuario del dantofilo , i rimari nelle biblioteche ebraiche tra Otto e Novecento andarono insieme a un’ampia pubblicistica dieducazione morale ricavata da Dante per gli adolescenti ebrei in vista della loro maggiorità religiosa (Bar-Mitzvah). Un Dante popolare destinato a: «persone semplici, rappresentanti della piccola borghesia che cominciano a portare a memoria versetti danteschi con la stessa intensità con cui avevano memorizzato i versetti dei Salmi». O le parole delle più popolari opere liriche. In Primo Levi, per esempio, che chiamava Dante “sommo padre”, il richiamo alla Commedia è evidente fin dall’epigrafe del suo Se questo è un uomo .
L’imperativo «Considerate se questo è un uomo» richiama il canto di Ulisse «Considerate la vostra semenza...». L’altro passaggio «Voi che vivete sicuri nelle vostretiepide case» è vicinissimo al «Voi che vivete ogne cagion recate...» (Purgatorio , XVI). Anche il rapporto con Dante si scontrò a volte con una specie di censura. Per esempio, il dotto rabbino Lelio Della Torre, poeta e profondo cultore dell’ebraico, riteneva non lecito tradurre Dante: «Un israelita, traducendo Dante in ebraico, fa un atto ostile al Giudaismo ». Sul versante opposto, quando Alessandro D’Ancora ebbe la cattedra di letteratura italiana a Pisa (succedeva a Francesco De Sanctis!), fu attaccato da ambienti cattolici che ironizzavano sulla effettiva possibilità che un ebreo potesse commentare Dante. Tra i numerosi altri temi c’è il primo sorgere, sul finire del XIX secolo, dell’ideologia sionista che pareva offrire buone speranze per un ritorno alla terra dei padri, la riscoperta dell’agricoltura come luogo dell’innocenza in antitesi alla corruzione dei tempi e dei costumi. Oppure il coinvolgimento ebraico nel modernismo che scosse la Chiesa cattolica. In Italia, il più illustre rappresentante è stato il sacerdote Ernesto Bonaiuti (1881-1946) a lungo perseguitato dalle gerarchie. Per i cattolici sensibili alle nuove aperture, gli ebrei parvero portatori di una maggiore fedeltà alla Legge, guide di spiritualità. Alcuni intellettuali ebrei dal loro canto guardarono con interesse il nuovo movimento vedendovi uno strumento efficace per «uscire dalla secolare sudditanza al cristianesimo inteso come superamento del giudaismo». In un rapporto così controverso, apre il cuore la voce “Ebreo ” che Niccolò Tommaseo compilò per ilNuovo Dizionario Enciclopedico . Sono tre righe: «[Ebreo] Titolo di disprezzo che suona avarizia e usura, cancellato non tanto dalla civiltà e carità, quanto dai tristi esempi che danno i cristiani e dai buoni che offrono certi ebrei».
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