Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/07/2022, a pag.15, con il titolo 'Bene l’accordo, partano le navi. Ma ricordiamoci chi è il colpevole' l'intervista di Viviana Mazza.
Viviana Mazza
John e Cindy McCain
Suo marito, il senatore repubblicano John McCain, era un «maverick», un leader anticonformista capace di superare le divisioni politiche per il bene del Paese, e profondamente critico di Donald Trump, che per ripicca non gli volle riconoscere d’essere un eroe del Vietnam, mentre nei giorni scorsi Joe Biden lo ha insignito della Medaglia presidenziale della libertà. È rarissimo nell’attuale politica americana che una repubblicana di lunga data vada contro il suo partito per dare l’endorsement a un candidato democratico: Cindy McCain l’ha fatto dall’Arizona, uno Stato in bilico, poi decisivo per la sconfitta di Trump nel 2020. L’abbiamo incontrata a Roma, dove si è insediata a gennaio come ambasciatrice presso le agenzie Onu per la sicurezza alimentare: la Fao, il World Food Programme (che usa grano per il 40% ucraino) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo. Le abbiamo chiesto cosa pensa dell’accordo sul grano ucraino raggiunto a Istanbul. «Spero che dall’export del grano e dei fertilizzanti possano trarre beneficio i più bisognosi. È importante non solo per ragioni di mercato, ma perché stiamo cercando di nutrire persone affamate. Detto ciò, non saremmo in questa situazione se la Russia non avesse invaso l’Ucraina: la colpa è loro. Noi appoggiamo tutti gli sforzi per la riapertura del porto di Odessa, e siamo impazienti di vedere il grano partire dal Paese».
È bene anche facilitare l’ingresso del grano russo nel mercato? «È bene che lascino l’Ucraina e pongano fine alla guerra. Ma non sembra che accadrà presto. Si parla di annessioni».
Oggi lei va in missione in America Centrale. Quali sono gli altri nodi della crisi alimentare? «La sicurezza alimentare viene ora esacerbata, e riconosciuta, per la guerra in Ucraina, ma non possiamo dimenticare il resto. L’America Centrale è una zona secca con problemi legati ai cambiamenti climatici — su cui dobbiamo agire in modo più efficace —, all’acqua, all’abilità di crescere il cibo».
Il suo impegno filantropico l’ha portata a occuparsi di sminamento nelle zone di guerra, di stupri in Congo: è difficile portare l’attenzione su queste crisi? «Quando parli di stupri in Congo, le persone fuggono dalla stanza. Ho trascorso molto tempo in zone di guerra. Ho visto quanto il mondo sia fragile ma anche quanto siano resilienti le persone».
Suo marito sarebbe stato sorpreso dall’invasione russa? «Per niente. Definì Putin un delinquente proprio all’inizio, perciò fummo sanzionati e non possiamo andare in Russia. Sarebbe devastato per l’Ucraina, ma non sorpreso».
Nel suo libro «Stronger» (“Più forte”, sottotitolo: coraggio, speranza e umorismo nella mia vita con John McCain) lei nota che la morte di suo marito, affetto dallo stesso tumore che uccise Beau, il figlio di Joe Biden, segna la scomparsa di una grande tradizione di leader americani. «Mio marito, Ted Kennedy, Joe Biden e i cosiddetti grandi leoni del Senato si scontravano perché avevano convinzioni diverse, ma non era mai una cosa personale. Lasciavano il Senato ed erano buoni amici. Oggi non è più così».
Joe e Jill Biden furono i primi ad accogliervi a Washington quando suo marito fu eletto in Arizona. Lei scrive che Jill sapeva cosa significhi essere la nuova bionda in città… «Infatti, ero io la nuova bionda in città… Ed erano stati loro a presentarmi a John».
Dopo il suo endorsement a Biden, il partito repubblicano dell’Arizona l’ha condannata politicamente. Ma lei resta repubblicana? «Io e John siamo gli unici marito e moglie entrambi censurati (ride). Non bisogna prendersi troppo sul serio, me l’ha insegnato lui. Io ricordo il partito di una volta: credo in ciò che rappresenta, in chi siamo, in un ruolo limitato e meno intrusivo del governo, ma abbiamo perso la strada. Ho detto a Biden che sarei rimasta repubblicana, ma gli ho dato il mio endorsement perché volevo un buon presidente. Sapevo che era la cosa giusta per il Paese. E ha fatto la differenza».
In Arizona? «Non potevo crederci: abbiamo vinto. Che notte».
C’erano voci che Trump potesse nominarla ambasciatrice con l’incarico per il traffico di esseri umani. «Mio marito si ammalò. Ma capii, subito prima, che non mi stavano nominando per il motivo giusto. Avevo lavorato per una vita su quel tema, ma non era per questo che mi volevano. Era per via di mio marito. Ma non provo rabbia. Poi John si è ammalato, Dio agisce per vie misteriose. Dovevo stare a casa con lui».
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