Identificare i traditori filorussi Cronaca di Paolo Brera
Testata: La Repubblica Data: 20 luglio 2022 Pagina: 13 Autore: Paolo Brera Titolo: «Spie, missili e vittime civili. I russi all’ultimo assalto delle roccaforti del Donbass»
Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 20/07/2022, a pag. 13, con il titolo "Spie, missili e vittime civili. I russi all’ultimo assalto delle roccaforti del Donbass" la cronaca di Paolo Brera.
Lysychansk
Botti e fumo tutt’intorno. Come va? «Normalno », dice una ragazza a cui non facciamo in tempo a chiedere il nome perché senti, questo è il fischio di un missile che cade! Fa come i bambini quando giocano ai soldatini e poi urlano «buum», però trema tutto e pure le gambe. La ragazza no: «My privykli », siamo abituati, sorride amaro. Al secondo fischio sgommiamo via a mille per una strada vuota come tutte le altre, qui nel centro di Bakhmut. È il fronte rovente del Donbass, «da qualche giorno è un inferno » dice Raissa Tarasova poche strade più in là, quando come le lumache a cui hai toccato un corno proviamo a rimettere fuori la testa dal guscio. Soldati ai crocicchi, qualcuno si avventura coi sacchetti della spesa. Nel sottopasso si è nascosto un Grad, il lanciarazzi multiplo. Qua e là esplosioni secche come raudi, ma «questi sono colpi in partenza — spiega Raissa — se non senti il fischio puoi stare tranquillo, sono i nostri. E se lo senti è troppo tardi». Per questo la ragazza non fuggiva: è inutile. Bakhmut è uno dei due vertici del fronte su cui i russi stanno lanciando l’offensiva finale al Donbass. L’altro è Seversk: la strada che li collega è una striscia di 28 chilometri impossibili, impraticabili. È prima linea. Se saltano i bastioni, saltano le difese ucraine e allora tocca a Sloviansk e a Kramatorsk. Il bastione qui è sotto attacco ma resiste, e Raissa comunque non se ne andrà: «I miei figli sono al sicuro con i nipotini, mia madre invece a 80 anni è a Sviatogorsk», il paese sacro della Lavra occupato dai russi a suon di bombe: «Non la sento da un mese. Se ci conquistano, andrò subito da lei». Ora però trema: «Ho paura, sì, la notte scorsa fischi ed esplosioni erano troppo vicini, troppo forti e ravvicinati». «Come va ragazzi?», chiediamo ai soldati al check point: «Una merda. Stabilmente merda. State attenti».
Le notizie dal campo di battaglia sono più inattendibili del solito. Stanno vincendo entrambi, si direbbe. Il bastione traballante è quello di Seversk, gli ucraini presidiano le colline e i russi le bombardano. Entrambe le parti vantano perdite colossali nelle fila altrui. Nelle retrovie i civili vivono con il cuore in gola. A Kramatorsk si bombarda in pieno centro. Ieri alle 13 un missile ha disperso una pioggia di metallo in un cortile, danneggiando i condomìni e bruciando due appartamenti al secondo e terzo piano. Ci sono due morti e sei feriti. «Cos’è successo? I russi hanno fatto un regalino ai nostri cari vicini di casa», dice Sveta, 68 anni, ironizzando sulla presenza del circolo nazionalista al piano terra mentre toglie i vetri dall’uscio con i piedi ancora insanguinati. Kramatorsk è la mela proibita del Cremlino: il capoluogo del Donbass ucraino, il gioiello che manca per consegnare alle repubbliche separatiste l’intera regione contesa. I “vicini” di Sveta sono i nazionalisti di “Plast”, un’associazione scout che educa «ai valori patriottici», e «i soldati che frequentano da un pezzo Vilna Khata», la palestra di Plast che ora ospita uffici e camere. «È un internet point», dicono gli uomini davanti all’ingresso. Quelle due camionette militari sventrate? «I soldati avevano parcheggiato per andare alla posta». Le autorità ucraine non confermano mai la presenza di soldati in edifici civili colpiti, ma i residenti sono infuriati. «È la terza volta che mi salvo. Prima hanno attaccato la Casa delle comunicazioni lì accanto, poi la sede del Sbu lì dietro, ora i soldati di fronte», dice un uomo. Qualcuno, dicono, ha passato la spiata ai russi, «mettendoci tutti in pericolo ». Karina, 20 anni, ha visto «il povero Maxim con la testa piena di sangue: era uscito per aiutare la moglie che tornava dal supermercato». Nel Donbass il patto di fiducia tra gli abitanti rimasti e i soldati ucraini che li difendono è spezzato. Alle 13,30 a Sloviansk sono arrivati quattro missili. Uno ha centrato una casa a Chervony Malochar, un quartiere di casette e orti. I vicini ci accompagnano: è sventrata, su un angolo c’è un enorme cratere. «Qui sono morti due soldati. Quando siamo andati a vedere è arrivata un’auto di militari e uno di loro ci ha urlato “che fate qui? Sparite, lo sappiamo che siete stati voi a dare le coordinate...”». I russi stanano i soldati nelle case che occupano, e li colpiscono senza la minima precauzione per i civili. Ma non tutti gli attacchi si spiegano così. Un altro missile, ieri, ha fatto a pezzi una decina di casette lungo la strada che collega Kramatorsk a Sloviansk. Un’auto di passaggio è metallo arrugginito, «si sono salvati uscendo in tempo», dice la gente del posto. Le case erano vuote: «In una viveva mia zia, è morta di Covid», dice una donna mostrando proiettili di ferro scaraventati dall’esplosione. All’altro lato della strada, una via laterale conduce all’orto di Alexandr Kharseev, un 70enne salvato dal suo aglio. «Lo stavo appendendo a essiccare nella casetta di lamiera, la botta mi ha messo in ginocchio. Mi è arrivato un pezzo di terra in testa. Sono uscito e ecco cosa ho trovato». C’è un cratere profondo quattro metri: «Non c’erano soldati ucraini né postazioni d’artiglieria — dice — almeno non vicino». Victoria e Alxandra, 13 e 17 anni, hanno visto tutto dalla stradina del supermercato: «Un aereo ci ha sorvolato e ha sganciato qualcosa che è venuto giù con un piccolo paracadute rosso. Siamo rimaste a guardare inebetite, a bocca aperta fino all’esplosione». Victoria vive con i nonni. «Mamma mi ha abbandonata, papà è in prigione». Per lei il futuro è evitare il prossimoparacadute rosso.
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