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La Repubblica - Il Foglio Rassegna Stampa
19.07.2022 La talpe russe scoperte da Zalensky
Cronaca di Fabio Tonacci, analisi di Cecilia Sala

Testata:La Repubblica - Il Foglio
Autore: Fabio Tonacci - Cecilia Sala
Titolo: «Intrighi, defezioni e tradimenti. Dietro le purghe di Zelensky la trama di un golpe incompiuto - Kherson non è stata conquistata, ma tradita dalle talpe russe a Kyiv»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 19/07/2022, con il titolo "Intrighi, defezioni e tradimenti. Dietro le purghe di Zelensky la trama di un golpe incompiuto", l'analisi di Fabio Tonacci; dal FOGLIO, a pag. 1, con il titolo "Kherson non è stata conquistata, ma tradita dalle talpe russe a Kyiv", l'analisi di Cecilia Sala.

Ecco gli articoli:


Volodymyr Zelensky

Fabio Tonacci: "Intrighi, defezioni e tradimenti. Dietro le purghe di Zelensky la trama di un golpe incompiuto"


Fabio Tonacci

Il lungo rosario di licenziamenti, sospensioni e arresti che, dal 24 febbraio, ha sforbiciato i vertici degli apparati statali ucraini disegna la trama di un golpe incompiuto e, insieme, l’ordito di un radicale riassetto del potere. Sempre più saldo nelle mani del presidente Zelensky, sempre meno accessibile ai suoi oppositori politici. A precipitare nello sconcerto l’opinione pubblica, ieri, è stato l’allontanamento improvviso di Ivan Bakanov e di Iryna Venediktova. Non due nomi qualsiasi: capo dei servizi segreti (Sbu), il primo; procuratrice generale che indaga sui crimini di guerra russi, in sostanza il magistrato più importante dell’Ucraina, la seconda. «Li abbiamo solo sospesi, per fare accertamenti sul loro operato», è la spiegazione del governo. In effetti, sessanta dipendenti della procura generale e dello Sbu sono rimasti nelle zone occupate dai russi e i loro fascicoli sono nella pila dei 651 casi aperti contro pubblici ufficiali ritenuti collaborazionisti. Bakanov, che faceva parte di Kvartal 95, la società di produzione di Zelensky, paga per non aver visto arrivare il complotto: alla vigilia dell’invasione, una parte dello Stato si è accordata segretamente con l’intelligence russa, e Bakanov non ne sapeva niente. Nelle stesse ore in cui veniva sospeso (l’incarico, pro tempore, è stato dato al vice, Vasyl Malyuk), è finito in carcere un suo amico, Oleg Kulinich, fino al marzo 2022 responsabile Sbu per la Crimea, la penisola da cui è partita indisturbata la colonna di carri armati che si è presa Kherson in poche ore, senza neanche il fastidio di dover sparare un colpo. La mancata difesa di Kherson, unica città conquistata a ovest del fiume Dnepr e punto strategico per la Crimea (da lì arrivano le riserve idriche), è un tema sensibile. Perché non sono stati fatti brillare i ponti per tagliare l’avanzata nemica? Come hanno fatto i soldati di Mosca a evitare i campi minati? Qualche interrogativo lo solleva anche la storia di Kharkiv, la seconda città del Paese, dove nelle prime ore del conflitto una gran fetta dell’esercito si è rifiutata di combattere, lasciando alle forze di difesa territoriale l’onere improbo di arginare l’ondata russa. C’era un accordo segreto, il governo di Kiev ne è ormai certo e la sfilza di epurazioni ne è la prova. Il Cremlino aveva avuto rassicurazioni da una parte degli apparati ucraini — ancora pieni di funzionari nominati dal vecchio premier filorusso Yanukovich — che non ci sarebbe stata vera resistenza e che i blindati avrebbero sfilato a piazza Maidan al massimo in tre giorni. A patto che Zelensky fuggisse dalla capitale. Il presidente, però, non è salito sull’elicottero degli americani, è rimasto al suo posto, e si è vendicato su chi, a suo parere, aveva tradito. Nell’ordine: il generale Serhii Kryvoruchka (capo Sbu a Kherson, gli sono stati tolti i gradi), il suo assistente Igor Sadokin (arrestato a marzo), Gennadii Lahutia (capo dell’amministrazione militare di Kherson, rimosso il 28 giugno), Andriy Naumov (capo della sicurezza interna dello Sbu, arrestato in Serbia), Roman Dudin (capo Sbu di Kharkiv, arrestato il 29 maggio). Al repulisti, Zelensky ha affiancato però un’operazione di rafforzamento politico. Così va letto lo stop della procuratrice Venediktova, da lei considerato illegale. «Al di là del motivo ufficiale», ragiona con Repubblica Gennady Maksak, analista del think tank Prizm di Kiev, «avevano dubbi sulla sua fedeltà all’ufficio presidenziale e alla lotta di questo contro l’ex presidente Poroshenko». Venediktova in passato non ha voluto firmare delle carte sull’inchiesta per tradimento a carico di Poroshenko, lasciando l’incombenza al suo vice, Oleksiy Symonenko. Symonenko, in seguito, ha anche fatto trasferire allo Sbu, di fatto insabbiandola, un’indagine per corruzione su Oleg Tatarov, uno degli uomini più vicini a Zelensky nonché vice dell’Ufficio presidenziale. Proprio quel Symonenko che, oggi, è stato messo al posto di Venediktova.

Cecilia Sala: "Kherson non è stata conquistata, ma tradita dalle talpe russe a Kyiv"

Cecilia Sala (@ceciliasala) | Twitter
Cecilia Sala

Roma. Kherson non è stata conquistata: è stata abbandonata. I russi sono arrivati subito e il 3 marzo, quando l’invasione era cominciata da appena una settimana, avevano già occupato tutto senza dover distruggere niente, quasi senza combattere. Questo si spiega in minima parte con l’effetto sorpresa su cui Mosca poteva contare nei primi giorni della guerra, si spiega soprattutto in un altro modo: chi doveva proteggere Kherson è scappato o ha fatto di peggio. Il generale Serhiy Kryvoruchko, il capo del direttorato locale dell’Sbu (i servizi segreti ucraini), se n’è andato prima che i soldati nemici arrivassero e ha ordinato ai suoi uomini di fare lo stesso. Il suo collaboratore a capo dell’unità antiterrorismo della città, il colonnello Ihor Sadokhin, ha spiegato ai russi che marciavano da sud (dalla Crimea) dove era meglio non mettere i piedi, le ruote e i cingolati, perché l’esercito ucraino lì aveva piazzato delle mine. Il piano ucraino era questo: in caso di invasione, far saltare i ponti che permettono di raggiungere la città dalla Crimea. Non è stato fatto. Il ponte Antonovsky è ancora in piedi e anche quello – poco più a est – sulla diga di Nova Kachovka. Nei giorni successivi abbiamo visto gli abitanti di Kherson protestare, aggredire i soldati e sventolare la bandiera ucraina – in quel momento chi avrebbe dovuto proteggerli stava scappando, lasciando tutto apparecchiato per l’invasore, compresa una rete su cui poter fare affidamento. Una rete che fa danni ancora adesso: nelle ultime settimane, una ragazza è stata fermata per aver passato le coordinate di alcune postazioni, altri hanno ricevuto pagamenti sospetti in criptovalute e un uomo è riuscito a tracciare e segnalare i movimenti dell’artiglieria di Kyiv a nord di Kherson per un mese, prima di essere arrestato. Considerando chi erano i capi dell’intelligence sul campo, potrebbe trattarsi di una rete costruita da loro. Se non fosse così, possiamo quantomeno escludere che abbiano fatto del loro meglio per smantellarla. Un mese e mezzo fa, a Mykolaïv come a Odessa, si potevano ascoltare discorsi carichi di sospetti da parte di soldati e volontari: erano ragionamenti relativi agli eventi che hanno portato alla rapidissima caduta di Kherson a marzo. Che la città si fosse ritrovata indifesa a causa di un tradimento era una sensazione condivisa. Dal loro punto di vista: significa che adesso ci vorranno milioni (forse miliardi) di dollari per riprenderla, ogni colpo sparato dagli Himars – lo strumento principale della controffensiva – costa 930.000 dollari in munizioni. Se mai gli ucraini riusciranno a penetrare fin dentro la città, di quei soldati sospettosi schierati nel sud, a Kherson, ne moriranno migliaia. Quando questa guerra è cominciata, sapevamo che alcuni agenti operativi di Mosca erano arrivati in Ucraina nei mesi precedenti, studiavano il territorio e aspettavano gli ordini. Sapevamo anche che i più pericolosi non erano gli infiltrati, ma le talpe dentro le istituzioni. Quelle che – dopo il 2014, dopo che l’Ucraina ha smesso di essere un satellite russo e l’allora presidente Viktor Yanukovich è scappato a Mosca – hanno solo finto di sposare il nuovo corso politico e, in realtà, non hanno mai smesso di lavorare per Putin. Due sere fa Volodymyr Zelensky ha licenziato la procuratrice generale Iryna Venediktova e il capo dei servizi segreti Ivan Bakanov. Chiamarle “purghe” è frettoloso, dire che Zelensky ha cacciato due “traditori” è ingiusto. Le autorità di Kyiv, dall’inizio della guerra, hanno arrestato 800 persone accusate di collaborazione con il nemico. Di queste, 651 sono dipendenti pubblici e per la maggioranza appartengono alla polizia giudiziaria oppure sono impiegati delle procure. Zelensky non ha licenziato la Venediktova – che indaga sui crimini di guerra – perché non si fida di lei o delle sue qualità di magistrato, ma perché non è riuscita a controllare i sottoposti e ciò che le accadeva intorno. Bakanov è un amico d’infanzia del presidente, hanno lavorato insieme nella Kvartal 95 Studio, che organizzava gli spettacoli comici di Zelensky e poi ha prodotto la sua serie tv. Il nome è stato scelto in onore del quartiere numero 95 di Kryvyi Rih, dove sono cresciuti insieme. Christopher Miller, che aveva anticipato la notizia in un articolo per Politico, ha scritto che per Zelensky questa è stata una decisione sofferta e che è stato titubante per settimane prima di scrivere il decreto con cui ha rimosso entrambi. L’Sbu è un erede del Kgb, è un servizio segreto di dimensioni spropositate (ha 30 mila dipendenti, sette volte quello britannico) ed era famoso per la corruzione. E’ pieno di uomini abituati a lavorare con i russi e per i russi da tutta la vita. Non c’è solo l’esempio di Kherson, ce ne sono molti altri e un ex dirigente è scappato poche ore prima dell’invasione: lo hanno trovato in Serbia con 600 mila euro, 125mila dollari e delle pietre preziose. Riformare la struttura e trovare tutti i nemici interni non doveva essere un’impresa semplice per Bakanov, ma non c’è riuscito ed è per questo che Zelensky – con i poteri che gli dà la legge marziale – lo ha appena licenziato.

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